Pagellone 2018, Y-Z: A.Yates, S.Yates, Zabel, Zakarin, Zardini

Prosegue il nostro Pagellone 2018. L’anno solare è ormai in conclusione la redazione di SpazioCiclismo ha deciso ancora una volta di tirare le somme di una lunga annata. Da gennaio ad ottobre, dal Tour Down Under alla Japan Cup, la stagione è stata intensa e dalla A alla Z abbiamo deciso di assegnare un voto ai principali protagonisti, tenendo conto dei risultati conseguiti rispetto alle aspettative, al lavoro svolto per i compagni, ovviamente senza dimenticare eventuali problemi in cui i corridori possono essere incappati. Dalle grandi sorprese alle grosse delusioni (che abbiamo già approfondito con i relativi approfondimenti), tracciamo una linea sul 2018 prima di affacciarci al nuovo anno.

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LETTERA H

Nathan Haas (Katusha-Alpecin), 6: Il passaggio alla Katusha sembrava il preludio a un possibile salto di qualità nelle classiche, dove aveva ben figurato nel 2017. Alla fine non è così, e complici alcuni problemi fisici non riesce a rendere al meglio in primavera, dove si trovano le corse a lui più congeniali. Strappa la sufficienza con il successo di tappa al Tour of Oman (dove vince la classifica a punti e chiude quinto nella generale) e qualche piazzamento interessante, come il terzo posto al Giro di Turchia e il secondo in una volata del Giro di Svizzera.

Kristoffer Halvorsen (Team Sky), 6: Il suo primo anno da professionista gli serve più che altro per prendere le misure con i grandi, ma questo non gli impedisce di gettarsi nella mischia e cogliere qualche risultato nei primi cinque in volata tra Abu Dhabi, corse norvegesi e BinckBank Tour. Una buona base verso risultati migliori.

Chris Hamilton (Sunweb), 6,5: Riesce a rendersi utile per i propri capitani sulle Ardenne, prima di mettersi a disposizione di Dumoulin al Giro d’Italia, risultando uno degli uomini più preziosi per il neerlandese. Nel finale di stagione coglie anche la sua prima top ten in classifica generale, con il nono posto al Tour of Britain. L’australiano può togliersi qualche soddisfazione in futuro e il Team Sunweb sembra puntare molto su di lui.

Adam Hansen (Lotto Soudal), 6: Arrotonda il suo record di Grand Tour conclusi consecutivamente arrivando a 20 con il Giro d’Italia, prima di decidere di non partecipare al Tour per poter cercare, in futuro, di essere protagonista e non solo partecipante alle corse da tre settimane. La sua costanza rimane comunque un esempio per tutti gli appassionati. L’anno prossimo lo vedremo probabilmente non solo attivo per i propri capitani, ma magari anche più protagonista nelle fughe di giornata.

Sebastian Henao (Team Sky), 5,5: Si conferma un discreto gregario, anche se la decisione del Team Sky di non inserirlo nelle squadre per i tre Grand Tour è di per sé una sentenza. Il colombiano è prezioso per Bernal alla Colombia Oro y Paz, ma è forse l’unica occasione in cui riesce a lavorare in maniera decisiva per un compagno. L’unico risultato degno di nota è la top ten alla Vuelta a Burgos, poco per le sue potenzialità. Rimandato, anche quest’anno.

Sergio Henao (Team Sky), 5: Presentatosi da campione in carica alla Parigi Nizza, fallisce completamente l’appuntamento francese chiudendo dodicesimo in una corsa priva di grandissimi nomi. La top ten sfiorata alla Freccia Vallone e ottenuta alla Liegi Bastogne Liegi è l’unico risultato personale, al di fuori di un quarto posto in Colombia a febbraio. Aiuta Froome, senza risultare decisivo, al Giro d’Italia, dove spesso si stacca prima del previsto. Non trova spunti personali in una Vuelta in cui avrebbe avuto discreto raggio d’azione. Un passaggio a vuoto dopo tante stagioni convincenti.

Michael Hepburn (Mitchelton-Scott), 5,5: Da gregario svolge sempre il suo compito, risultando affidabile in pianura. Nelle poche occasioni che ha di mettersi in proprio non riesce a far vedere le sue qualità, a volte non cercando la fuga, a volte non trovandola. Anche in un Tour de France senza Ewan e con Yates fuori classifica non si ritaglia mai il suo spazio, quando avrebbe avuto una chance più unica che rara per mostrare i suoi punti di forza.

