UCI, dal 2026 un calendario ristrutturato: “Le corse WorldTour non devono sovrapporsi, puntiamo a lunghi blocchi di gare nella stessa zona, anche in Africa e Sudamerica”

L’Unione Ciclistica Internazionale sta pensando, ormai da tempo, a una ristrutturazione del calendario agonistico su strada. Sono tante le questioni sul tavolo ancora da dirimere, ma un dato sembra già abbastanza definito: con la stagione 2026 ci sarà sicuramente qualche cambiamento significativo. A confermarlo, come già anticipato in passato, è il presidente dell’UCI, il francese David Lappartient. La sostenibilità e, nel contempo, il maggior coinvolgimento di zone del Mondo attualmente meno battute sembrano essere le linee guida di questa trasformazione, ormai sempre più vicina.

“Sì, ci sarà una riforma – conferma Lappartient in un’intervista concessa a Het Nieuwsblad – Non una rivoluzione, ma una evoluzione, che riguarderà principalmente le corse più importanti, quelle di livello WorldTour. A inizio 2026 ci sarà l’assegnazione delle categorie per il triennio successivo e da allora vogliamo mettere in atto dei cambiamenti. Di che tipo? Avere il minor numero possibile di sovrapposizioni di gare, come invece sta succedendo proprio in questa settimana, fra UAE Tour (in corso fino a domenica 25 febbraio – ndr) e Omloop Het Nieuwsblad (che si disputerà sabato 24 – ndr). È una cosa che non vogliamo accada per principio, nell’interesse delle squadre e degli spettatori, oltre che per una necessaria chiarezza”.

Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico si sovrappongono praticamente da sempre… “Lo so – il pensiero di Lappartient – Con il calendario femminile, che abbiamo rilanciato dal 2016 evitare queste cose è stato più facile, perché siamo partiti da zero. Con quello maschile è più difficile, perché si parla di 130 anni di storia. Non pensiamo a cambiamenti strani: sappiamo che il Tour de France deve corrersi a luglio, che le Classiche devono farsi in primavera o in autunno e che il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix devono stare vicine. Ma la tradizione e l’evoluzione possono coesistere. Lo abbiamo visto nel 2020, la stagione del Covid: il Tour si è corso a settembre, il Fiandre a ottobre e sono state gare sensazionali. Dobbiamo rifarlo? Non necessariamente. Ma se non ci fosse stato il Covid e avessimo detto che avremmo spostato quelle gare, ci avrebbero risposto ‘non se ne parla, impossibile‘”.

Un altro punto, molto caro a Lappartient, è quello dell’adeguamento al cambiamento climatico: “A volte si va a correre in posti dove le temperature sono altissime. Ha senso? Perché non spostare quella gara di un mese? E poi dobbiamo ridurre l’impronta ecologica del ciclismo. Viviamo in un mondo diverso e il ciclismo non deve far finta di non vederlo. Non è molto intelligente, per esempio, correre in Belgio, poi andare in Spagna, poi tornare in Belgio e poi andare in Italia. Noi abbiamo promesso di ridurre la nostra impronta carbonica della metà, entro il 2030. È una cosa essenziale per i nostri sponsor. Quindi dovremo organizzarci in modo diverso e cercare di ricavare dei ‘blocchi’, periodi di tempo in cui si gareggia in un’unica zona geografica per più tempo. Un po’ come già si fa in Belgio durante le Classiche di Primavera. Per due-tre settimane l’intero gruppo WorldTour è nella stessa regione e magari le squadre potrebbero alloggiare sempre nello stesso albergo e da lì andare alle singole corse“.

