Pagelle Tour de France 2022: Meraviglia Vingegaard, Van Aert è totale; Pogačar da applausi, regolarità Thomas, Italia non benissimo

Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma), 10 e lode: Da garzone al mercato del pesce in Danimarca a re del Tour de France 2022. Questa è la parabola entusiasmante di Jonas Vingegaard che vincendo la Grande Boucle entra di diritto nella storia. Se tutti fino alla partenza da Copenaghen si chiedevano come fosse possibile battere Pogacar, il danese lo ha dimostrato a tutti con una grande costanza di rendimento e una forza incredibile in salita. Il classe 1996, però, non è solo grande per le sue vittorie (due tappe, la Maglia Gialla e la Maglia a Pois), ma per il suo atteggiamento: nonostante la grande rivalità con lo sloveno che ha appassionato per tre settimane tutti gli appassionati di ciclismo, si dimostra anche con un grande cuore quando aspetta l’avversario caduto in discesa. Arrivato nell’Olimpo del ciclismo in maniera graduale, adesso si candida ad essere ancora grande protagonista nelle corse a tappe delle prossime stagioni.

Wout van Aert (Jumbo-Visma), 10: Non ci sono parole per descrivere il Tour de France del fenomeno belga. Dopo tre secondi posti consecutivi ottenuti in Danimarca, infatti, il classe 1994 arriva in Francia determinato a far saltare il banco e dopo aver vinto in Maglia Gialla la quarta frazione non si ferma più. Il bilancio finale parla di tre successi parziali e la conquista della Maglia Verde con tanto di record di punti, ma questo non basta a raccontare la sua Grande Boucle: il nativo di Herentals, infatti, mentre fa incetta di punti e vittorie trova anche il tempo e le energie di fare il gregario e aiutare Vingegaard a vincere il Tour (è il suo il forcing che sull’Hautacam costringe Pogacar alla resa definitiva). Nelle poche tappe in cui non è protagonista lo fa per lasciare spazio ai compagni, come nella frazione vinta da Laporte o nella passerella finale sui Campi Elisi in cui taglia il traguardo abbracciato alla Maglia Gialla.

Tadej Pogačar (UAE Team Emirates), 9: Nello sport qualcuno deve pur perdere. Ma quella dello sloveno è una sconfitta da applausi. Alla vigilia, con i due Tour precedenti in bacheca, era il grande favorito, e per 10 giorni ha fatto letteralmente il bello e il cattivo tempo, incantando sul pavé e facendo la differenza su tutti i terreni. Poi, è caduto nel “trappolone” che gli ha posto la Jumbo-Visma, lui che invece spesso (ma non sempre) si è trovato senza l’aiuto dei compagni di squadra: nella tappa del Col du Granon si è speso per inseguire tutti e alla fine ha pagato, incassando quel divario da Vingegaard che ha poi condizionato il resto del Tour. Ma, a ben guardare, il suo bilancio finale è eccezionale: oltre al secondo posto nella generale, ci sono tre vittorie di tappa (oltre che altri 4 podi di giornata) e la Maglia Bianca. In 21 tappe è stato 12 volte nella Top 10 al traguardo: si potrà anche criticare, ma i numeri – eccezionali – sono lì da vedere.

Geraint Thomas (Ineos Grenadiers), 8,5: Dopo tre anni torna sul podio del Tour de France con una prestazione di grandissima regolarità, ritrovando un livello che da tempo non gli si vedeva, tanto che sia lui che la squadra hanno paragonato la sua prestazione a quella che nel 2018 gli permise di vincere la corsa. Solido a cronometro e sul pavé, sempre attento in ogni circostanza, negli unici momenti di vera difficoltà trova la squadra ad offrigli ottimo sostegno, rimanendo regolarmente l’ultimo a cedere il passo ai due “enfants terribles”. E pensare che doveva essere il terzo uomo del team, gregario di lusso che magari si poteva prendere un piazzamento…

Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), 8,5: In un Tour in cui i velocisti hanno avuto poche occasioni di giocarsi le loro carte, il belga è l’unico sprinter a riuscire a confermarsi. Dopo aver già vinto a Carcassone la quindicesima tappa, infatti, il classe 1998 chiude il Tour con la ciliegina sulla torta vincendo la volata sui Campi Elisi. I tanti piazzamenti nelle altre volate fanno di lui il velocista più regolare del Tour, come dimostra il secondo posto nella classifica a punti, battuto solo da un superlativo Wout van Aert.

