Il diario di Alan Marangoni – Flashback dal Tour: Montpellier-Albi, the italian job

Questo Tour fino ad oggi è stato una guerra di nervi e per un motivo o per un altro non siamo ancora riusciti a vincere. Peter, dopo aver dato una botta pazzesca nella tappa di apertura, scorticandosi dappertutto, l’ha sfiorata nei due giorni successivi, portando a casa due secondi posti che ancora bruciano. In giro qualcuno ha dato la colpa di questi insuccessi alla squadra, ma noi sappiamo bene che sono state le circostanze negative ad averci messo i bastoni tra le ruote. Noi non abbiamo niente da rimproverarci. Purtroppo però, le giustificazioni non ti aiutano a vincere, anzi, aumentano solo le frustrazioni e ti allontanano dagli obiettivi. Abbiamo anche già perso un uomo e questo non rema di certo a nostro favore. King è andato fuori tempo massimo nella cronosquadre di Nizza, dopo essere partito con una spalla semirotta a causa della caduta del primo giorno. Per Ted mi è dispiaciuto davvero tanto.

Ormai però è tutto archiviato, oggi siamo alla settima tappa e in testa abbiamo solo una cosa.. vincere! La tattica è semplice: a circa 110 chilometri dall’arrivo c’è una salita di 6,7 chilometri al 6.5% di pendenza media. Lì entreremo in azione sul serio per fare il forcing cercando di far saltare i tre velocisti più forti di questo Tour, cioè Cavendish, Kittel e Greipel. Almeno fino al traguardo volante non dovranno rientrare, per il resto si vedrà. Siamo tutti determinati, oggi deve essere il nostro giorno, punto e basta.
Si parte! Dopo una quindicina di km a tutta riescono a fuggire Voigt e Kadri, il gruppo rallenta. Sembra tutto procedere liscio ma ad un certo punto succede il disastro.

In un tratto di leggera discesa un contatto tra due corridori troppo distratti innesca una caduta di dimensioni bibliche. Io mi trovo proprio in mezzo, non faccio in tempo a frenare che vengo caricato da dietro e così finisco gambe all’aria. Probabilmente atterro sopra ad un altro perché non mi faccio praticamente niente. Mi rialzo in fretta, mi guardo intorno e sembra che abbiano gettato una bomba in mezzo al gruppo. C’è gente stesa per tutta la strada, ho la sensazione che qualcuno si sia fatto male sul serio. In mezzo a quel frastuono di carbonio e alluminio che si fracassavano probabilmente c’era anche quello di qualche ossa fratturata. Infatti per qualcuno il Tour finisce proprio li, in mezzo ad un anonimo tratto di campagna francese, senza pubblico, lontano anni luce dal traguardo. Mesi di preparazione andati in fumo così, in un istante.. spesso il ciclismo è davvero crudele. Per fortuna a me è andata bene, me la sono cavata con una piccola “strisciata” sulla gamba destra. Anche il mio compagno Koren è rimasto coinvolto, ha un braccio insanguinato ma non sembra niente di grave. Tutti gli altri miei soci invece l’hanno scampata. Ottimo, siamo pronti per iniziare la battaglia.

La fuga raggiunge i sei minuti e la GreenEdge, che ha la maglia di leader con Impey, prende la testa del plotone con un ritmo regolare ma passa poco tempo e arrivano davanti alcuni portacolori di QuickStep, Lotto e Argos. A quel punto noi mettiamo Vandborg a collaborare. Il primo dei nostri a sacrificarsi sarà lui. Si fila così fino alla fatidica salita. Ora la QuickStep è tutta schierata al comando con Cavendish in ultima posizione, vogliono prenderla in testa per farla ad un intensità regolare, che possa andare bene al proprio leader. A quel punto noi ci schieriamo con tutta la squadra di fianco al loro treno. Iniziano a guardarci con aria perplessa, come per dire “ma questi cosa vogliono fare?”. Lo capiranno tra poco.. 

