Pagelle Tour de France 2018: Thomas non lascia scampo, Dumoulin cavaliere solitario, Froome e Sagan umani, Roglic e Alaphilippe liete novelle – Delusione Cavendish, Kittel, Yates

Geraint Thomas (Sky), 10 e lode: Corsa perfetta del gallese che parte con un po’ di scetticismo attorno a lui, ma con grandi convinzioni nei propri mezzi. Sin dal primo giorno fa capire ruolo e ambizioni restando davanti quando il teorico capitano perde terreno e da quel momento gli resta sempre davanti, dominando sulle Alpi e apparendo inattaccabile sulle Alpi. Perde solo qualcosa a crono, per non rischiare, ma il suo è un successo netto e inappellabile, sempre in pieno controllo della situazione, su qualsiasi terreno e circostanza, gestendo alla perfezione sia il lato tattico-sportivo che psicologico (in un clima tutt’altro che facile).

Tom Dumoulin (Team Sunweb), 9,5: Secondo al Giro, secondo al Tour. A modo suo compie la sua doppietta, unico in grado realmente di contrastare gli Sky in entrambe le occasioni, restando in lotta sino alla fine. Paga soprattutto la mancanza di una squadra al suo fianco, ma ormai si conferma realtà più che consolidata anche in salita, dove più volte cerca di fare la differenza, anche se troppo isolato in mezzo allo strapotere degli avversari.

Chris Froome (Sky), 9: Il sogno doppietta svanisce soprattutto a causa del suo compagno, che ha il merito di non attaccare né contestare mai, accettandone la presenza e il ruolo sin dall’inizio. Grazie alla sua grande capacità di gestione dello sforzo riesce a non naufragare nei momenti di difficoltà, restando aggrappato al podio con tutte le sue forze, fino a risalirci con una grande cronometro, in cui sfiora il successo finale. L’accoppiata non è certo semplice, ma è comunque colui che ci è andato più vicino di tutti.

Peter Sagan (Bora-hansgrohe), 9: Tre vittorie e una classifica a punti dominata tanto che la Maglia Verde ormai gli è cucita addosso. In grandissima forma, sembra volare anche in salita, attaccando nelle tappe intermedie o riuscendo a restare davanti anche quando sono i big a cominciare la bagarre, a conferma di un talento straordinario. La sua umanità ci viene ricordata, meritando ancora più applausi, quando dopo la caduta soffre e stringe i denti per tagliare il traguardo, come tutti gli altri.

Primoz Roglic (LottoNL-Jumbo), 8,5: La delusione della crono finale non può assolutmente cancellare la grande prestazione dello sloveno che con il passare delle settimane cresce e in salita non solo se la gioca con i big, ma è lui ad attaccare e fare del male a tutti. Al primo tentativo di fare classifica in un GT chiude in quarta posizione, con un successo di tappa e dimostrando anche tanta personalità. Non è giovanissimo, ma visto il suo percorso può ancora avere margini importanti di crescita (fermo restando che già così è in grado di vincere).

Julian Alaphilippe (Quick-Step Floors), 8,5: Due vittorie di tappa, una maglia a pois, tante fughe e spettacolo fanno dell’esplosivo talento francese uno dei grandi protagonisti di questa edizione. Indossa e onora al meglio una iconica maglia che spesso richiede dedizione esclusiva, riuscendo invece anche a concretizzare al traguardo. In grandissima forma, si prende anche il tempo di giocare con la telecamera in più di un’occasione, diventando così ancora più amato dal pubblico, non solo francese.

Steven Kruijswijk (LottoNL-Jumbo), 8: Dopo quel Giro 2016 perso quasi all’ultimo sembrava fare fatica a tornare su quei livelli, ma in questa Grande Boucle si dimostra nuovamente tra i migliori in salita, con una prestazione convincente, anche per la grinta dimostrata, uno dei pochi tra gli uomini di classifica provarci in più di una occasione, pronto anche al sacrificio per il suo compagno.

Egan Bernal (Movistar), 8: Gianni Savio ci aveva visto lunghissimo. Quando il colombiano passò professionista nel 2016 il team manager torinese disse subito che quel ragazzino avrebbe fatto tantissima strada e questo Tour gli ha pienamente dato ragione. Le sue prestazioni sono eccezionali non solo per il livello sportivo espresso, ma anche per la grande maturità dimostrata, binomio che ne hanno fatto il migliore gregario in salita.