L’assenza di sovrapposizioni e questi ‘blocchi’ potrebbero portare a un allungamento della stagione? “No. I corridori devono avere tempo di riposarsi – argomenta Lappartient – E non vogliamo sovrapporci all’attività su pista e al ciclocross. L’opzione è inserire più corse WorldTour in mesi che attualmente ne hanno poche. A febbraio, adesso, ci sono solo l’UAE Tour e la Omloop: perché non aggiungerne altre, magari in parti del mondo in cui ora non ce ne sono. Oggi non ci sono appuntamenti WorldTour in Sudamerica e Africa, ma le possibilità ci sono. Se espandiamo  il calendario degli appuntamenti primari, di certo non pensiamo di farlo in Francia, Belgio o Italia, nonostante abbiamo tantissime richieste da quei Paesi. Ma io non credo in un ciclismo che si concentra in tre Paesi. Perché non organizzare un blocco di corse in SudAmerica a febbraio? C’è tanto spazio per l’Asia e anche per alcune Nazioni europee. La Danimarca è un vero Paese ciclistico, ma attualmente non ha neppure una gara WorldTour (anche se ci si sta lavorando – ndr)”.

A quel punto, però, la concorrenza fra le gare più importanti non aumenterebbe? “È possibile che i Paesi più tradizionali possano sentire questo aspetto, ma va anche detto che una squadra WorldTour ha 30 corridori in organico e a febbraio se ne manda 7 in Colombia, ne ha altri 23 da mandare in Belgio o in Francia. Poi, in primavera, tutti i più forti sarebbero in Europa, perché lì ci sarebbe l’epicentro del calendario in quel momento. Fermo restando che i corridori devono avere diritto di scegliere quali corse affrontare. Tadej Pogačar non fa il Fiandre quest’anno? Ci si può lamentare di questo o si può guardare il bicchiere mezzo pieno e pensare al fatto che un anno fa ha fatto una cosa meravigliosa. Io scelgo il bicchiere mezzo pieno. Non si può chiedere a un corridore di correre sempre”.

Su questo punto di vista, però, il progetto ONE Cycling ha una linea di pensiero, condivisa anche da diversi direttori di squadre, diversa: “Ma esattamente cosa significa i corridori più importanti nelle gare più importanti? Se parliamo dei migliori in un determinato tipo di gara, posso anche essere d’accordo. O parliamo dei primi nella classifica mondiale? In questo caso, non fa per me. – – continua Lappartient – Jonas Vingegaard è il secondo corridore nella graduatoria mondiale e la Parigi-Roubaix è una delle corse più importanti al mondo: questo vuol dire che dobbiamo imporre a Vingegaard la presenza alla Roubaix? Io non vedo come il ciclismo possa migliorare in questo modo. Maggiore riconoscibilità? Non credo che un numero maggiore di persone guarderebbe la Roubaix se ci fosse Vingegaard e lui si trovasse due minuti dietro i primi già dopo il primo settore di pavé. In più, sono pochissimi i corridori che possono vincere tutti i tipi di corsa: c’era Eddy Merckx, c’era Bernard Hinault e ora c’è Pogačar. Poi basta. Il ciclismo non è la Formula 1: i circuiti di F1 sono adatti a tutti i piloti, le gare di ciclismo no.

Quindi nessuna collaborazione fra UCI e ONE Cycling? “Da quello che so, quel progetto è ancora in via di sviluppo. Prima voglio capire bene di cosa si tratta e quali conseguenze potrà avere. Noi, come UCI, sosteniamo comunque ogni iniziativa che possa migliorare la situazione finanziaria del ciclismo professionistico. Ma, devo sottolineare l’importanza della cooperazione e il ruolo di guida che ha l’Unione Ciclistica Internazionale nel portare il nostro sport verso il futuro. I soldi dall’Arabia Saudita? Lo sport non è la politica. Io vedo che l’Arabia vuole avere un ruolo da protagonista nell’industria dello sport, in particolare dando attenzione a discipline che coinvolgono un pubblico giovane e ampio. Per me, questa è un’opportunità per far crescere il ciclismo in quella zona del mondo, che ci può permettere anche di aumentare ancora di più la nostra presenza globale”.

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