Michael Matthews (BikeExchange-Jayco), 8,5: Protagonista in più di un’occasione, ha scelto di buttarsi nelle fughe per provare a prendersi quella vittoria di tappa al Tour che gli mancava dal 2017. E la vittoria è arrivata, su uno dei traguardi più significativi di questa edizione, quello difficilissimo di Mende, al termine di un entusiasmante duello con Alberto Bettiol. Solo quell’azione può valere all’australiano un bel voto, ma non si possono dimenticare i due secondi posti, ottenuti dietro due mostri come Pogačar e Van Aert, e anche il lavoro svolto a favore di Dylan Groenewegen, laddove la strada lo ha reso possibile.

Christophe Laporte (Jumbo-Visma), 8,5: Il Tour del francese è praticamente perfetto come quello di tutta la sua squadra, simbolo dei gregari pronti al sacrificio come Sep Kuss (7,5), Stevan Kruijswijk (7) e Nathan Van Hooydonck (7,5). Il suo lavoro per i capitani è encomiabile, che si tratti di inserirsi in fuga, tirare per Vingegaard in salita o lanciare la volata a Van Aert. Ricevuto il via libera di giocarsi le sue carte al diciannovesimo giorno di corsa, poi, non sbaglia, andando a prendersi a Cahors una vittoria di tappa incredibile, con un’accelerazione che lascia sulle gambe tutti gli avversari.

David Gaudu (Groupama-FDJ), 8: Puntava dichiaratamente al podio e tutto sommato non ci finisce così lontano. Forse, con più fiducia nei suoi mezzi, avrebbe anche potuto giocarsi davvero l’accesso alla vetrina degli Champs Elysées, ma le sue tre settimane restano comunque di altissimo livello, confermando di poter essere un corridore in grado di fare classifica in corse di tre settimane. Al suo fianco una squadra che ha in Valentin Madouas (8) il gregario più prezioso, ma non vanno dimenticati neanche i contributi di Thibaut Pinot (6,5), spesso anche all’attacco malgrado una condizione tutt’altro che ideale, Michael Storer (6), che a sprazzi fa vedere le sue qualità al fianco del capitano, e Stefan Kung (6,5), che non brilla in prima persona, ma è pronto a sacrificarsi per la causa del team in più di una occasione, partendo dal pavé.

Magnus Cort Nielsen (EF Education-Easypost), 8: Anche se non è arrivato a Parigi (il Covid ha colpito pure lui), il danese è sicuramente stato uno dei grandi protagonisti di questa edizione della Grande Boucle. Dopo aver divertito i tifosi (ed essersi divertito a propria volta) nella “sua” Danimarca facendo le volate per i GPM, si gode la possibilità di indossare la Maglia a Pois per oltre una settimana andando in fuga per più di 500 chilometri. Le soddisfazioni per lui, però, non finiscono qui: al termine di un’altra lunga fuga, infatti, va a prendersi a Megève una bellissima vittoria di tappa grazie anche al grande aiuto di Alberto Bettiol.

Alexsandr Vlasov (Bora-hansgrohe), 8: Con grinta e determinazione ha saputo raddrizzare un Tour che sembrava scivolare verso l’anonimato. Le cadute lo hanno condizionato e in pratica lo hanno estromesso dalla lotta per le primissime posizioni, anche se molto probabilmente in salita non sarebbe in ogni caso al livello di Pogačar e Vingegaard. Nell’ultima settimana, però, ha affrontato le tappe pirenaiche con il giusto atteggiamento, riuscendo a recuperare diverse posizioni in classifica. La cronometro del penultimo giorno, poi, ha sancito la sua rimonta, che lo ha portato al quinto posto finale. Era al suo primo Tour ed ha solo 26 anni: potrà fare ancora meglio.

