Israel Start-Up Nation, quattro medici in prima linea contro il Covid-19

Il Covid-19 ha sconvolto le vite di tutti. Nell’ambito del ciclismo, da settimane non ci sono più corse di ogni livello e alcuni corridori non possono neppure uscire in strada per allenarsi, visti i provvedimenti di contenimento decisi in alcune nazioni. E anche per i dottori che normalmente seguono preparazione e attività agonistica degli atleti, è cambiato decisamente il panorama. È il caso dello staff della Israel Start-Up Nation, che ha quattro medici, di quattro nazionalità diverse, impegnati in prima linea contro il Coronavirus. I loro racconti fanno capire, una volta di più, quale sia la situazione attuale, in Italia e nel mondo.

Uno dei dottori in questione è Maurizio Piombo, attivo in Liguria. Per la precisione, in un luogo caro agli appassionati del ciclismo, Sanremo: “Ero appena uscito dalla casa di una persona con sintomi sospetti – racconta il medico della squadra israeliana – Stavo lì, in mezzo a una via Roma vuota, bloccato con i ricordi di giusto anno prima, quando siamo arrivati lì con la carovana della Milano-Sanremo. Migliaia di persone in strada, eccitati dall’idea di accogliere il primo gruppo di corridori che si sarebbe dato battaglia sulla linea d’arrivo”.

Adesso, quella sembra una scena da un altro pianeta. Il 60enne dottore è impegnato, deve correre da pazienti che lo attendono in un improvvisato studio poco lontano. Lì, Piombo e altri colleghi visitano queste persone per capire se i loro sintomi sono abbastanza evidenti per giustificare un test (l’ormai celebre “tampone”). Si decide poi per l’ospedalizzazione o per l’isolamento. Ora il medico lavora 20 ore al giorno, lui che in tempi normali si occupava dei corridori della Israel, appena passata al livello World Tour, accompagnandoli in gara e trattando i loro infortuni: “Mi manca – dice Piombo – Non vedo l’ora del giorno in cui potremo tornare a quella vita”.

Il dottor Piombo sa che in Italia centinaia, se non migliaia, di colleghi e di personale medico hanno contratto il virus: “Vivo con questa paura – le sue parole – Ma non lascio che mi controlli. Quando sto lavorando, mi impedisco di pensarci. Fortunatamente, qui a Sanremo, non siamo stati colpiti come a Bergamo. Stiamo testando sempre più persone e, con il ‘lockdown’, stiamo vedendo le prime indicazioni di aver raggiunto il picco. Ma ho anche paura che altri paesi dovranno affrontare quello da cui siamo passati noi nei giorni peggiori”.

Più di 1000 chilometri a nord, a Waregem, in Belgio, il dottor Dag Van Elslande è in servizio in una stanza del locale Palazzetto dello sport. Lì dove giocatori di altri sport si cambiavano ora è stato allestito un servizio di “triage”. Quando le persone arrivano, attendono all’interno del campo, dove ci sono sedie, una a tre metri di distanza dall’altro. Van Elslande li visita e poi decide: a casa, oppure in ospedale, con il “Corona transport”, un’ambulanza speciale. In Belgio la situazione non è tragica come in Italia, ma “le trincee della guerra al Covid-19 sono tutte uguali – dice il dottore, che sta svolgendo questo compito da volontario – Siamo tutti consci dei pericoli che stiamo affrontando. Quando le corse sono state bloccate e tutti siamo tornati a casa, mi sono detto che non potevo restare a casa senza fare nulla. Volevo essere utile nel modo in cui potevo esserlo”.

Van Elslande è alla trentesima stagione da medico di una squadra di ciclismo, la prima con la Israel Start-Up Nation. È stato lui a stare molto vicino a Ben Hermans in occasione della sua bruttissima caduta al Tour Down Under 2020 e ancora adesso il belga si tiene in contatto con i suoi corridori. Li chiama, ci parla, tiene sotto controllo il loro peso e si assicura che seguano il giusto regime alimentare: “È dura non prendere peso quando sei confinato a casa e non puoi gareggiare. Provo a ricordargli quanto sarà importante essere pronti quando avremo la possibilità di riprendere e che avranno molte meno opportunità per farsi vedere”.

Nella guerra al Covid-19, l’Israel Start-Up Nation ha anche il francese Cyril Barthomeuf (in servizio all’ospedale universitario di Grenoble) e il tedesco Ortwin Schafer, che è il capo della struttura sanitaria della formazione israeliana. Quest’ultimo, ha trovato solo il tempo di scrivere un messaggio: “Settimana scorsa ho avuto 650 pazienti. Stiamo lavorando 24 ore al giorno. Penso sia così dappertutto, questo virus uccide”.

Uno dei corridori, il sopracitato belga Hermans, non nasconde la sua ammirazione: “Ho chiamato alcuni dottori che lavorano nell’ospedale della mia città e uno di loro è stato infettato dal Covid-19 proprio perché stava aiutando altre persone.  Così ti rendi conto di quanto i dottori della nostra squadra e tutti i loro colleghi siano pronti a sacrificarsi per gli altri”.

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