Ben Hermans (Israel Cycling Academy), 6: Le aspettative della formazione israeliana su di lui erano molto alte e la sua stagione le ha ripagate solo in parte. Nelle grandi corse non riesce mai a trovare il colpaccio, rinunciando presto a fare classifica al Giro d’Italia per cercare una vittoria di tappa che non arriva e non viene nemmeno sfiorata. Riesce tuttavia a riscattarsi con la vittoria di una frazione e della classifica generale del Giro d’Austria, ottenendo piazzamenti al Tour of Utah (secondo) e all’Okolo Slovenska (quarto). Gli manca il grande acuto.

Jesus Herrada (Cofidis), 6: Stagione a dir poco anonima salvata da un quarto posto agli europei di Glasgow, dove non ha le energie per anticipare una volata in cui partiva evidentemente battuto, e soprattutto dai due giorni in maglia rossa alla Vuelta a España, conquistata con la tenacia di diverse fughe nei primi giorni. Il carattere è quello giusto, la condizione quasi mai.

José Herrada (Cofidis), 5: Per lui vale lo stesso discorso del fratello, senza il bonus dell’exploit spagnolo. Cerca in più riprese la fuga, ma anche quando si trova al posto giusto nel momento giusto non coglie l’occasione. Il suo miglior risultato è il quinto posto in una tappa del Giro dei Paesi Baschi, decisamente poco per le sue ambizioni e le sue possibilità.

Jan Hirt (Astana), 5: Il passaggio in una squadra WorldTour lo relega a un ruolo da gregario, come in parte prevedibile. Il ceco tuttavia si accontenta di questo, senza mai nemmeno pensare a ritagliarsi lo spazio per qualcosa di più. Mai in fuga nelle corse importanti, non riesce nemmeno a essere tra gli ultimissimi del treno Astana in salita. Eppure al Tour of the Alps aveva mostrato di poter ambire a qualcosa di più.

Alvaro Hodeg (Quick-Step Floors), 8: Tra i neopro, è tra quelli che sorprende di più. Da quando vince l’Handzame Classic ci prende gusto, ripetendosi tre giorni dopo nella prima tappa del Giro di Catalogna. Nella seconda parte della stagione trova il un altro successo in una corsa World Tour trionfando in una frazione del Giro di Polonia al cospetto di alcuni grandi nomi, prima di ripetersi al Giro di Germania e al Giro di Turchia. Il suo bottino finale parla di cinque vittorie, davvero cospicuo per un classe ’96 alla sua prima esperienza tra i professionisti. Un nuovo talento colombiano si prepara a battagliare con i migliori velocisti del mondo.

Hugo Hofstetter (Cofidis), 7,5: Ottiene il primo successo in carriera da professionista, imponendosi nella tappa d’apertura del Tour de l’Ain. La sua incredibile costanza nelle classiche, in Francia e in Europa, gli permette di racimolare punti preziosi nella classifica UCI, tanto da riuscire a conquistare l’Europe Tour. Una soddisfazione non da poco per il classe ’94, che nella prossima stagione può iniziare a pensare di cimentarsi anche nelle gare con una concorrenza più agguerrita.

LETTERE I-J

Daril Impey (Mitchelton-Scott), 7: Inizia sorprendendo tutti al Tour Down Under, dove grazie al suo spunto in volata e la sua capacità di tenere su salite brevi ottiene tre secondi posti di tappa, tra cui quello a Willunga Hill che gli permette di conquistare la classifica generale. Si ripete poco dopo con il terzo posto alla Cadel Evans Great Ocean Road Race e gli agevoli successi nel campionato nazionale (a cronometro e in linea). Torna grande protagonista al Giro del Delfinato, in cui ottiene la prima tappa in linea e difende con i denti la maglia della classifica a punti.

Beñat Intxausti (Team Sky), sv: Un’altra stagione parecchio sfortunata per il basco, che dal 2016 convive con una forma di mononucleosi che ne condiziona pesantemente le prestazioni. Il suo bilancio parla solo di tre partecipazioni, con i ritiri a Tour of Norway e Classica di Amburgo intervallati dall’Hammer Stavanger, che non ha ancora il prestigio delle altre corse. Impossibile dare una valutazione, consapevoli delle enormi difficoltà che sta vivendo il corridore, che nel 2019 proverà a ripartire dalla Euskadi-Murias, dove anche solo la sua esperienza potrà essere preziosa.