Primož Roglič (Jumbo-Visma), 8: Lo sloveno mette tutta la sua grande classe e tutto il suo cuore in questo Tour de France fino a che il suo corpo lo consente. Caduto nella tappa del pavè, infatti, il classe 1989 si sistema da solo la spalla lussata e rientra in corsa. Dopo aver perso secondi importanti decide di mettersi a disposizione di Jonas Vingegaard: con i suoi attacchi sul Col du Galibier contribuisce, infatti, a mettere in difficoltà Tadej Pogacar che poi al termine di quella giornata sarà costretto a cedere la Maglia Gialla al danese. Uscito di classifica rimane ancora al fianco del compagno di squadra per altre tre tappe prima di abbandonare la corsa: solo dopo scoprirà di aver corso con un brutto infortunio alla schiena.

Brandon McNulty (UAE Team Emirates), 7,5: Molto altalenante, nelle ultime giornate emerge quando serve, andando a sostituire di fatto uomini come Rafal Majka (8), Marc Soler (7), e George Bennett (sv), costretti al ritiro nelle frazioni precedenti, lasciando la squadra in difficoltà. Lo statunitense è così grande protagonista, assieme a Mikkel Bjerg (7) della tappa di Peyragudes, chiusa in terza posizione dopo aver fatto esplodere il gruppo. Sprazzi che ne confermano le qualità, pur necessitando di maggiore costanza, anche e soprattutto se vuole poi avere un ruolo da protagonista in prima persona a questi livelli.

Mads Pedersen (Trek-Segafredo), 7,5: Una vittoria, tanti piazzamenti e ancor più grinta per l’ex campione del mondo. Tra gli uomini più attesi di una squadra che arriva dichiaratamente per puntare alle tappe, il danese parte subito a tutta per provare a lasciare il segno sulle strade di casa. Non ci riesce, ma non si dà per vinto e cerca sempre di trovare la giusta occasione quando ne ha la possibilità. In un percorso non proprio disegnato per corridori come lui, non manca anche di mettersi al servizio del team.

Romain Bardet (Team DSM), 7,5: Dopo la delusione del Giro, prova a fare il miracolo e si presenta al via del Tour. La preparazione è inevitabilmente raffazzonata, facendo emergere con il passare dei giorni le difficoltà di un corridore che altrimenti sembra aver ritrovato lo smalto di un tempo, unito ad una grande esperienza e senso tattico che arrivano con l’età. Il piazzamento finale conferma che senza i passaggi a vuoto che sono apparsi inevitabili in queste settimane, il risultato poteva essere all’altezza dei suoi migliori traguardi.

Fabio Jakobsen (Quickstep-Alphavinyl), 7,5: Ha l’arduo compito di non far rimpiangere l’assenza del recordman Mark Cavendish, fresco di quattro vittorie e maglia verde lo scorso anno. Non ci riesce, andando ben lontano dai risultati del britannico, ma non per questo il suo Tour è un fallimento. Anzi, dopo quanto vissuto in questi due anni, essere riuscito a conquistare il suo primo successo alla Grande Boucle, riuscendo anche a portarla a termine (flirtando suo malgrado con il tempo massimo in un paio di occasioni), è un risultato non da poco.

Bob Jungels (AG2R Citröen Team), 7,5: Il Tour de France 2022 sarà ricordato anche come quello della rinascita di Bob Jungels. Dopo aver già dato segnali incoraggianti nel mese di giugno, il lussemburghese si mette definitivamente alle spalle tre anni da incubo con una grande vittoria di tappa. Dopo essere andato all’attacco con un’azione molto azzardata nella nona tappa riesce a resistere in salita al rientro di uno scalatore come Thibaut Pinot. Il classe 1992 prova ad andare ancora in fuga nelle giornate successive per cercare di fare punti per la Maglia a Pois.