Fernando Gaviria (Quick-Step Floors), 8: Al suo primo Tour conquista subito la prima tappa, indossando così anche per un giorno il simbolo del primato. In mezzo alla sfortuna ci mette poco per siglare la sua doppietta personale. Due vittorie di grande personalità, che confermano il suo grandissimo talento ancora in grande crescita. Peccato per il ritiro, ma vista l’ecatombe di velocisti difficile fargliela pesare.

Dylan Groenewegen (LottoNL-Jumbo), 8: Inizialmente fa fatica, ma quando riesce ad entrare nel ritmo piazza due vittorie consecutive che ribadiscono come ormai faccia parte del club dei grandi velocisti. Classe 1993, continua la sua crescita raddoppiando il bilancio della scorsa stagione nella metà del tempo. Davanti a sé ha un futuro sempre più brillante.

Michal Kwiatkoswki (Sky), 8: Emblema del gregario perfetto, polivalente e generoso, il  polacco è assieme a Luke Rowe (8) e Jonathan Castroviejo (8) un ingranaggio perfetto nei meccanismi di una squadra che riesce a supplire anche alle defaillance di un non sempre costante Wout Poels (7) e di un troppo nervoso Gianni Moscon (5), che non riesce a farsi ammirare solo per il suo straordinario talento in bici.

Pierre Latour (Ag2r La Mondiale), 7,5: Maglia Bianca da gregario, corre un Tour di grande generosità – come tutti i suoi compagni, da Oliver Naesen (7) a Mathias Frank (6,5) – spesso all’attacco con quel suo fare ciondolante. Se il suo capitano non riesce nei suoi obiettivi non è certo colpa sua, corridore dal potenziale interessante viste le sue caratteristiche complete. Potrebbe avere ancora molto da dare e dimostrare in futuro.

Arnaud Démare (Groupama-FDJ), 7: Il velocista francese chiude in crescendo questo Tour, dopo una prima settimana in cui non va oltre un terzo posto e finisce spesso lontano dai migliori. Il successo di potenza a Pau, alla diciannovesima tappa, dimostra i suoi miglioramenti in salita. Ottiene poi il podio parziale agli Champs Élysées, confermandosi uno dei migliori negli sprint secchi.

Sonny Colbrelli (Bahrain-Merida), 7: L’urlo della vittoria di tappa gli rimane strozzato in gola ben due volte, quando si deve arrendere soltanto all’extraterrestre Peter Sagan. Gli manca ancora qualcosa nelle volate secche, ma sui percorsi mossi è ormai uno dei migliori al mondo. Un enorme passo avanti per il bresciano, che sta finalmente prendendo maggiore consapevolezza dei suoi mezzi.

Daniel Martin (UAE Team Emirates),  7: Tour de France decisamente positivo per lo scalatore irlandese, che entra in top ten per il terzo anno consecutivo. Torna però a vincere una tappa, risultato che gli mancava dal 2013. Senza la caduta nella tappa di Amiens e una squadra più competitiva nella cronosquadre, avrebbe potuto limare un altro paio di posizioni.

Omar Fraile (Astana), 7: A Mende raggiunge l’obiettivo del suo Tour, cioè vincere una tappa partendo da lontano. Di fatto non concorre per la maglia a pois, come ci si sarebbe potuto aspettare, ma può essere soddisfatto così.

Christophe Laporte (Cofidis), 7: Velocista di belle speranze, ha confermato anche al Tour interessanti segnali di crescita, arrendendosi soltanto a Démare a Pau e centrando la top ten in altre tre occasioni. Non è ancora un top della specialità, però non ha fatto rimpiangere il Bouhanni degli ultimi tempi, anche se la scelta di escluderlo non ha portato altre vittorie in casa Cofidis, dove tuttavia a deludere sono stati soprattutti i pur generosi attaccanti come Dani Navarro (5) e Jesus Herrada (5), mai realmente in partita.

John Degenkolb (Trek-Segafredo), 7: Sgomita in volata con discreti risultati, anche se non è più quello di una volta, ma il successo arriva con il capolavoro di Roubaix, che gli regala finalmente nuova fiducia e anche il primo successo al Tour inseguito da tempo.

Sylvain Chavanel (Direct Energie), 7: È lui il protagonista simbolico di questa edizione. Alla sua diciottesima presenza consecutiva, non riesce però a lasciare il segno come vorrebbe partendo da lontano. I tifosi francesi difficilmente si dimenticheranno di un corridore che ha accompagnato un’intera stagione del Tour, dalla tormentata era Armstrong a quella Contador, a quella Froome.