Fabio Jakobsen (Quick-Step Floors), 8: Inizia imponendosi nelle classiche di un giorno meno quotate, finisce battendo alcuni dei big in volata. Il neerlandese non paga per nulla il salto nell’élite e porta a casa sette vittorie, dalla Danilith Nokere Koerse ai sigilli al Tour of Guangxi passando per la sua prima volta in una corsa WorldTour, nella prima frazione del BinckBank Tour. Se nelle prime vittorie si nota la freschezza del giovane, con il passare dei mesi comincia ad assumere maggiore consapevolezza delle proprie qualità, iniziando a muoversi da leader. Ha le carte in regola per diventare protagonista ai massimi livelli del ciclismo internazionale. Con queste premesse, sarebbe strano il contrario.

Bob Jungels (Quick-Step Floors), 7,5: Nelle corse a tappe ancora non riesce a confermarsi, rimanendo ai piedi della top ten al Tour de France e lontano dai migliori nelle competizioni più importanti. La giornata che vale una stagione, e forse un’intera carriera, è però l’azione meravigliosa con cui trionfa alla Liegi Bastogne Liegi, partendo di soppiatto senza farsi notare dai favoriti per poi far valere le sue doti di cronoman per incrementare il suo vantaggio fino al traguardo. Impreziosisce il suo 2018 confermandosi campione nazionale in linea e a cronometro, ormai quasi una formalità, e ottenendo la medaglia d’oro nella cronosquadre di Innsbruck 2018. Un’annata che rimarrà marchiata a fuoco nella sua carriera.

LETTERA K

Wilco Kelderman (Sunweb), 6: Dopo il secondo posto nella classifica generale dell’Abu Dhabi Tour e il quinto al Giro di Svizzera, intervallato dalla parentesi opaca alla Tirreno-Adriatico, una caduta durante la prova in linea dei Campionati Nazionali ne pregiudica la seconda metà di stagione. Costretto a saltare il Tour de France, dove avrebbe potuto decisamente elevare le chance di vittoria finale di Dumoulin, non riesce a ripetersi sui livelli che gli erano appartenuti un anno fa alla Vuelta, dove riesce appena a chiudere la top ten della classifica generale senza mai lottare con i migliori nelle tappe di montagna. Esce dal GT iberico con una buona condizione che gli permette di essere pimpante al Mondiale (16° in appoggio a Dumoulin) e ancora alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino, entrambe chiuse al 6° posto.

Peter Kennaugh (Bora-Hansgrohe), 6: L’esperienza che porta con il suo arrivo dopo la lunga parentesi nel Team Sky non si traduce in risultati eclatanti. Per il secondo anno consecutivo non prende parte a nessun GT e coglie l’unica vittoria nel GP Pino Cerami, ottenuta dopo una prima metà di stagione avara di picchi di rendimento. Va meglio negli ultimi mesi, quando arriva vicinissimo al colpaccio in Québec e alla Tre Valli Varesine, in entrambe le circostanze facendo valere le sue indiscutibili doti sul passo. Sebbene non segua il calendario di Sagan e gli sia concesso di sparare qualche cartuccia per sé, combina meno di quanto fosse lecito attendersi.

Ben King (Dimension Data), 7: Di nome e di fatto per una settimana, quella in cui, durante la Vuelta di Spagna, confeziona le due vittorie più importanti della sua carriera. A 29 anni suonati lo statunitense si conferma un fuggitivo spietato e ad Alfacar e verso La Covatilla, elevando esponenzialmente la caratura di una stagione altrimenti vissuta in linea con l’andamento della squadra. Prima e dopo, al netto della mancanza di un vero e proprio capitano da salvaguardare, la sua presenza in corsa è spesso intangibile.

Robert Kiserlovski (Katusha-Alpecin), 5,5: Costella di “DNF” la sua traiettoria stagionale, che conosce una brusca interruzione nelle battute iniziali del Tour de France. Chiamato a correre in appoggio a Zakarin, il croato si frattura una clavicola chiudendo anzitempo un’annata che, dopo il rientro, non lo vedrà più tagliare il traguardo delle corse cui prende parte. In precedenza aveva combinato poco anche nelle Ardenne, cogliendo il miglior risultato personale nel Tour de Yorkshire, concluso ai piedi del podio correndo da capitano.