Ci siamo, si comincia a salire. Il primo tratto lo fa ancora Vandborg e le gambe iniziano subito a fare male. La QuickStep indietreggia un po’ alla volta, mentre dalla radio Zanatta ci fa sapere che Kittel si è staccato. Brian aumenta ancora, poi si sposta dando il cambio a Moser, che continua a spingere forte: cede Cavendish e, poco dopo, anche Greipel. Ad ogni “vittima” che ci viene comunicata il ritmo aumenta, chi è in testa a menare le danze prende sempre più coraggio e sembra quasi non sentire la fatica. De Marchi conduce l’ultimo tratto, io sono al gancio, le gambe sono piene di acido lattico e non vedo proprio l’ora che inizi la discesa! Scolliniamo e poco dopo arriva il primo rilevamento cronometrico: c’è Greipel con un gruppetto ad un minuto mentre Cavendish e Kittel sono più staccati.

Queste informazioni ci gasano e tiriamo sempre più decisi, il solo pensiero di essere al Tour, sotto gli occhi del mondo e nel pieno di un’azione memorabile, stimola il cervello a produrre sempre più adrenalina e ad anestetizzare così lo sforzo. Dietro, quelli che tirano per inseguirci stanno diventando in superiorità numerica perché i due gruppi si sono fusi, ma c’è poco da fare: oggi siamo degli “schiacciasassi”. Purtroppo abbiamo perso Vandborg che dopo aver lavorato duro all’inizio si è staccato, dovremo così spartirci il lavoro per sei.

Raggiungiamo i due fuggitivi e senza neanche guardarli tiriamo dritto. Al traguardo volante ovviamente passa per primo Peter. Altri punti in cascina per la maglia verde. Mancano ancora 70 chilometri però, c’è ancora tanto da “menare”.. Dopo lo sprint tiriamo leggermente fiato e scattano Gautier, Oroz e Bakelants. Quest’ultimo è quello che ci ha fregato nella seconda tappa in Corsica, ad Ajaccio, quando arrivò solo, con una manciata di metri su Peter che in volata se lo stava divorando. Che beffa! Questo belga vuole fotterci un’altra volta, ma oggi non può e non deve andargli liscia. Oggi non si fanno regali a nessuno, oggi dev’essere nostra, punto e basta.

Un po’ alla volta ricominciamo a prendere il ritmo di prima, le salite che si presentano sono pedalabili ma dobbiamo gestire bene lo sforzo per non rischiare di crollare. Ognuno continua a dare il suo contributo senza risparmiarsi. Prima di un GPM vado a prendere un po’ di borracce per i compagni dall’ammiraglia. Le infilo nelle tasche e sotto la maglia, in tutto saranno sette. Risalgo il gruppo, la velocità è elevata e con tutto quel peso è dura. Arrivo quasi dove sono i miei compagni e sento una mano che mi spinge, mi giro e con mia enorme sorpresa mi accorgo che è Rodriguez.

Ho come l’impressione che se un big come Purito fa un gesto simile vuol dire che forse oggi ci stiamo guadagnando davvero il rispetto del gruppo. Pensieri confusi di uno che è a tutta.. A poco più di 40 chilometri dall’arrivo ci giunge la notizia che dietro hanno alzato bandiera bianca. Partita chiusa? Game Over? Non proprio.. Adesso la sfida è contro i tre “ribelli”. Hanno sempre un vantaggio che oscilla intorno ai 50 secondi. Sembra poco, ma quando si è al limite da oltre due ore può essere un eternità. Arriva a darci una mano Albasini della GreenEdge. Se gli australiani vogliono tenere la maglia un altro giorno con Impey è giusto che anche loro collaborino, visto che Bakelants in classifica è molto vicino e potrebbe così soffiargliela.

