Pagelle Yorkshire 2019: Pedersen perfetto, Trentin quasi – Kung eroico, delusione Belgio

Mads Pedersen, 10 e lode: Semplicemente perfetto, in ogni mossa. Consapevole di avere poche chance in un eventuale arrivo in un gruppo numeroso, anticipa con un’azione da circa 50 chilometri dall’arrivo dimostrando subito di avere un’ottima gamba. Non si spaventa con il ritorno di Van der Poel e Trentin ed è stoico nello stringere i denti all’ultimo giro, quando in salita sembrava dover perdere contatto. La sua volata di potenza e forza sorprende tutti, lui per primo: più dello spunto, serviva aver tenuto le gambe. E riuscire a farlo dopo 260 km sotto l’acquazzone è speciale.

Stefan Kung, 9,5: Si muove da lontano confidando nelle sue abilità di passista e in una condizione evidentemente molto buona. Quando Craddock si stacca, lui riesce sempre a rimanere nel gruppetto di testa e a correre con intelligenza. Prova anche ad aumentare il ritmo sulla salita finale, riuscendo a staccare Moscon e mettere in difficoltà Pedersen. Forse se avesse ricevuto un paio di cambi al momento giusto… In volata paga la minore esplosività e i chilometri passati con il vento in faccia. Ma il bronzo in una prova in linea di questo tipo, per un corridore con le sue caratteristiche, è un mezzo miracolo. Eroico.

Matteo Trentin, 9: Battezza la ruota giusta seguendo Van der Poel a 33 chilometri dall’arrivo. Una dimostrazione di grande lucidità, fisica e mentale, quando tutti gli altri non riescono a seguire l’accelerazione. Corre da leader nel gruppo di testa, lavorando e sfruttando al meglio Moscon, per poi rimanere passivo una volta perso il compagno di squadra. Senza il neerlandese sembrava il favorito d’obbligo, ma il successo perentorio di Pedersen acuisce i rimpianti: come riconosciuto dallo stesso Trentin, ha vinto il corridore con più gambe. Peccato, perché nell’ultimo chilometro il sogno dell’oro era stato accarezzato.

Gianni Moscon (e tutta l’Italia), 9: Perfetto a intuire che dall’azione di Pedersen e Teunissen potesse nascere qualcosa di interessante, brillante nel gestire le energie, generoso nel sacrificarsi per il proprio compagno di squadra Trentin. Si gestisce con intelligenza in salita, anche quando le forze sembrano abbandonarlo, per aiutare il più possibile il connazionale. Anche quest’anno sfiora soltanto il podio, come a Innsbruck. In ogni caso prestazione di cuore e di carattere, come tutti gli azzurri in grado di fare da stopper nel gruppo di inseguitori. Condotta tattica perfetta, è mancata solo la gamba nel finale.

Rohan Dennis, 8: Porta a spasso il gruppo per praticamente 100 chilometri nella prima parte della corsa, impedendo a una fuga potenzialmente pericolosa di acquisire troppo vantaggio. Dopo l’oro mondiale a cronometro e con tutte le preoccupazioni riguardanti il contratto, non era scontato che riuscisse a fare un lavoro così egregio.

Michael Valgren, 7,5: Protegge il più possibile l’azione di Pedersen, anche a costo di limitare le sue ambizioni personali. Ha la colpa, per la verità comprensibile, di perdersi la ruota di Van der Poel quando il neerlandese parte di prepotenza, nel treno che si sarebbe rivelato decisivo. Alla fine però si incolla a Sagan e porta a casa un buon sesto posto. Dopo una stagione con più ombre che luci, dato come si è evoluta la corsa, è un segnale di ripresa.

Alexander Kristoff, 7: D’accordo, la settima posizione probabilmente non era l’ambizione iniziale. Ma il norvegese ha fatto la corsa che gli veniva richiesta, resistendo in salita per poi vincere la volata di gruppo. Che poi valesse solo per una posizione di rincalzo, non è colpa sua: non ha le qualità per pensare di muoversi in anticipo su un percorso di questo genere, né i compagni per ricucire sulle azioni importanti.

Remco Evenepoel, 7: Al suo primo mondiale in linea corre con umiltà, nonostante il grande risultato della cronometro, e spirito di sacrificio. Riesce nell’impresa di riavvicinare Gilbert dopo la caduta, permettendogli di guadagnare quasi un minuto. Poi, quando si sposta, per il campione torna il buio totale, a conferma dell’ottimo lavoro. Ormai il belga è leader per come corre ma anche per come si comporta: un diciottenne che consola un campione come Philippe denota una personalità gigantesca.

Peter Sagan, 6,5: Alla partenza le sue ambizioni erano superiori rispetto al quinto posto finale. Gli va riconosciuto che senza una squadra doveva prendere una decisione su quando spendere le energie, sperando poi che fossero gli altri a portarlo sotto sulle azioni precedenti. E correndo sostanzialmente senza compagni, muoversi a più di 30 dall’arrivo sarebbe stato un azzardo enorme. Attacca quando può, all’ultimo giro, e fa la differenza. Se lo avesse fatto prima sarebbe cambiato qualcosa? Resterà il dubbio.