Marcel Kittel (Katusha-Alpecin), 4: L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare. La prima stagione con la nuova divisa è questione di mancanza: di vittorie, di feeling coi compagni, di capacità di reinventarsi. Senza un treno adeguato alle sue caratteristiche, il tedesco si appiattisce su livelli mediocri che non vengono riabilitati dal duplice successo alla Tirreno-Adriatico ed esplodono in tutta la loro violenza nell’affaire Tour de France. L’incapacità del team russo di mettergli a disposizione un treno efficace va di pari passo con una leadership carente in termini di esempi e personalità, come dimostrato dalla querelle a mezzo stampa avvenuta durante la Grande Boucle.

Leopold Konig (Bora-Hansgrohe), sv: Un inverno fa aveva rilanciato con ambizione e un pizzico di spavalderia: “Nel 2018 punto al podio del Tour de France”. Invece anche la seconda stagione con la nuova divisa si tinge di giallo per un’assenza dalla scena sulla quale, per stessa volontà del corridore, non vengono fornite informazioni. In tutto si attacca il dorsale otto giorni, ritirandosi due volte in Spagna a gennaio (Trofeo Serra de Tramuntana e Trofeo Lloseta) e non prendendo il via da Numana nella sesta tappa di una Tirreno-Adriatico in cui era stato fino ad allora spettatore non pagante. Dal 12 marzo in poi non si hanno più avute sue notizie.

Roman Kreuziger (Mitchelton-Scott), 7: Conferma tutta la sua solidità sia quando è chiamato a vestire i panni del gregario, facendo la sua parte nel Giro d’Italia dominato in lungo e in largo da una Mitchelton cui è mancata solo la ciliegina finale, sia quando ha licenza di fare la corsa per sé. Nelle Ardenne scrive un compendio sulla regolarità, promuovendo l’azione che lo porta a lambire il bis all’Amstel e piazzandosi davanti anche alla Freccia (4°) e nella Doyenne (8°). Dopo aver rifiutato con un’estate poco lusinghiera sotto il profilo dei risultati, si piazza sesto in un Mondiale da fondisti e nel quale, pur correndo sempre in difesa, può far valere la benzina diesel di cui dispone.

Alexander Kristoff (UAE Team Emirates), 6: Salva almeno numericamente la stagione della squadra, tamponando i chiaroscuri della sua con il successo scintillante sui Campi Elisi. Partito bene con le vittorie in Oman e ad Abu Dhabi e davanti anche alla Sanremo (4°), evapora nelle classiche del Nord trovandosi sempre a corto di energie nelle fasi cruciali delle gare. A poco serve l’ennesimo successo in carriera a Francoforte, cui fa seguito quelli al GP d’Argovie prima di una Grande Boucle che, gioia finale a parte, lo relega sempre in seconda linea fin quando il lotto dei pretendenti negli arrivi a ranghi compatti è di alto livello.

Steven Kruijswijk (LottoNL-Jumbo), 7,5: Per la prima volta in carriera rischia l’accoppiata Tour-Vuelta e i risultati gli danno pienamente ragione. Sfrutta meglio di chiunque altro la compresenza di un altro uomini di classifica in squadra (Roglic in Francia, potenzialmente Bennett in Spagna) muovendosi da lontano fin quando non mette paura in classifica e poi rivelandosi il solito duro quando c’è da stringere i denti. Porta a casa un quinto e un quarto posto finale che gli fanno scrollare di dosso l’ingombrante etichetta di “meteora” che si era cucito addosso in Italia. Premio alla regolarità che viene sublimato anche attraverso i piazzamenti finali nei 10 in Catalogna, Romandia e Svizzera.

Merhawi Kudus (Dimension Data), 5,5: La sola conquista del titolo nazionale in linea non salva completamente la stagione del 24enne eritreo, dal quale ci si attendevano progressi maggiori. Fallisce soprattutto l’appuntamento della Vuelta, alla quale si è presentato sulla scia di una Vuelta a Burgos incoraggiante e senza oneri di gregariato, considerando l’inconsistenza del capitano Meintjes. Invece in Spagna non combina granché, centrando sporadicamente l’azione giusta e senza mai riuscire a capitalizzarla. In precedenza qualche discreto piazzamento (9° in Oman) e poco più.

