Italia, Fabio Aru torna a parlare dopo il ritiro: “Voglio un futuro che mi consenta di stare più tempo a casa, valuterò delle proposte che accetterò non prima del 2022”

Primi giorni da ex corridore per Fabio Aru, che settimana scorsa, al termine della Vuelta a España 2021, ha appeso la bici al chiodo. A 31 anni, lo scalatore sardo ha detto addio al professionismo dopo nove stagioni abbellite da nove vittorie di altissimo livello (tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta, della quale ha conquistato anche la classifica finale nel 2015), ma rese complicate da diversi problemi fisici, che nelle ultime annate non gli avevano permesso di rendere al meglio. Ora, con il ritiro, è iniziata dunque una nuova vita per Aru, che ha delineato alcuni dei suoi progetti per il futuro in una conferenza stampa presso L’Unione Sarda.

Voglio un futuro che mi consenta di stare più tempo a casa – ha spiegato il 31enne – Non potevo stare fuori 200-230 giorni. Ora valuterò delle proposte che accetterò non prima del 2022. Ma sarà un lavoro che mi deve tenere lontano da casa al massimo 30 giorni. Nel futuro vedo il matrimonio e una sorellina o un fratellino per nostra figlia”.

Lo scalatore sardo ha ricordato alcune cose negative della sua esperienza da corridore: “A un certo punto sono diventato un’azienda, tanti impegni anche fuori dagli allenamenti e dalle gare. Nel corso degli anni ho anche avuto bisogno di collaboratori pagati da me. Qualcuno mi ha deluso, sono rimasto ferito“.

Il ciclismo, però, ha lasciato ad Aru anche molte cose belle, compresa l’esperienza alla Qhubeka NextHash, sua ultima squadra: “[Il ciclismo] Ti insegna a non mollare mai, tante volte in questi anni avrei voluto farlo ma non l’ho fatto. Mi piace ricordare l’ultima squadra, è stata la più bella. In altri team, forse è inevitabile, ci sono cose belle, ma anche un po’ d’invidia. Qui mi sono sentito in famiglia, se non avessi smesso avrei continuato con loro”.

Non è mancato, infine, un pensiero sul ciclismo moderno, troppo legato ai misuratori di potenza: “Si parla troppo di numeri legati ai misuratori di potenza: una salita diventa un insieme di cifre. Io direi che almeno prima del professionismo possiamo fare a meno dei misuratori di potenza perché si rischia di non ascoltarsi e di perdere certe sensazioni”.

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