Magnus Cort Nielsen (Astana), 7: È lui il secondo protagonista della Astana il giorno dopo il successo di Fraile. Di mestiere fa il velocista, ma trova il successo a Carcassonne al termine di una lunga fuga in una tappa con diverse salite e zeppa di scalatori. Una vittoria che segna un altro passo in avanti da parte del 25enne talento danese.

Mikel Nieve (Mitchelton-Scott), 6,5: Con già una vittoria di tappa al Giro d’Italia in tasca, lo scalatore basco si ritrova ben presto battitore libero a causa delle inaspettate difficoltà del proprio capitano, Adam Yates, facendo alla fine anche meglio di lui in classifica generale. Riesce anche a sfiorare il successo di tappa a La Rosière, venendo ripreso soltanto a poche centinaia di metri dal traguardo da uno scatenato Thomas.

Romain Bardet (Ag2r La Mondiale), 6,5: Il pubblico francese riponeva grandi speranze nel talentuoso scalatore di casa, il quale però non riesce né a salire sul podio, né a vincere tappe. Paga un rendimento troppo altalenante, che gli fa perdere tempo prezioso sul Mûr-de-Bretagne, a La Rosière e soprattutto nella mini-tappa con arrivo sul Col du Portet. Nelle ultime tappe prova comunque a correre un modo, riuscendo a risalire fino al sesto posto finale.

Mikel Landa (Movistar), 6,5: Oscurato alla vigilia dall’imponenza delle ombre di Quintana e Valverde, alla fine è lui ad avere il rendimento più costante in casa Movistar. La strategia delle tre punte non ha sortito gli effetti sperati, e così anche il basco si è ritrovato a fare gara a sè, attaccando più volte e vivendo le giornate migliori sull’Alpe d’Huez e a Laruns. Chiuderà al settimo posto, con ancora più rafforzata la convinzione di poter ambire, con la giusta valorizzazione, a traguardi ben più importanti.

Andrea Pasqualon (Wanty-Groupe Gobert), 6,5: Malgrado non sia un velocista puro, per il secondo anno consecutivo il corridore veneto si getta nella mischia senza timori reverenziali, ottenendo nel complesso sette piazzamenti nei dieci, confermandosi corridore affidabile e resistente. Con maggiore supporto potrebbe dire la sua in più occasioni.

Damiano Caruso (BMC), 6,5: Sono state tre settimane atipiche per un regolarista come il siciliano. Abituato a difendersi per agguantare un piazzamento tra i primi dieci nella classifica finale, vive un Tour costantemente all’attacco che lo porta ad arrivare vicino al successo a La Rosière e a Mende. Gli è mancato un pizzico di fortuna, come a tutti gli italiani, ma ci ha provato in tutti i modi con grande generosità.

Nairo Quintana (Movistar), 6: Più passa il tempo e più sembra essere protagonista di una strana involuzione. Ad esclusione del giorno del successo sul Col du Portet (che sostanzialmente lo salva), appare svogliato e poco combattivo. Pur senza impressionare, resta comunque in gioco per il podio fino all’ultimo tappone pirenaico, dove crolla anche a causa dei postumi di una caduta del giorno precedente. Ultimamente, sembra sempre mancargli quel qualcosa per riuscire a tornare a vincere un GT (anche la fortuna).

David Gaudu (Groupama-FDJ), 6: Ripescato dalla sua squadra per sostituire l’infortunato Pinot, il talentino francese si fa le ossa in una corsa in cui forse lo si vede poco, soprattutto con meno profitto di quanto auspicabile, ma che resta per lui step importante nel suo percorso di apprendistato.

Alexander Kristoff (UAE Team Emirates), 6: Con il successo in extremis salva la sua spedizione, ma è chiaro che da lui ci si aspettava sicuramente di più. Malgrado la forma non smagliante è comunque bravo a resistere sulle montagne, lottando fino alla fine, una caparbietà premitata dal successo di Parigi.

Warren Barguil (Fortuneo-Samsic), 5,5: Non era venuto per fare classifica e chiedergli di ripetere i due successi e la maglia a pois dello scorso anno era davvero troppo. Capitano di una Fortuneo-Samsic sempre molto generosa, attacca spesso e volentieri, provando anche a contrastare Alaphilippe nella lotta per la maglia a pois. Alla fine ne esce battutto su tutta la linea, palesemente senza mai aver trovato il colpo di pedale giusto, ma perde con l’onore delle armi.