Stefan Kung (BMC Racing Team), 6,5: Fotocopia quasi alla perfezione la stagione precedente, con tre vittorie che giungono tutte a cronometro. Due sono uguali (campionati nazionali e BinckBank) mentre trasferisce quella del Giro di Romandia fino al Giro di Svizzera. Cambia pochissimo la sostanza, soprattutto perché buca oltre ogni aspettativa sia la rassegna continentale che quella iridata, piazzandosi rispettivamente 7° e 12° nell’esercizio. Per il resto si conferma pedina importante per le dinamiche di squadra nelle corse a tappe, potendo mettere le sue qualità al servizio dei compagni nelle cronosquadre.

Michal Kwiatkowski (Sky), 7: Le generali di Algarve, Tirreno-Adriatico e Giro di Polonia non costituiscono un’indicazione definitiva sulla metamorfosi in corridore da grandi giri. Il polacco continua infatti ad esprimere il massimo del suo potenziale nelle brevi corse a tappe e in quella in linea, mentre nei GT corre da gregario di gran lusso in Francia e in Spagna si affievolisce presto dopo aver spaventato tutti nelle primissime giornate. Il passo indietro nelle classiche, soprattutto nelle Ardenne, viene parzialmente mitigato dai netti miglioramenti a cronometro che lo portano a sfiorare una medaglia iridata nella specialità.

LETTERA L

Bjorg Lambrecht (Lotto Soudal), 6,5: Ventuno anni compiuti a stagione in corso, la speranza della Lotto per le corse a tappe del futuro ha prodotto un apprendistato soddisfacente. Conquista l’unico successo al Tour des Fjords, piazzandosi secondo nella classifica generale, e nel complesso dimostra una buona continuità di rendimento misurandosi con profitto negli appuntamenti World Tour. Interpreta all’attacco il primo GT della sua carriera tra i prof, giungendo quarto sul duro traguardo di La Camperona nella tredicesima tappa della Vuelta, e chiude la stagione con un solo rimpianto: il titolo iridato Under 23 sfumato in discesa dopo essersi dimostrato il più brillante in salita.

Yves Lampaert (Quick-Step Floors), 7,5: Anno dopo anno continua a scalare gerarchie nella corazzata belga, soprattutto nelle classiche. Bissa il successo del 2017 nella Dwars door Vlaanderen, stavolta sfruttando più le sue doti che non lo strapotere tattico della squadra, che gli servirà invece (per informazioni chiedere a Gilbert) per allungare per la prima volta le mani sul titolo nazionale in linea, giunto un anno dopo quello a cronometro. Protagonista anche sulle strade del Tour de France, è il migliore tra i suoi nell’attesa tappa con arrivo a Roubaix, chiusa al terzo posto contro due aficionados della località, e si piazza anche sesto allo sprint. Protagonista anche in autunno, sfiora il colpo nella Binche-Chimay-Binche.

Mikel Landa (Movistar), 6: Una sola vittoria di tappa, alla Tirreno-Adriatico, nessuna classifica generale aggiunta al palmarès e un fastidioso senso di incompiutezza. Va in archivio così la prima annata del basco nella corazzata di Unzué, nella quale era arrivato con l’obiettivo di aumentare il potenziale bellico da innescare sulle strade del Tour de France. Dopo un avvio incoraggiante di stagione (6° a Ruta del Sol e Tirreno-Adriatico, 2° ai Paesi Baschi), l’ex Sky – complice anche un pizzico di sfortuna nella prima settimana – non è riuscito a ripetersi sui livelli del 2017 alla Grande Boucle e, soprattutto, non ha approfittato della compresenza e delle defaillance di Valverde e Quintana per conquistare senza possibilità di replica i galloni di capitano unico. Giunto settimo a Parigi, ha lasciato sull’asfalto della Classica di San Sebastian i propositi di tornare protagonista tra Vuelta e Mondiale.

Christophe Laporte (Cofidis, Solutions Crédits), 7: L’impressionante, e forse inattesa, sequenza di successi di inizio stagione lo rende il velocista di punta in squadra a scapito di Bouhanni. I colpi sparati tra Etoile de Bessèges, Tour La Provence, Tro-Bro Léon, Giro del Belgio e Giro del Lussumbergo, gli valgono infatti la convocazione per il Tour de France e la possibilità di misurarsi contro i migliori sprinter al mondo. La sfrutta discretamente, ottenendo tre quinti posti e un secondo, a Pau, battuto solo dalla scaltrezza di un Démare bravo a cambiare traiettoria al momento giusto. Meno redditizia la seconda parte di calendario, con la piazza d’onore al GP d’Isbergues e il terzo posto nella Parigi-Bourges che, se trasformati in vittorie, avrebbero contribuito a migliorare la pagella.

