Ad oltre un anno e mezzo dal ritiro Nacer Bouhanni ritorna a parlare della sua carriera e delle conseguenze psicologiche che le tante cadute hanno avuto su di lui. Intervistato da L’Equipe durante la produzione del documentario “Crash, peloton sous tension” che va ad analizzare proprio il ruolo degli incidenti e delle cadute sui corridori, il 34enne di Epinal ha raccontato le profonde difficoltà vissute specialmente durante gli anni conclusivi della sua carriera, in cui spesso la paura degli incidenti ha preso il sopravvento sulle sue capacità da corridore e lo ha portato a definire il ciclismo “lo sport più pericoloso al mondo“.
“Arrivato alla fine della mia carriera pensavo troppo, ma la verità è che quando arrivi allo sprint è già troppo tardi per pensare – spiega il corridore transalpino – Ho iniziato a dire a me stesso che se fossi andato in un determinato punto della strada avrei rischiato di cadere, ho iniziato a pensare che se fossi dovuto cadere era meglio farlo in un determinato punto rispetto ad un altro. Quando inizi a farti queste domande, però, non ha più senso andare a fare le volate. Le cadute mi hanno lasciato delle cicatrici indelebili a livello psicologico“.
Il classe 1990 ricorda poi quella che è stato l’incidente che lo ha segnato di più e che ha contribuito a fargli prendere la decisione di appendere il caschetto al chiodo e di ritirarsi dal ciclismo. Era il 2022, e Bouhanni era impegnato al Giro di Turchia quando, nel corso della seconda tappa, una bruttissima caduta causata da uno spettatore poco attento gli ha causato la frattura della prima vertebra cervicale. Dopo quell’episodio ci sono voluti poi 10 mesi per rivedere il francese in sella, prima del ritiro arrivato al termine della stagione successiva: “Ero in gruppo tra la decima e la quindicesima posizione. Eravamo tutti ruota a ruota e poi in un istante è stato come se ci fosse una barriera umana davanti a me. Io sono caduto e ho capito subito che era un problema serio. Non riuscivo a tenere su la testa senza reggerla. Poi sono arrivati i medici. Io ero a rischio paralisi, sono collassato. Quella sera ho chiamato la mia famiglia e ho capito che per me l’avventura nel ciclismo era finita“.
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