Hugo Houle (Israel-PerimerTech), 7,5: Una splendida ed emozionante vittoria quella del canadese, solido e affidabile gregario che improvvisamente trova la sua giornata di grazia e la capitalizza come meglio non avrebbe potuto. Primo successo fra i professionisti (e che successo) per un corridore generoso, sempre pronto a mettersi al servizio del team su qualsiasi terreno.

Thomas Pidcock (Ineos Grenadiers), 7,5: Con la vittoria di tappa sull’Alpe d’Huez il britannico salva un Tour altrimenti anonimo. Tra le tante immagini che questa edizione della Grande Boucle consegna alla storia del ciclismo c’è anche quella della discesa dal Col du Galibier del campione olimpico di Mountain Bike: un’azione che gli permette di riportarsi sulla fuga da cui poi uscirà vincitore a fine tappa. Al primo Tour della sua carriera prova ancora a fare classifica, ma la sua azione si spegne progressivamente, tanto che a Parigi ha oltre un’ora di ritardo da Vingegaard.

Louis Meintjes (Intermarché-Wanty-Gobert), 7,5: La crono finale rovina tre settimane in cui dimostra di saper anche correre in maniera offensiva. L’ex promessa sudafricana conclude così la corsa in ottava posizione, regalando alla squadra la prima top10 in un grande giro e uguagliando il suo migliori risultato in carriera, ottenuto ormai cinque anni fa. A 30 anni ormai compiuti, difficilmente potrà chiedere molto di più, ma, dopo alcune stagioni difficili, si ritrova corridore che può ottenere risultati di prestigio.

Yves Lampaert (Quick-Step Alpha Vinyl), 7: La vittoria nella cronometro di apertura vale una carriera, ma il suo Tour de France non è stato certo perfetto. Dopo il primo giorno, infatti, il belga va sempre più spengendosi, faticando sempre più ad aiutare i compagni di squadra e deludendo decisamente nell’ultima prova contro il tempo, chiusa ad oltre sette minuti dal vincitore.

Dylan Groenewegen (Team BikeExchange-Jayco), 7: Anche per lui un successo che gli consente di mettersi alle spalle due anni molto difficili, per vari motivi. Dimostra inoltre di aver fatto bene a cambiare squadra per non accontentarsi di un ruolo marginale, potendo invece meritare un team al suo servizio anche in corse di massimo prestigio. In un paio di occasioni forse gli mancano anche i compagni per poter ottenere di più.

Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan), 7: Non è stato certo il corridore più appariscente, ma è abile a costruire la seconda top10 consecutiva dopo il bel settimo della passata stagione, che per molti era un exploit irripetibile. Partito piuttosto male, si ricostruisce grazie alla sua consueta grinta e a un buon senso tattico, che gli permette di indovinare le mosse giuste in alcune giornate decisive, tuttavia è anche bravo nelle ultime giornate a gestirsi nel confronto diretto, confermando di poter superare bene le tre settimane.

Alberto Bettiol (EF Education-Easypost), 7: Alla fine, è il corridore italiano che si è visto di più, e meglio. Al netto delle polemiche per la sua azione – peraltro notevole – nella tappa del pavè, che è probabilmente costata la Maglia Gialla al compagno di squadra Powless, il toscano è stato spesso nel cuore delle manovre di fuga. Il tentativo meglio riuscito è stato quello di Mende, dove Bettiol è andato vicino al successo di tappa, mettendo anche le ruote davanti a quelle di Matthews prima di venire rimontato e superato. Quinto sull’impegnativo traguardo di Losanna, il vincitore del Giro delle Fiandre 2019 è stato anche fondamentale nel successo di tappa del compagno di squadra Magnus Cort Nielsen.

Simon Clarke (Isarael-PerimerTech), 7: Il Covid interrompe anzi tempo un Tour de France che comunque l’australiano può considerare positivo. A 36 anni, dopo aver già vinto due tappa alla Vuelta, il nativo di Melbourne si toglie anche la soddisfazione di andare a segno alla Grande Boucle e per farlo sceglie una delle tappe più iconiche, quella del pavé. Andato in fuga fin dal mattino, infatti, il classe 1986 ha gestito al meglio il finale andandosi a prendere il successo con una volata epica.

