INEOS Grenadiers, tempo di bilanci per Richie Porte: “Non ho vinto un GT perché mi lasciavo influenzare da ciò che la gente pensava di me. Non mi sono mai considerato uno dei migliori”

Ormai è tempo di bilanci per Richie Porte. L’australiano della INEOS Grenadiers, 38 anni il prossimo gennaio, ha concluso lo scorso settembre una carriera agonistica che lo ha visto impegnato tra i professionisti per 13 anni con ottimi risultati, anche se gli è mancato l’acuto i vincere un Grande Giro, obiettivo che gli è sempre sfuggito soprattutto a causa della sfortuna e di una mentalità che forse, ammette egli stesso, gli ha impedito di fare l’ultimo passo e diventare il classico “cannibale”. In una lunga intervista rilascia a L’Equipe, riportata da Cyclingnews, ha spiegato come mai i suoi diretti avversari ci sono riusciti e lui no.

Ci sono aspetti del ciclismo che non mi mancheranno. Il ciclismo è una cosa semplice: sali in bici e giri i pedali. Ora è come se tutto fosse diventato un’equazione matematica’ – commenta – È stato stressante stare sull’autobus e sentire i giovani corridori parlare dei livelli di carboidrati e proteine. Sono sempre stato meglio quando ero un chilo sopra il mio presunto peso da gara, perché mi sentivo meglio. Non puoi negare l’elemento umano, il ragazzo pronto a combattere. Prendi Froome al suo meglio, o Pogacar, questi ragazzi sono vere e proprie ‘bestie psicologiche'”.

L’australiano ha corso in alcune delle squadre più importanti del WorldTour in questo decennio abbondante, diventando testimone di forti cambiamenti: “Non sono mai stato uno di quelli che guardavano troppo il proprio misuratore di potenza. Sono contrario a queste cose. Ammiro uno come Thibaut Pinot perché è come me. A entrambi non ci piacciono le critiche, ci dà sui nervi, ma non ho mai fatto ciclismo per piacere alla gente. Non mi sono mai piaciuti i social media o gli obblighi di sponsorizzazione. Questo è stato il peggio per me. Sono rimasto amico di tutti alla Sky/Ineos. C’è ancora un lato umano nella squadra, ma non sono mai stato il tipo da pesare il cibo. Se volevo un hamburger e una birra, non me ne privavo“.

Forse questo approccio non sempre scientifico gli è costato qualche vittoria: “Probabilmente sì – ammette – Non ho vinto un Grande Giro per un motivo o per l’altro, forse perché ho lasciato che le cose mi influenzassero troppo, forse ho prestato troppa attenzione a ciò che la gente pensava di me. Non ho mai avuto l’atteggiamento del ‘vinci o muori’. Mi piace quando le persone ti rispettano”. Inoltre, ammette di non avere mai avuto piena convinzione dei propri mezzi: “Ho sempre avuto grossi dubbi sulle mie capacità, sono fatto così, ho un’autostima piuttosto bassa, non mi sono mai considerato uno dei migliori ma quando il dado è stato tratto, ero in gara e non ci ho pensato troppo, sono stato un buon concorrente”.

Le prestazioni migliori sono infatti arrivate quando la pressione era al minimo: “Ogni volta, in effetti. Le mie giornate migliori sono arrivate spesso dopo una foratura in un momento negativo o una caduta all’inizio della giornata, quando ero a mente sgombra”.

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