Astana, Lopez: “Mi piacerebbe fare Freccia e Liegi. Quando attacco non guardo il computerino”

Miguel Angel Lopez vuole tornare sul podio di un Grand Tour. E proverà a riuscirci con il più importante, il Tour de France. La competizione francese sarà l’obiettivo principale del colombiano, che ha dichiarato la propria intenzione di essere protagonista al debutto. Un modo per rilanciarsi dopo un 2019 che lo ha visto protagonista di diversi attacchi al Giro d’Italia e alla Vuelta a España, senza tuttavia essere in grado di confermare il terzo posto ottenuto in entrambe le corse nel 2018. Nell’anno delle Olimpiadi, anche Tokyo 2020 chiaramente sarà una corsa a cui guardare con particolare attenzione, dato il percorso molto adatto a chi pedala bene in salita.

Lo scalatore ha parlato dell’imminente stagione in un’intervista a Ciclored, tra obiettivi conosciuti e la speranza di provare nuove corse: “Ha scelto la squadra di mandarmi al Tour. Sono sempre stato aperto alle loro decisioni. Sarà un Tour molto adatto a me, con molta montagna e una cronometro nella terza settimana. Mi motiva molto. Ma farò tutto con calma. I miei compagni mi hanno detto che la prima settimana si va molto forte. Mi piacerebbe anche provare a vincere corse come la Freccia Vallone o la Liegi-Bastogne-Liegi, perché non so come andrei. Vorrei conoscerle, soprattutto provare le sensazioni di una corsa come la Liegi”.

Lopez ha poi ripercorso un 2019 che non è andato completamente come sperava, soprattutto nei Grand Tour: “Non so cosa non abbia funzionato a Giro e Vuelta quest’anno. Ero in forma e avevo una buona squadra. Per salire sul podio tutto deve girare perfettamente, come in una partita a scacchi. A volte si ha fortuna, altre volte ci sono cadute, come ad Andorra nella Vuelta. Ma va bene, fa parte delle corse. Come la decisione di aiutare Roglic a Guadalajara, in quel momento non sapevamo se stavamo facendo la cosa giusta o no. A caldo si pensano mille cose”.

Infine il colombiano si è lanciato in una riflessione sulla tecnologia nel ciclismo, che toglie spazio allo spettacolo: “Quando posso attacco, sono fatto così. Preferisco provarci e fallire piuttosto che stare in gruppo lamentandomi per non averci provato. Quando attacco guardo le gambe, non i numeri del computerino. Se guardo quello non attacco. Il ciclismo attuale è tanta tecnologia, i corridori si concentrano sul Garmin e guardano quello. Mancano ciclisti coraggiosi, non c’è la magia che aveva il ciclismo 10 o 12 anni fa, quando c’erano attacchi a 80 chilometri dall’arrivo. Ora si attacca negli ultimi 500 metri. A me piacerebbe, ma bisogna essere consapevoli che è tutto controllato e si possono perdere anche 20 minuti”.

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