Quinn Simmons (Trek-Segafredo), 7: Tra i corridori più in vista di questa edizione, l’ex iridato juniores si conferma corridore completo e sempre pronto a correre all’attacco, che sia per sé stesso o per mettersi al servizio del team. Tre settimane di alto livello, che pur non dando i frutti sperati potranno essere molto importanti nel suo percorso di crescita.

Fred Wright (Bahrain-Victorious), 7: Pur senza centrare il successo, il giovane britannico è spesso tra i protagonisti di giornata, affermandosi tra i pochi del suo team a salvarsi. A volte pecca magari anche di inesperienza, spendendo malamente energie che sarebbero potute risultare preziose in altri momenti, ma la sua duttilità ne fa un cacciatore di tappe perfetto e presto i risultati in tal senso arriveranno se continuerà ad avere la libertà di provarci.

Alberto Dainese (Team DSM), 7: Tra le poche liete novelle tra gli italiani in queste tre settimane, il velocista veneto si porta a casa un podio di tappa e alcuni altri piazzamenti importanti. Dopo il successo al Giro a maggio, si conferma sprinter completo e coriaceo, che in futuro potrà lottare per traguardi di altissimo livello. Importante per lui anche riuscire a portare a termine il terzo GT consecutivo (nel vero senso della parola), sempre salendo quantomeno sul podio di tappa.

Nairo Quintana (Arkéa-Samsic), 6,5: Partito in sordina, emerge con le prime montagne, tanto da sembrare un candidato per la lotta al podio, ma poi nel finale cala sempre più, fino ad uscire dalla Top 5 nella cronometro conclusiva. Il sesto posto finale è comunque il suo miglior risultato in un GT da tre anni e il miglior piazzamento al Tour da quel terzo podio consecutivo che ottenne nel 2016, ridandogli così grandi speranze dopo alcuni anni difficili.

Luca Mozzato (B&B Hotels-KTM), 6,5: Un altro dei pochi italiani che riescono a lasciare in qualche modo il segno in questo Tour de France, il velocista vicentino si fa notare per la sua costanza nei piazzamenti. I migliori sono ancora un gradino sopra, ma è gettandosi nella mischia come ha fatto lui che si impara e questo primo GT per lui è sicuramente un successo.

Adam Yates (Ineos Grenadiers), 6,5: Il suo Tour è ben lontano dalle aspettative, ma la generosità con cui lo affronta, trasformandosi da capitano in prezioso ultimo uomo, è lodevole. Così come la grinta e la determinazione che mette sui pedali per portare a termine la corsa, lottando per un piazzamento comunque importante per il team, malgrado le difficoltà di salute che ne condizionano le prestazioni.

Chris Froome (Israel-PremierTech), 6,5: Il Covid non gli ha permesso di portare a termine la corsa, ma il britannico ha fatto vedere qualche sprazzo di qualità. Siamo sempre ben lontani dai fasti del passato, ma i tentativi di entrare nelle fughe di giornata sono stati apprezzati. E in un’occasione Froome nel tentativo giusto ci è anche entrato, in una tappa tutt’altro che banale. Il suo terzo posto all’Alpe d’Huez, alle spalle di Pidcock e Meintjes, è una dimostrazione che la sua carriera non è ancora finita. Vincere il quinto Tour de France sarà impossibile, ma il “kenyano bianco” può ancora scrivere qualcosa sulle pagine della storia del ciclismo.

Nils Politt (Bora-hansgrohe), 6,5: Tra i più generosi, prova spesso ad attaccare per sé o per la squadra. Alla fine dei conti il bottino è piuttosto magro, ma con le sue caratteristiche non era semplice riuscire a portarsi a casa qualcosa in questa edizione del Tour de France, specialmente dovendo anche fare da balia ai propri capitani in alcune tappe che invece potevano sorridergli.