Gorka Izagirre, Carlos Betancur, Toms Skujins, 6,5: Cercano di rispondere una volta intuito che l’attacco di Van der Poel era decisivo, ma non trovano le forze giuste per riagganciarsi al gruppo di testa. In salita non potevano stare con il neerlandese, dopo si sono trovati in inferiorità numerica. A loro vanno riconosciuti coraggio e capacità di lettura della corsa, non supportati dalla giusta fortuna.

Primoz Roglic, Nairo Quintana e i fuggitivi della prima ora, 6: Coraggiosi ad attaccare nella prima parte della corsa, passando buona parte del tempo in avanscoperta. Il loro tentativo spaventa qualche formazione, che non concede troppo spazio. Non danno neanche l’impressione di voler lottare al massimo per poter stare davanti il più possibile, consapevoli del loro destino.

Alberto Rui Costa, 6: Non si vede mai, probabilmente ancora non al meglio della propria condizione. Si getta dentro la volata finale portando a casa un decimo posto che comunque, correndo quasi senza compagni, non è male e può essere un’iniezione di fiducia per gli appuntamenti della prossima stagione, nella speranza di tornare ai livelli ammirati ormai troppi anni fa.

Zdenek Stybar, 5,5: Lo si attendeva per un possibile attacco nel finale, ma si accontenta di rimanere nel gruppo e chiudere nella top 15. Forse la corsa non si evolve in una maniera positiva per lui, ma non fa nulla per cambiare le cose. Poteva essere un outsider, rimane nell’anonimato.

John Degenkolb, 5,5: Con il ritiro di Ackermann, era evidentemente l’uomo di punta della Germania. Riesce anche a tenere le ruote del gruppo principale degli inseguitori, ma non trova le gambe per cercare almeno un piazzamento in volata. Chiude quindicesimo, che su un percorso di questo genere non può renderlo soddisfatto.

Michael Matthews, 5: Tra i vari velocisti, almeno sulla carta, doveva essere uno dei più felici della corsa dura e delle condizioni meteo proibitive. Eppure dopo aver fatto lavorare a lungo la squadra si perde nei momenti decisivi, venendo distanziato anche dal gruppone di inseguitori.

Mathieu Van der Poel, 5: Gli occhi di tanti, se non tutti, sono puntati su di lui. E quando parte a 33 dal traguardo promuove l’azione decisiva. Emoziona, trascina, e risulta decisivo, nel bene e nel male. Perché poi, quando gli si spegne la luce alla fine, crolla impietosamente, uscendo fuori dai primi 40 e perdendo più di 10 minuti in altrettanti chilometri. La bocciatura resta, perché era tra i favoriti e ha valutato molto male le sue condizioni, o la sua alimentazione. Non è totale perché comunque, anche se in maniera troppo generosa (e forse arrogante), è sempre lui a far esplodere le corse.

Alejandro Valverde, 5: Con la grande attenuante di condizioni meteo al limite del proibitivo, abbandonare un mondiale quando la corsa non è ancora entrata nel vivo su un percorso comunque non impossibile non è una prestazione da ricordare. Ha l’attenuante di aver corso la Vuelta a tutta, ma se questa era la sua condizione forse la Spagna non doveva essere costruita intorno a lui.

Julian Alaphilippe, 4,5: Unica punta della Francia, anche quest’anno non si fa vedere mai. Rimane sempre al coperto, facendo muovere di tanto in tanto i propri compagni per provare (spesso inutilmente) a tamponare le diverse azioni. Poi si scioglie nel finale e conclude fuori dai primi venti, senza dare segni di vita. Per ciò che ha fatto vedere nella prima parte di stagione, una prova così opaca è una grossa delusione. Evidentemente non si è ripreso dal Tour, o ha pagato le condizioni atmosferiche.

Belgio, 4: Alla partenza era una corazzata, conclude con un ottavo posto e soprattutto senza mai essere protagonista in testa, ma solo tra gli inseguitori. Vero, perdere Philippe Gilbert (s.v.) prima che la corsa entri nel vivo, sacrificando anche Evenepoel, è un duro colpo, ma non giustifica l’attendismo e l’assenza in ogni azione che si è sviluppata durante la corsa. L’impressione è che Greg Van Avermaet (5) non abbia voluto rischiare di partire troppo presto, finendo ancora una volta con il rimanere tagliato fuori dall’azione giusta.

Pascal Ackermann, Sam Bennett, s. v. : La corsa si rivela ben presto troppo dura per i velocisti puri, ed entrambi sono costretti a ritirarsi dopo aver provato a tenere duro. Difficile giudicare la loro prestazione.

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