Pierre Latour (Ag2R La Mondiale), 7: Si dimostra capace di brillare di luce propria e non soltanto di vivere nell’ombra di Bardet, del quale resta comunque il gregario più utile, spendibile e incisivo. Prima dell’appuntamento cerchiato di rosso sul calendario, centra tre piazzamenti nei 10 nelle classifiche generali di corse World Tour (3° nella Volta a Catalunya, 8° al Romandia e 7° al Delfinato), accompagnate da due maglie bianche e dal netto dominio nella cronometro dei campionati nazionali. Al Tour de France sfiora il colpaccio sul Mur de Bretagne quando, affrancato dai compiti di gregariato dopo i guai occorsi al capitano, sbaglia i tempi dell’azione mancando di poco l’aggancio a Martin, ma si rifà con gli interessi prendendosi la Maglia Bianca di miglior under 25 (al cospetto di Bernal) e chiudendo con un 13° posto che gli vale di gran lunga la miglior performance in un GT. Ora ha l’obbligo di continuare a progredire con la stessa rapidità.

Juan José Lobato (Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini), 7: Ritornare in sella senza sprofondare dopo l’abisso – anche umano – nel quale era sprofondato con la LottoNL-Jumbo non era affatto impresa semplice. A conti fatti, invece, quella fatta dalla formazione italo-nipponica ha il gusto di una scommessa vinta. Tornato in gara a fine febbraio, impiega fisiologicamente diversi mesi prima di ritrovare un colpo di pedale consono ai suo trascorsi, ma tra settembre e ottobre risorge come un’Araba Fenice cogliendo un quinto posto nella Brussels Classic e un quarto nel GP Beghelli intervallati dal blitz, con un colpo da finisseur che gli permette di anticipare Colbrelli e Moscon, alla Coppa Sabatini. Rispetto agli anni scorsi ha perso qualcosa nel confronto diretto con i velocisti migliori, ma può ricostruirsi una carriera dignitosa e senza le ombre del passato.

Miguel Angel López (Astana), 8: Gli manca il successo finale, ma non le gioie parziali e la consapevolezza di essersi definitivamente consacrato tra i grandi per le corse a tappe. A 24 anni si cimenta per la prima volta nella doppietta Giro-Vuelta e riesce a salire sul podio (in entrambi i casi sul gradino più basso) sia in Italia – dove si prende anche la Maglia Bianca di miglior giovane – che in Spagna, dove arriva però più vicino al bersaglio grosso. Prima, durante e dopo c’è tutta una serie di piazzamenti che restituisce la misura dei progressi: vittoria di tappa e podio al Tour of Oman, podio finale ad Abu Dhabi e al Tour of the Alps (con successo all’Alpe di Pampeago), successo di tappa e generale sfumata a 300 metri dall’arrivo alla Vuelta a Burgos. Chiude andando vicino al bis alla Milano-Torino, dove un errore grossolano ne causa lo scontro con Gaudu e la possibilità di duellare fino all’arrivo con Pinot.

Alexey Lutsenko (Astana), 5,5: Apre e chiude nel modo giusto, ma in mezzo sono troppi i passaggi a vuoto. Premiato dalla regolarità, e dalla compresenza di un compagno di squadra come Lopez, al Tour of Oman, dove riesce a prendersi la classifica generale, fatica oltre ogni pronostico nelle classiche del Nord, dove pure nel 2017 aveva trovato un buon colpo di pedale. Al Giro d’Italia sacrifica le proprie velleità alla causa di capitan Lopez, consolandosi con una vittoria di tappa in Austria, a luglio, dove rinuncia però a curare la classifica. Torna competitivo al Giro di Turchia, aggiudicandosi la frazione più attesa con arrivo a Selçuk, ma il gioco degli abbuoni lo mortifica l’ultimo giorno precludendogli la possibilità di incamerare l’unica vittoria WorldTour dell’anno.