Simon Geschke (Cofidis), 6,5: Porta la maglia a pois per due settimane, indossandola anche nella tappa di Parigi, ma gli ultimi giorni sono solo una beffa per lui, visto che in classifica è superato da Jonas Vingegaard. Se in salita sono in molti ad essere più forti di lui, in termini di generosità in queste tre settimane non c’è stato nessuno come lui, pronto a lottare con le unghie e con i denti su ogni GPM possibile per le sue caratteristiche, fino alla inevitabile resa armi in mano.

Neilson Powless (EF Education – EasyPost), 6,5: Generoso e grintoso, sfiora la vittoria di tappa e la Maglia Gialla nella tappa del pavé, per poi correre provando a tenere le posizioni di vertice. La missione non riesce, ma non naufraga, provando ancora qualche volta a farsi vedere in testa, fino a raccogliere un piazzamento che fa comunque comodo al team.

Luis Leon Sanchez (Bahrain-Victorious), 6,5: A 38 anni centra il terzo miglior risultato in un GT, il migliore dal 2010. Corridore che negli anni passati si era dimostrato tra i migliori cacciatori di tappe, quest’anno fa fatica in questo ruolo, ma con la sua grinta e determinazione ottiene un piazzamento figlio di grande costanza e resistenza. Con il 14° posto finale è anche il miglior spagnolo della spedizione, una delle poche note positive di un team che per il resto non brilla di certo.

Simone Velasco (Astana Qazaqstan), 6: Miglior italiano a Parigi è un titolo aneddotico, ma chi avrebbe puntato sul suo nome per riuscirci? Una corsa di costanza e generosità, con qualche piazzamento che ne conferma la duttilità, gli fanno chiudere la corsa in 31ª posizione, ultimo uomo al fianco di Lutsenko.

Peter Sagan (TotalEnergies),5,5: Dopo una ottima partenza, che fa sperare di averlo ritrovato del tutto, si spegne con il passare delle settimane. Viste le tante difficoltà nella preparazione, con i sintomi del long-covid che lo condizionano probabilmente ancora, ha comunque numerose attenuanti di cui bisogna tener conto.

Filippo Ganna (Ineos Grenadiers), 5,5: La sfortuna ci mette lo zampino il primo giorno, la fatica lo condiziona poi al penultimo su un tracciato comunque tutt’altro che ideale per le sue caratteristiche, ma nel complesso è chiaro che fisicamente non era il solito Ganna quello che abbiamo visto in queste tre settimane. È comunque sempre disponibile per il team, pronto a sacrificarsi, cercando anche in qualche occasione la carta personale.

Giulio Ciccone (Trek-Segafredo), 5,5: La buona volontà non basta a salvare il Tour de France dell’abruzzese. Dopo una prima settimana tormentata a causa di un problema di salute, nelle ultime due prova ad andare in fuga con il doppio obiettivo della Maglia a Pois e della vittoria di tappa. Molto generoso in tutte le azioni in cui riesce ad infilarsi, nelle fasi decisive della tappa l’azzurro finisce per spengersi.

Enric Mas (Movistar), 5: Parecchia distanza fra le dichiarazioni e la realtà. Lo spagnolo era indiziato quantomeno per essere protagonista nella lotta per le prime 5 posizioni della generale. Il capitano della Movistar però è affondato nella frazione spartiacque del Tour, quella del Col du Granon, al termine della quale è arrivato con 8′ di ritardo da Jonas Vingegaard. Nei giorni successivi, però, lui stesso si era detto voglioso di rientrare nelle posizioni di rilievo (“Qualcuno di quelli davanti potrà cedere”, aveva detto), ma alla fine a cedere è stato proprio lui. Sono emersi problemi psicologici nell’affrontare le discese, ma, complessivamente, il rendimento è stato sotto le attese. La triste ciliegina è stato il Covid, che lo ha costretto a ritirarsi.

