Paolo Bettini: “Tafi dovrebbe fare altro a 52 anni. Aru deve correre subito e vincere” E intanto riflette sul ciclismo attuale

Paolo Bettini rimane figura di spicco del ciclismo italiano. Malgrado non faccia parte di squadre di primo piano da quando ha lasciato la nazionale per costruire il mai realizzato progetto del Team Alonso, l’ex CT azzurro gode di tanta stima e quando parla viene sempre tenuto in altissima considerazione, da corridori e appassionati. Tra i primi potrebbe tornare il suo ex compagno di squadra Andrea Tafi, che vuole prendere parte alla Parigi – Roubaix 2019 per festeggiare nel velodromo il ventennale del suo successo. Una prospettiva che non solo il due volte iridato non farebbe, ma che lo lascia anche alquanto perplesso e contrario riguardo il suo corregionale.

“Ad Andrea dico ‘spero che tu non corra, bisogna far altro nella vita a 52 anni‘ – commenta alla Gazzetta dello Sport odierna – La sua è un’azione mediatica, ma sarebbe molto meglio che pensi a dare un’opportunità a un giovane. Così facendo, gli ruba il posto”. Come già molti suoi colleghi dunque il Grillo si esprime contro il progetto di Tafi, che ben sapeva di poter incontrare contrarietà e scetticismo, portando comunque avanti quello che continua a definire il suo sogno, al di là dell’aspetto sportivo e competitivo.

Tra le sue riflessioni anche una dedicata a Fabio Aru, reduce da una stagione disastrosa che può minare anche nello spirito. La ricetta secondo il campione olimpico di Atene 2004 è un sola: vincere. “Deve staccarsi dal 2018 così negativo e lavorare per il 2019 senza farsi influenzare – commenta riguardo il Cavaliere dei Quattro Mori – Ma le garantisco che un corridore quelle immagini brutte se le porta dentro. Fabio ha una sola possibilità: correre subito e vincere il prima possibile. Qualsiasi corsa, anche di secondo piano. E ritrovare la consapevolezza che lui c’è”.

Non mancano infine ovviamente anche considerazioni sul momento attuale del ciclismo, del quale non sembra troppo dispiaciuto di fare attivamente parte. “Anche se avessi uno sponsor da trenta milioni, che certezze potrebbe darmi questo sport, con queste regole? – si domanda – Io vado da un’azienda e questa poi correrà le stesse gare con un team che ne investe due. Come glielo spiego? Ci sono gare dove si mischiano tutte le categorie, dal WorldTour alle Continental, dove il campione del mondo Valverde gareggia con mio nipote Francesco, con regole, anche sanitarie, diverse. Non dovrebbe essere così”.

In pieno clima di cambiamenti per la annunciata Riforma 2020, di cui si vede per il momento qualche primo accenno ma di cui il cuore deve ancora essere svelato, Bettini propone una sua ricetta. “Il pubblico non ha più punti di riferimento – dettaglia – Gli scontri veri dei big sono pochissimi. Non c’è una vera graduatoria mondiale. E questo toglie interesse agli sponsor. Io vedo un calendario A per le 18 squadre WorldTour, il grande ciclismo. Il calendario B per le Professional, più le Continental a invito. E creerei un calendario C perle nazionali. Sì, un gruppo di gare in giro per il mondo riservato alle squadre nazionali, come la Nations League nel calcio. Un modo per giustificare un calendario che si allarga sempre di più. Le nazionali avrebbero una visibilità non legata soltanto al Mondiale e sarebbero anche più attraenti per gli sponsor”.

Discorso a parte per il ciclismo nostrano, che vive una crisi non solo professionale: “In Italia c’è un problema, ed è la categoria under 23. Doveva essere la garanzia di crescita dei giovani e invece li stritola, corrono ancora come negli Anni Ottanta. Abbiamo un dilettantismo vecchio stampo, dove si vuole solo vincere. In Toscana, se non fai bene la Firenze­Empoli, ti tagliano le gambe. Uno junior fa settimane di ritiro invernale, gli under 23 si allenano con la metodologia di un professionista: se non facciamo una vera riforma del settore giovanile, non cresceremo mai. Negli altri Paesi, gli under 23 come li intendiamo noi non esistono, perché ci sono le squadre Continental, legate ai team WorldTour, che sono la filiera del professionismo. Non 80 giorni di gara, ma 40. È la cosa che mi preoccupa di più in Italia: far crescere i giovani. E senza una squadra WorldTour manca il traino“.

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