LETTERA M

Rafal Majka (Bora-Hansgrohe), 5: Come un anno fa parametra la sua stagione sull’accoppiata Tour-Vuelta e come allora non riesce a fare classifica in nessuno dei due appuntamenti. La differenza, però, c’è e si vede: rispetto al 2017 non riesce neppure a duellare per i successi parziali. Alla Grande Boucle arriva con una condizione precaria e non riesce ad inserirsi neppure nella lotta per la conquista della Maglia a Pois, mentre in Spagna – dove pure la compresenza di Formolo e Buchmann gli garantisce terreno fertile per le scorribande – si fa beffare dall’imberbe Rodriguez verso La Camperona e termina quarto nel tentativo di riscatto a Balcon de Bizkaia. Un rendimento costante che gli consegna due quinti posti a San Juan e Abu Dhabi, due sesti California e Slovenia e il settimo a Il Lombardia, conditi da uno zero alla voce vittorie, non basta a riabilitarlo.

Alan Marangoni (Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini), 6,5: Il 34enne romagnolo si divide tra il calendario europeo e quello asiatico per la sua ultima stagione dopo dieci tra i professionisti. Si conferma, come da sempre nel corso di una carriera vissuta per più di meta nel circuito World Tour, un prezioso gregario e uomo squadra, togliendosi la soddisfazione di cogliere un successo nell’ultima recita, vincendo per distacco il Tour de Okinawa a novembre inoltrato.

Jakub Mareczko (Wilier Triestina-Selle Italia), 5: Il bottino di vittorie si riduce di uno rispetto al 2017 (da 14 a 13), ma il peso specifico delle stesse lascia il tempo che trova. Le firme lasciate su Sharjah Tour, Giro del Marocco, Tour of China II, Tour of Taihu Lake e Tour of Hainan non si fanno testimoni dell’atteso salto di qualità, specie se accompagnate da flop più o meno evidenti nei pochi appuntamenti World Tour cui prende parte. Pesa soprattutto il passaggio a vuoto nel Giro d’Italia dove, ad eccezione della prima volata disputata a Tel Aviv nella quale prova a giocare la carta dell’anticipo su Elia Viviani, esce mestamente di scena con uno score inferiore allo scorso anno (quando si accomodò due volte sulla piazza d’onore) e con la sensazione di non essere ancora troppe spanne indietro rispetto ai migliori velocisti del panorama internazionale.

Daniel Martin (UAE Team Emirates), 6,5: Nella prima metà di stagione paga in termini di prestazioni e risultati l’approdo nella nuova squadra. Sboccia a partire da giugno, quando interpreta all’assalto il Delfinato fagocitando l’arrivo di Valmorel e lambendo il podio finale. Al Tour de France sviluppa un rapporto di dipendenza con la malasorte, alla quale riesce a sottrarsi soltanto quando si invola in solitaria sul Mur de Bretagne, e nel complesso l’ottavo posto finale appare il massimo che possa ricavare. Fa peggio, invece, quando dovrebbe vestire i panni di seconda punta di lusso, steccando l’appuntamento della Vuelta e uscendo dal GT spagnolo con una condizione approssimativa che gli impedisce di competere ad alti livelli in un Mondiale particolarmente adatto alle sue caratteristiche.

Guillaume Martin (Wanty-Groupe Gobert), 5,5: Vive una primavera soddisfacente condendola con le vittorie al Circuit de la Sarthe (tappa e classifica finale) e il terzo posto al Tour du Finistére che fanno da preambolo a un Delfinato interpretato all’attacco. Allo stesso modo prova a dare l’assalto al Tour de France, ma il risultato che gli viene restituito non può soddisfarlo. Manca l’appuntamento con una top 20 decisamente alla sua portata e la caccia alla Maglia Bianca, per la conquista della quale resta in corsa fino all’imbocco dell’ultima settimana, naufraga davanti al maggior tasso tecnico dei rivali Latour e Bernal. Il 4° e 5° posto centrati rispettivamente al Tour du Doubs e al GP di Vallonia a settembre non bastano a salvare una stagione che, a 25 anni compiuti, reclamava il salto di uno scalino più consistente.

Daniel Martinez (EF Drapac-Cannondale), 6,5: A soli 22 anni,   una delle nuove speranze del movimento colombiano per le corse a tappe del futuro mette subito a frutto il lavoro dell’inverno laureandosi vice campione nazionale a cronometro e correndo da protagonista, in appoggio a Uran, Colombia Oro y Paz (chiusa al quinto posto) e Vuelta a Catalunya (7°). Premiato dalla regolarità anche in California (3°), al Tour de France è chiamato a scortare il capitano e solo dopo il suo ritiro ha qualche occasione per mettersi in proprio, che sfrutta entrando nelle fughe ma senza raccogliere granché. A fine stagione si rivela utile, nonostante un fisiologico calo di forma, alla causa di Uran e Woods nelle classiche del calendario italiano.

