Colombia, Julián Arredondo progetta il ritorno nel ciclismo con una scuola giovanile e rivendica: “Dicevano che mi ero dato alla bella vita ma c’era un problema dietro”

Julián Arredondo torna a parlare di sè. L’ex talento colombiano classe 1988 è ormai inattivo dal 2018, anno in cui è terminato il proprio contratto con la NIPPO-Vini Fantini che aveva deciso di puntare su di lui dopo la parabola discendente con la maglia della Trek-Segafredo. Nativo di Ciudad Bolívar, in Antioquia, era arrivato al professionismo nel 2014 dopo un anno in Continental con il Team Nippo – De Rosa, e si era subito messo in luce con la maglia azzurra di miglior scalatore al Giro d’Italia e il successo di tappa al Rifugio Panarotta. Da lì in avanti, complice un problema ricorrente alla gamba destra, sono arrivate per lo più delusioni e prestazioni in costante peggioramento, fino ad arrivare a un 2017 anonimo e al conseguente ritiro.

Durante un Instagram Live realizzato tramite l’account ufficiale della Federazione Ciclistica Colombiana, il 31enne ex corridore ha ripercorso le tappe fondamentali della propria carriera, a partire dal quel Giro d’Italia 2014: “Il Giro ha cambiato tutto, da allora in poi è stato un nuovo inizio, volevo davvero essere più professionale perché ho visto che ogni sforzo ne valeva la pena, ma a causa del destino è andata così. Ora ho una nuova vita e in bicicletta passo solo bei momenti”.

Tra lui e il successo totale ci si è però messa la sindrome del Piriforme, che gli impediva di mantenere una postura corretta in bicicletta: “In Europa mi dissero che era un problema di bruxismo. Negli Stati Uniti che era un problema biomeccanico, ma alla fine è stato il dottor Contreras a trovare il problema, che colpisce un ciclista su 2000 ed è toccato a me”. La diagnosi è arrivata però solo nel 2017, ma con l’operazione non è arrivata la svolta sperata: “Ho provato a tornare ma ho visto che non era lo stesso. Nella vita vengono prese le decisioni e ho deciso di non continuare”.

Racconta infatti così il post-operazione: “Ho iniziato ad allenarmi e dopo due o tre ore ho sentito di nuovo i sintomi, non mi sentivo il piede destro, non avevo forza. Il dottore mi ha detto che potevamo fare un altro intervento ma non volevo”. L’operazione ha avuto infatti un decorso molto lungo e doloroso che non ha portato alcun risultato: “Ho passato due o tre mesi senza riuscire a camminare, facevo le infiltrazioni, stavo migliorando ma poi sono comparsi di nuovo i sintomi” afferma, tant’è che ancora oggi, quando intensifica l’attività fisica, gli fa “molto male la gamba”.

Questi problemi fisici lo hanno privato di una carriera che lo soddisfava molto: “Ho avuto momenti di pianto, sono stato molto male” confessa, aggiungendo: “Mi manca vivere in Europa, è una bella cosa. Mi mancano gli amici e viaggi, mi è piaciuto molto”. Ha superato a fatica le accuse di non fare la vita del professionista, ma ora è tutto alle spalle: “Mi criticavano, mi dicevano che mi ero dato alla bella vita, ma c’era un problema dietro“.

Ora sta pianificando il ritorno nel ciclismo con una scuola per ragazzi dai 15 ai 20 anni: “Ci sono molti allenatori, ma non tutti hanno l’esperienza di essere stati competitivi o avere raggiunto il WorldTour. A volte trattano male i corridori e gli allenatori devono sapere come guidarli. Prima c’è la persona e poi il ciclista“.

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