Alejandro Valverde (Movistar), 5,5: Ha il merito di sacrificarsi da subito per i suoi due compagni, lasciando da perdere l’orgoglio, ma offrendosi come preziosa pedina nello schema tattico di una squadra che avrebbe dovuto fare esplodere la corsa. Purtroppo per lui non riesce mai realmente a fare la differenza né preoccupare i rivali, dimostrando una condizione non ottimale, finendo spesso per restare abbastanza anonimo nelle sue prestazioni.

Bob Jungels (Quick-Step Floors), 5,5: Parte con l’ambizione di piazzarsi in classifica, ma alla fine sfiora soltanto la top ten, chiudendo undicesimo. In salita non riesce mai a stare con i migliori, preferendo salire con il suo passo. Alla fine il suo passivo è piuttosto pesante, sebbene provi a farsi vedere con una fuga da lontano nella diciannovesima tappa. A cronometro conferma le sue qualità, piazzandosi sesto. Si difende per la generale, in salita e a crono, senza mai eccellere.

Ilnur Zakarin (Katusha-Alpecin), 5,5: Rimbalza sulle prime salite, non riuscendo a stare al passo con i migliori. Nella seconda settimana cerca allora spesso la fuga, senza mai riuscire a lottare per la vittoria di tappa. Alla fine con un attacco dopo l’altro ottiene un piazzamento in top ten, con un discreto nono posto. Il coraggio e la forza di volontà sono da apprezzare, ma rispetto al Giro d’Italia 2017 l’involuzione è evidente.

Edvald Boasson Hagen (Dimension Data), 5: Vive la prima metà del Tour all’ombra di Cavendish, lavorando per lui nelle tappe di pianura e scomparendo nelle volate con altimetria mossa. Quando il compagno finisce fuori tempo massimo si mette in proprio, senza mai riuscire ad andare oltre la quarta posizione a Pau e Parigi. In una parola, insipido.

Jakob Fuglsang (Astana), 5: Dopo cinque anni può finalmente tornare a essere capitano della propria formazione al Tour. Sulle Alpi prova a tenere il passo, senza mai lottare per la vittoria di tappa ma rimanendo saldamente in top ten. I Pirenei invece si rivelano un vero e proprio incubo, per quanto provi a partire da lontano per cercare di scalare posizioni. Alla fine rimane con un pugno di mosche, fuori dalla top ten e senza acuti nelle frazioni. Con la squadra costruita intorno a lui, era lecito aspettarsi di più.

Lilian Calmejane (Direct Energie), 5: La vittoria di tappa al Tour de France 2017 lo aveva mostrato al mondo del ciclismo, ma quest’anno non riesce mai a mostrare quanto di buono fatto intuire l’anno scorso. Rinuncia presto alla maglia a pois e riesce a inserirsi in qualche fuga, sbagliando spesso i tempi per poi perdere contatto nella fase calda. Si gioca male la sua unica vera chance a Carcassonne, tirando troppo tardi per chiudere sull’attacco buono di Mollema, Cort Nielsen e Izagirre.

Rafal Majka (Bora-hansgrohe), 5: Per il secondo anno di fila il polacco chiude il Tour fuori classifica e a secco di vittorie parziali. Rimbalzato dalle Alpi, prova a muoversi più volte in fuga ma spesso sbaglia i tempi (come a Carcassonne) o la giornata (a Saint-Lary-de-Soulan). L’impressione è che a volte voglia strafare per farsi perdonare, con il risultato di non riuscire mai nel proprio obiettivo.

André Greipel (Lotto Soudal), 5: Come l’anno scorso, non arrivano vittorie di tappa alla Grande Boucle. Quest’anno in più c’è l’aggravante di aver concentrato la sua preparazione su quest’appuntamento. Sempre nervoso, finisce spesso fuori dalla lotta con i migliori e quando riesce a piazzarsi si fa penalizzare per la lotta senza esclusione di colpi con Gaviria. Riesce a far parlare di sé anche fuori dalla corsa, con allusioni poco simpatiche a Demare dopo essersi ritirato sulle Alpi. Anche il gorilla invecchia.

