Riforma 2020, la Lega Ciclismo ribadisce la contrarietà alla riforma: “Si cristallizza il sistema” e all’Italia serve “una squadra WorldTour nazionale”

La Lega Ciclismo Professionistico prosegue nel proprio intento di criticare in modo costruttivo la Riforma 2020 del ciclismo. Le modifiche all’assetto dei massimi livelli del ciclismo professionistico da parte dell’UCI, sotto attacco anche dall’AIGP,  non ha infatti convinto fin dall’inizio il Presidente Enzo Ghigo, che sostiene che sia eccessivamente punitiva nei confronti del circuito Professional e Continental, al momento la spina dorsale del sistema italiano, che continua a non avere una squadra nel WorldTour. Dopo un ricorso all’antitrust, la Lega ha presentato pochi giorni fa una denuncia alla Commissione Europea, con l’intento di invitarla a indagare sul modo in cui l’UCI ha implementato le normative esistenti, insinuando che l’abbia fatto per favorire i propri interessi commerciali.

Ghigo, dalle colonne di Italia Oggi, ha ribadito la propria presa di posizione riguardo alla riforma: “Ci siamo permessi di fare ricorso perché in questo modo si cristallizza il sistema, con l’istituzione di un meccanismo che difficilmente potrà portare a quella sorta di ascensore, ovvero alla possibilità di promuovere una squadra minore invece di una più grande”. Questo sistema penalizza quindi il ciclismo italiano, che è privo di una squadra di riferimento nella massima divisione: “Per fare una squadra WorldTour ci vogliono almeno 20 milioni di euro, una cifra non indifferente – aggiunge – Oltre alle difficoltà fiscali e burocratiche italiane, il problema è la mancanza di uno sponsor che investa nel ciclismo“.

Per il Presidente, la soluzione è quindi diversa: “Dovremmo creare una situazione in cui un’azienda partecipata, tipo l’Enel o l’Eni, faccia un investimento in questo senso e porti alla creazione di una squadra WorldTour nazionale“. Per arrivarci, è necessario il coinvolgimento della politica, che la Lega sta provando a stimolare già da tempo.

Il 2020 però è alle porte e ci si aspetta delle risposte: “L’UCI ci deve dare ascolto, considerando che il ciclismo è sì uno sport mondiale, ma ha la sua Patria in quattro nazioni: Italia, Spagna, Belgio e Francia”. Questo discorso è ampliabile anche al capitolo calendario, nel quale si stanno facendo sempre più spazio corse ricche di sponsor, ma povere di storia: “Non possono essere penalizzate le gare che magari si svolgono in Italia da cent’anni a favore di competizioni in paesi come la Turchia e la Cina“. Anche in questo caso sarà necessario “equilibrare la tradizione con il ritorno economico” conclude quindi Ghigo.

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