UCI, le corse femminili vietate alle atlete transgender che hanno effettuato la transizione dopo la pubertà

L’Unione Ciclistica Internazionale ha annunciato venerdì che d’ora in poi bandirà i ciclisti transgender dalle competizioni femminili. Dopo alcuni mesi di polemiche, non solo nel ciclismo, l’UCI ha ufficializzato oggi la propria posizione riguardo un argomento molto importante e delicato vietando alle atlete transgender che hanno effettuato la transizione dopo la pubertà di partecipare alle competizioni internazionali. La decisione è arrivata al termine di una riunione straordinaria svoltasi lo scorso 5 luglio, cambiando così in maniera decisiva le regole attuali, non essendoci più un regolamento internazionale imposto dal Comitato Olimpico Internazionale al riguardo.

Finora il regolamento consentiva infatti alle donne transgender che avevano attraversato la pubertà maschile di partecipare agli eventi femminili se i loro livelli di testosterone – ormone maschile secreto in quantità maggiore negli uomini rispetto alle donne – erano stati ridotti a 2,5 nanomoli per litro nei due anni precedenti.  Le nuove regole entreranno in vigore il 17 luglio, ma potrebbero cambiare in futuro in base all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.

Secondo il presidente David Lappartient, è “dovere” dell’organismo “garantire soprattutto le pari opportunità per tutti i partecipanti […] È questo imperativo che ha portato l’UCI a concludere” che “non era possibile, a titolo precauzionale, autorizzare” le atlete transgender “a gareggiare nelle categorie femminili”. Le atlete escluse potranno invece decidere di correre con gli uomini per i quali si parla ora di categoria “open”.

A sostegno della sua decisione, l’UCI osserva che “le conoscenze scientifiche non ci permettono di confermare che almeno due anni di terapia ormonale di conferma del sesso con una concentrazione plasmatica di testosterone target di 2,5 nmol/L siano sufficienti a eliminare completamente i vantaggi dati dal testosterone durante la pubertà negli uomini”. Inoltre, prosegue il comunicato, “esiste una notevole variabilità interindividuale nella risposta alla terapia ormonale” e “non si può nemmeno escludere che fattori biomeccanici come la forma e la disposizione delle ossa degli arti anteriori costituiscano un vantaggio persistente per le atlete transgender”.

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