Mathieu van der Poel (Alpecin-Deceuninck), 5: Nel Tour de France che ha visto spadroneggiare il rivale Van Aert, lui è mancato del tutto. Reduce da un Giro d’Italia corso sempre all’attacco, il neerlandese si è avvicinato alla Grande Boucle con circospezione e aveva fatto vedere qualche segnale interessante nella cronometro di apertura. Poi, però, è affondato: qualche tentativo di attacco, senza particolare costrutto, e le “stecche” nelle tappe che lui stesso aveva messo nel mirino, ovvero quella del pavé e quella di Longwy. Il suo Tour finisce a metà percorso, in una frazione in cui prima va all’attacco e poi decide di salire in ammiraglia. Confuso, quantomeno.

Ion Izagirre (Cofidis), 5: Dopo il ritiro dello sfortunato Guillaume Martin, la formazione francese si affida soprattutto a lui, anche per un potenziale risultato in classifica, ma lo spagnolo non si vede quasi mai. E quando si vede, scompare abbastanza presto.

Rigoberto Uran (EF Education – EasyPost), 5: Ci prova qualche volta, ma la condizione è ben lontana da quella necessaria per poter lasciare il segno. Ancora un Tour da dimenticare per lui, che continua una spirale negativa da qualche anno a questa parte, condizionata da molta sfortuna.

Bahrain Victorious, 5: L’anno scorso fu un Tour de France memorabile, scandito da 3 vittorie di tappa e anche dal primo posto finale nella classifica a squadre. Stavolta, dopo un avvicinamento tutt’altro che semplice, soprattutto per via delle indagini di cui è tuttora oggetto, la squadra del Bahrain stecca clamorosamente. Nessuna vittoria, il miglior uomo in classifica generale al 19esimo posto e solo due piazzamenti fra i primi tre. I vari Dylan Teuns e Matej Mohoric hanno provato spesso a entrare nelle fughe di giornata, ma i risultati del recente passato sono rimasti lontani, e il voto per loro non può che essere questo

Caleb Ewan, 5: La grinta c’è tutta, ma i risultati non seguono. Dopo il fallimentare Giro d’Italia, anche il Tour de France è un disastro per lo sfortunato corridore australiano, che si deve arrendere ad un paio di cadute che gli impediscono di giocarsi le sue carte in giornate adatte a lui, condizionandolo poi per il resto della corsa. Bravo stavolta ad arrivare fino in fondo (sarebbe infatti lui il nostro consueto 10 per la lanterne rouge), non riesce poi a fare molto di più.

Astana Qazaqstan, 4,5: Non fosse stato per la generosità di Alexey Lutsenko, capace di arrampicarsi fino al nono posto della classifica generale, la formazione kazaka sarebbe stata letteralmente non pervenuta. Nel bilancio di fine Tour de France ci sono solo 3 piazzamenti nei primi 10 di giornata (nessuno nei primi tre) e qualche tentativo di fuga, soprattutto da parte di un generoso Simone Velasco. Gianni Moscon non era in condizione causa long-covid e si è presto ritirato, Fabio Felline ha lottato per rimanere in gara, dovendo poi arrendersi. Gli altri si sono visti proprio poco, confermando l’impressione di una squadra in crisi di morale e risultati.

Ben O’Connor (Ag2r Citroën), sv: Arrivato con grandi ambizioni dopo il quarto posto dello scorso anno e le belle prestazioni nelle corse di avvicinamento, è costretto a salutare anzitempo per una caduta.

Lennard Kämna (Bora-hansgrohe), sv. Tanta grinta e tanta sfortuna per un corridore che comunque si conferma tra i più interessanti.

Guillaume Martin (Cofidis), sv: Il suo Tour dura troppo poco e anche se non sembrava al meglio, resta impossibile da giudicare.

Kasper Asgreen (Quick-Step Alpha Vinyl), sv: Stringe i denti sin dalla partenza per un problema al ginocchio, ma deve poi ritirarsi senza essere riuscito a lasciare il segno.

Warren Barguil (Arkéa-Samsic), sv: Apparso piuttosto pimpante, è costretto a fermarsi per una positività al covid quando si stava arrivando sul suo terreno.

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