Bauke Mollema (Trek-Segafredo), 4: L’olandese stecca completamente l’appuntamento su cui ha concentrato la stagione. Complice una caduta nella prima settimana, esce presto di classifica e prova a rifarsi entrando in diverse fughe. La condizione non lo supporta nelle frazioni più impegnative, e in montagna non riesce a tenere il passo di corridori meno quotati di lui. L’unica eccezione è a Carcassonne, quando riesce a promuovere l’azione buona ma viene battuto in volata da Cort Nielsen e Izagirre, rimanendo con un pugno di mosche. Da capitano unico della sua squadra delude parecchio.

Adam Yates (Mitchelton-Scott), 4: Il britannico ha sulla sua coscienza l’esclusione di Caleb Ewan per permettergli di avere scalatori di livello al suo fianco. Fin dalle Alpi dimostra di non avere buone gambe ed esce di classifica. Poi prova spesso ad attaccare da lontano, pur perdendosi alcune occasioni importanti (come a Mende), senza mai trovare l’azione o la gamba giusta. Nelle tappe con arrivo in salita si stacca da scalatori meno quotati di lui, in discesa vanifica la sua unica possibilità, lasciando sull’asfalto di Bagnères-de-Luchon una vittoria di tappa che per lo meno non avrebbe reso un flop totale l’esperienza della sua squadra.

Mark Cavendish (Dimension Data), 4: Mai competitivo in quella che doveva essere l’edizione che lo avrebbe dovuto avvicinare a Merckx, non riesce praticamente mai a giocarsela, dovendo lasciare anzitempo la corsa quando iniziano le montagne. Si dimostra un lottatore nel non volersi arrendere, ma il tempo massimo lo raggiunge, implacabile come il tempo che passa.

Marcel Kittel (Katusha-Alpecin), 4: La forma non era quella giusta, l’intesa con la squadra ancora meno. Non sorprende che non vinca, né tantomeno convinca, fino al mesto ritiro (lodevole anche per lui il fatto di aver comunque concluso la tappa) dopo le polemiche con la dirigenza.

Rigoberto Uran (EF-Drapac), sv: Cade malamente nella tappa del pavé e il suo Tour sostanzialmente finisce lì, andando alla deriva alle prime salite fino all’inevitabile ritiro in preda a dolore e sconforto.

Michael Matthews (Team Sunweb), sv: Non sembra al massimo, ma non ha il tempo di dimostrare nulla né riprendersi, lasciando dopo appena cinque tappe per un problema gastrointestinale.

Vincenzo Nibali (Bahrain-Merida), sv: Il siciliano comincia il suo Tour in sordina, ma appare in crescendo, almeno fino a quando la sciagurata caduta sull’Alpe d’Huez non lo costringe al ritiro per la frattura di una vertebra. Il finale in crescendo dei suoi compagni, con dai Fratelli Izagirre a Franco Pelizotti, passando per Domenico Pozzovivo, che nel complesso meritano ben più della sufficienza per la grande generosità dimostrata, fa aumentare i rimpianti

Richie Porte (BMC), sv: Per il secondo anno consecutivo l’australiano è costretto al ritiro alla nona tappa. Poteva essere uno dei grandi protagonisti di questa edizione, su misura per lui, ma la sfortuna ha la meglio.

Lawson Craddock (EF-Drapac), 10: Caduto nella prima tappa, l’americano rimedia una frattura alla scapola che si porta appresso sino alla fine, correndo l’intera corsa con grande spirito di sacrificio e dedizione. Lanterne Rouge di questa edizione, il primo in assoluto a riuscirci dalla prima all’ultima tappa, fa parlare meritatamente di sé anche per la raccolta fondi che lancia e che gli consente di raccogliere oltre 150 mila dollari in favore del velodromo dove è cresciuto ciclisticamente, inagibile in seguito al passaggio dell’uragano Harvey.

2 Commenti

  1. Fatico a comprendere la sufficienza a Bardet visto che, venendo da un terzo ed un secondo posto negli ultimi due Tour , l’obiettivo era il riconfermarsi sul podio aggiungendo che non è riuscito a ottenere nemmeno una vittoria di tappa, palesando una forma non al top sebbene ci abbia messo la solita grinta e sia stato sfortunato per aver perso tre gregari in corsa.

    1. Abbiamo voluto premiare il carattere di un corridore che ha cercato di non arrendersi mai, anche con le numerose sfortune di cui è stato vittima, a livello personale e di squadra. Anche se ovviamente i suoi obiettivi erano ben altri, il piazzamento finale è condizionato inevitabilmente anche da queste vicessitudini, alle quali ha cercato di tenere botta coma ha potuto.

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