Bahrain-Merida, Vincenzo Nibali ripercorre la propria carriera con uno sguardo al futuro alla Trek-Segafredo: “Una bella sfida”

Domani Vincenzo Nibali disputerà il suo 12° Giro di Lombardia e andrà a caccia del tris dopo i trionfi del 2015 e del 2017. Oggi, invece, il corridore della Bahrain-Merida si è confessato in una lunga intervista apparsa sul Corriere della Sera, nella quale ripercorre la sua vita e la sua carriera, dalle sue prime corse da professionista sino al suo futuro giù dalla bicicletta, quest’ultimo lontano comunque almeno altre due stagioni. Il campione siciliano, 35 anni tra un mese, quest’estate ha infatti firmato un contratto di due anni con la Trek-Segafredo, dove appunto militerà nei prossimi due anni, alla ricerca degli ultimi colpi vincenti in una carriera già molto vittoriosa, iniziata più di 14 anni fa, il 15 febbraio 2005.

“Debutto da professionista al Trofeo Laigueglia, in Liguria, a 21 anni. Caddi malamente in discesa ma arrivai al traguardo. Sintesi della mia carriera: si cade ma ci si rialza“, dichiara Nibali, che poi ripercorre le squadre nelle quali ha militato in questi anni: “Ho cominciato con Fassa e Liquigas: tradizione, serietà e cultura italiana. Grande scuola. Poi l’Astana che mi ha lanciato con la vittoria al Tour e la Bahrain che è stata un’apertura verso il mondo arabo. Ora la Trek Segafredo: un misto di Italia e Usa. Una bella sfida“.

Stagione importante quella del 2020 nella squadra statunitense per lo Squalo dello Stretto, con obiettivi importanti quali Olimpiadi e Mondiali, ma non solo: “Almeno altri 80/90 giorni di corsa con la maglia del club. Tra poco metteremo mano al calendario: non sarà facile con così tante gare“, ammette il siciliano, che potrebbe porre fine alla sua carriera al termine della stagione 2021, anche se mantiene il riserbo sui suoi progetti per il futuro, pur dichiarando di non pensare ad una carriera da direttore sportivo: “Piuttosto il manager. Un sogno segreto ce l’ho, ma non lo dico“.

Il 2020 potrebbe essere anche l’anno in cui puntare alla Liegi-Bastogne-Liegi, classica solo sfiorata da Nibali, nel 2012, quando fu battuto da Maxim Iglinskiy, squalificato per doping due anni dopo: “Non provo rancore. Non penso mai che un mio avversario possa essere dopato, anche se su di lui ci sono sospetti: non avrei la serenità per sfidarlo. Ha vinto, forse era pulito. Poi si è dopato e l’hanno cacciato. In questi casi c’è una cosa importante da fare. Distinguere l’errore dalla persona e non criminalizzare nessuno. Danilo Di Luca, che è stato mio compagno di squadra, è un dopato recidivo che ha meritato una lunga squalifica. Ma era un uomo e un capitano generoso e resta un amico anche se si è fatto travolgere dalla smania di guadagnare. Rispetto a quando ho cominciato vedo meno gente predisposta al doping”.

L’intervista tocca poi tematiche più d’attualità, come l’inquinamento: “In bici vedo il mondo sempre più soffocato dalla plastica. Sto con i ragazzi che manifestano per l’ambiente perché nessuno tranne loro sembra preoccuparsi del nostro destino. La bici è un osservatorio perfetto del traffico, dell’inquinamento: la situazione è drammatica. Trovi plastica ovunque“. Anche su un tema scottante come l’immigrazione il campione siciliano dice la sua: “Sono per accogliere chi scappa da guerra o fame, mi chiedo se per aiutare queste persone si debba far rischiare loro la vita sui barconi e perché l’Europa non ci dia una mano”.

Infine, un argomento che sta a cuore a Nibali è anche la sicurezza stradale, alla luce dei molti incidenti che quasi tutti i giorni coinvolgono ciclisti professionisti e non: “Traffico, rotonde ma sopratutto disattenzione: l’abuso del telefono è spaventoso. Ai ragazzi dico: imparate con Bmx e mountain bike. Vi tenete lontano dai pericoli e sviluppate la tecnica”.

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