Ora il ritmo è costantemente elevato, in un tratto di discesa entriamo troppo forte in curva e rischiamo di andare per terra. Paura. Il vantaggio inizia a calare ma in modo troppo esiguo per come stiamo marciando. Inizio a pensare ad un’altra terribile beffa e a tutti quelli che ci avevano criticato come squadra non all’altezza di Peter. Di sicuro saranno davanti alla tv a sperare nel nostro fallimento. Quando vado in testa a tirare accelero come per sfogare la rabbia che ho dentro, facendo così irritare i compagni che mi invitano a darmi una calmata. Hanno ragione, così facendo rischio solo di mettere tutti quanti al gancio, me compreso. Riesco a tornare tranquillo, purtroppo nella mia carriera la furia agonistica spesso mi ha fatto fare cazzate. Oggi non deve succedere.

Manca poco ormai ed ecco che arrivano, sono loro, inconfondibili.. i crampi! Sento nell’interno delle cosce una specie di morso e un gran male, mi defilo verso il fondo del gruppo cercando con la mani di scuotere un po’ le gambe. Credo di non farcela più e sono sicuro che non potrò più essere d’aiuto, lasciando così la squadra con un uomo in meno, quando vedo De Marchi risalire a fatica il gruppo con la schiena piena di borracce. Il quel momento ritrovo la grinta e la forza che pensavo di aver perso. Mi rendo conto di non poter mollare adesso, tutti qua stanno dando l’anima, ognuno sta raschiando il suo barile e io devo tornare davanti costi quel che costi.

I crampi sembrano avermi dato tregua e, non senza difficoltà, risalgo il gruppo che è tutto in fila. Torno a tirare con gli altri, ora c’è un altro GreenEdge a darci una mano e i fuggitivi sono più vicini, la strada è tutta dritta e riusciamo pure a vederli. Non hanno scampo. Si continua a tutta fino ai meno quattro, dove faccio l’ultima “menata” per poi dare il cambio a Bodnar e rialzarmi. Sono sicuro che il polaccone ne ha ancora abbastanza per fare anche la mia parte in questi ultimissimi chilometri. Ora ho dato davvero tutto, adesso sono in pace con me stesso. Con questo ultimo sforzo i crampi sono tornati prepotentemente, ma fa lo stesso, l’importante è che la fuga sia praticamente morta.

Dopo essermi staccato dal gruppo trovo Moser all’ultimo chilometro che procede a passo d’uomo. Anche lui si è spremuto fino all’ultima goccia per poi mollare. Procediamo assieme. Siamo in attesa di sentire per radio buone notizie. Non si sente niente, io mi tolgo l’auricolare dall’orecchio come per scaramanzia. Tensione alle stelle, guardo Moreno in faccia in cerca di un segnale, di un cenno, di un qualcosa che mi faccia capire che Peter ce l’ha fatta. Mi metto a guardare anche il pubblico ma non c’è nessuno che mi trasmette niente, se non qualche applauso.

A un certo punto però Moreno inizia a sorridere e dice: “Sì.. ha vinto!”. Lancio un urlo e agito in alto il pugno, sono al settimo cielo, ho la pelle d’oca per l’emozione, mi sento come se avessi vinto io. Dopo aver tagliato il traguardo trovo Peter che ci viene incontro, mi abbraccia ringraziandomi, la gente intorno ci guarda con ammirazione, forse oggi tutti hanno tifato per noi. Ecco l’epilogo di questa giornata perfetta, la giornata che ricorderemo per aver fatto quello che sembrava impossibile, per aver messo in pratica fino in fondo il piano di partenza grazie all’aiuto di tutti.

Se mai in futuro dovessi avere una squadra di ragazzini gli racconterò di questa esperienza al Tour, nella tappa di Albi, per fargli capire cosa vuol dire essere una “squadra”. Cioè che per raggiungere un grande obiettivo a volte bisogna sapersi sacrificare l’uno per l’altro. Se andranno avanti per questa strada scopriranno che può succedere, per un giorno, di sentirsi un Dio anche da “gregario”.

P.S. Ringrazio il Team Cannondale e i miei compagni Bodnar, Vandborg, Sabatini, Koren, De Marchi, Moser e Sagan che hanno girato con me questo bellissimo film.

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