DSM, protocolli troppo rigidi alla base dei tanti addii? “Trattati come bambini”. Ma il team si difende: “Siamo sempre aperti al dialogo”

Con l’addio di Tiesj Benoot si è ulteriormente allungato l’elenco di corridori che hanno rescisso anticipatamente il loro contratto con il Team DSM. Il belga è solo l’ultimo nome di una lista (ormai piuttosto lunga) che comprende Tom Dumoulin, Warren Barguil, Marcel Kittel, Michael Matthews, Edward Theuns, Marc Hirschi e, sempre recentemente, Ilan Van Wilder, tutti corridori che, in alcuni casi anche in maniera abbastanza turbolenta, negli ultimi anni si sono separati dalla ex Sunweb prima della scadenza del loro contratto. In molti, ovviamente, si sono chiesti il perché di questi divorzi anticipati, e Sporza ha provato a dare una risposta raccogliendo le testimonianze di diversi corridori che hanno militato (e, in certi casi, militano ancora) nella formazione neerlandese.

“Quando ho firmato con la squadra, ho scelto di accettare le regole”, ha affermato Kevin Vermaerke, che milita nel team da questa stagione. Regole che, però, ogni tanto sarebbero un po’ troppo rigide: “A volte si sono spinti un po’ troppo oltre – ha dichiarato un corridore che preferisce mantenere l’anonimato – Le regole erano estreme, soprattutto nell’area dell’abbigliamento. Sul podio di partenza a volte dovevi indossare i guanti, altre volte a nessuno era permesso tenerli addosso“.

Una rigidità confermata anche dall’ex pro Zico Waeytens: “Una volta, dopo la Clasica San Sebastian, la squadra mi ha chiamato: ‘Hai lavorato bene. Tom Dumoulin era molto felice di te. Ma abbiamo visto che non avevi il cappellino del podio quando sei andato a firmare il foglio di partenza‘. Si lamentavano di tutte quelle piccole cose. Ma come corridore non vuoi pensare a queste cose, vuoi principalmente allenarti e gareggiare”.

Anche per gli allenamenti bisogna seguire regole ferree: “Guai se ti fossi allenato un po’ diversamente per un giorno – ha aggiunto un altro ex corridore anonimo – Ti avrebbe subito chiamato un membro del personale arrabbiato e ti saresti dovuto giustificare. Avevano un protocollo per tutto. È stato davvero estremo. E ogni anno venivano aggiunte nuove regole. Regole che danno sui nervi ai corridori“.

Siamo stati trattati come bambini piccoli – affermano altri corridori – Se facevi qualcosa di sbagliato, dovevi stare in un angolo, per così dire. Alcuni corridori potrebbero aver bisogno di questo approccio. Ma soprattutto i corridori più anziani non hanno bisogno di tante regole superflue che poi sono inutilmente complesse. Non conoscono la flessibilità al Team DSM“.

Altre regole impongono di rivolgersi solo ai medici del team in caso di problemi fisici: “Risolvono tutto internamente con esperti – ha dichiarato Bert De Backer, in squadra dal 2009 al 2017 – Quando ho avuto un problema medico, avrei potuto trovare una soluzione migliore con contatti migliori. Ma no: i loro esperti devono risolvere tutto. Da corridore sei obbligato a rivolgerti solo agli esperti del team”.

A questo proposito, Waeytens ha aggiunto: “Durante uno stage invernale ho costantemente indicato che non mi sentivo bene. Nelle classiche non è andata bene, ma la squadra non ha voluto aiutarmi. Poi mi sono fatto fare un esame dello stomaco. Avevo un batterio allo stomaco e un’ulcera. Ho dovuto prendere 120 pillole di antibiotici. Ma il team ha detto: aspetta con gli antibiotici e corri prima il GP Francoforte. Mi ha rovinato tutta la stagione”.

Sempre a Sporza, Iwan Spekenbrink e il direttore sportivo Roy Curvers hanno risposto a queste affermazioni: “Il nostro obiettivo è chiaro: vogliamo vincere le corse con il Team DSM. Ogni corridore si impegna con noi a cercare di farlo insieme, con l’intera organizzazione. Tutti vogliono che tutto sia perfettamente in ordine. L’allenamento in quota, l’abbigliamento, il materiale… Ci avvaliamo di esperti che sono estremamente appassionati, vogliono fare la differenza. Quindi vogliamo sviluppare la qualità insieme. E un corridore deve saper accettare di non avere il controllo su tutto. Attenzione: siamo sempre aperti al dialogo, ma questo deve fondarsi su delle argomentazioni. Si può discutere di tutto”.

“Notiamo che è difficile per alcune persone lavorare insieme – proseguono – Ma questo è davvero importante qui da noi […] Spero che tutti i corridori che hanno testimoniato possano ricordare anche bei momenti con la nostra squadra. Perché qui ci sono molto divertimento e risate. Non siamo dei robot. Al 90% dei nostri corridori piace quella spinta collettiva. Ed è positivo che a volte vengano commessi errori, perché da quelli si impara solo. Le tante inadempienze contrattuali? Forse lì siamo vittime della nostra stessa filosofia. Perché deve essere un male? Pensiamo che sarebbe molto più negativo costringere un corridore a rispettare il contratto se non si sente a suo agio con noi. Allora perché fargli sprecare un anno della sua carriera?”.

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