Enric Mas (Quick-Step Floors), 7,5: Scaccia gli spettri degli appassionati iberici di restare, dopo gli addii di Contador e Rodriguez e in vista di quello non troppo spostato in avanti nel tempo di Valverde, col cerino in mano nei GT del futuro. A 23 anni il suo talento cristallino esplode con prepotenza sulle strade di una Vuelta iniziata in sordina e conclusa con un crescendo rossiniano, col trionfo sul Coll de la Gallina che gli consegna la piazza d’onore finale. Delle sue qualità in divenire si erano del resto già fatte testimoni Giro dei Paesi Baschi (con vittoria nell’ultima frazione possibile e alto podio) e Svizzera, chiuso a pochi secondi dal podio. Nel 2019 sarà atteso dal compito più difficile: confermarsi.

Michael Matthews (Sunweb), 7: Ribalta con tigna una stagione che aveva preso una china pessima. Un avvio a rilento gli costa più bassi che alti fino alle Ardenne, ma il quinto posto nella Freccia-Vallone, unito al successo nel prologo del Romandia e alle due piazze d’onore in Svizzera, sembrano rappresentare il giusto preludio per un Tour de France da protagonista. Invece i problemi gastrointestinali lo costringono a rinunciare in un solo colpo al confronto diretto con gli avversari migliori al mondo e alla possibilità di difendere la Maglia Verde conquistata un anno fa. Colpo da ko? Non per un purosangue, capace di risorgere aggiudicandosi la tappa più suggestiva del BinckBank Tour e, soprattutto, le due classiche canadesi in rapida successione. Risultati che non gli consentono tuttavia di guadagnarsi una (meritata) maglia per Innsbruck neppure dopo il forfait di Porte, capitano designato della truppa australiana.

Jay McCarthy (Bora-Hansgrohe), 6,5: Ricavarsi spazi vitali in una formazione comprendente l’accentratore di leadership Sagan e altri pedali veloci di tutto rispetto, non è certo impresa semplice. Il 26enne australiano ci riesce alla grande nella prima parte di stagione battendo, dopo aver sfiorato il titolo nazionale in linea, Viviani nella Cadel Evans Great Ocean Rade e ripetendosi nella terza tappa del Giro dei Paesi Baschi. Decisamente meno appariscente la seconda parte del calendario, quando rientra nei ranghi e si mette esclusivamente al servizio dei capitani ottenendo appena altri due piazzamenti tra i migliori 10.

Louis Meintjes (Dimension Data), 4: Il tramonto dell’anno che segnava la separazione da Saronni impone un’analisi approfondita. Il 26enne sudafricano è parso infatti parente alla lontana del corridore che in passato, pur senza mai rubare l’occhio a causa di condotte di corse sempre ultradifensiviste, sapeva piazzarsi con regolarità nelle posizioni di vertice delle generali dei GT. Al via di Giro e Vuelta, ha lasciato la Corsa Rosa dopo sedici frazioni incolore e chiuso al 58° posto in Spagna dopo aver corso sempre nelle retrovie del gruppo. Difficile spiegare un’involuzione che non ha conosciuto soluzione di continuità neppure negli appuntamenti intercalati tra i due.

Riccardo Minali (Astana), 6: La seconda stagione tra i professionisti del figlio d’arte e compaesano di Elia Viviani è quella che porta in dote i primi successi nella categoria. La doppietta al Tour de Langkawi non è un episodio isolato, ma incoraggia se accompagnata ai piazzamenti ottenuti a Dubai, in Croazia, Belgio e Danimarca. Nel finale completa le top five di due corse italiane (Beghelli e Piemonte), evidenziando doti ancora da sgrezzare ma sulle quali si può lavorare con successo.

Sacha Modolo (EF-Drapac), 6: Se si esclude la stagione di apprendistato nella categoria (2010), in cui si rivelò al grande pubblico lottando per la vittoria della Sanremo ma chiuse a secco di vittorie, è stata la sua peggiore tra i professionisti. Il solo successo ottenuto a febbraio alla Ruta del Sol rappresenta infatti un passo indietro rispetto al passato, anche se le attenuanti non gli sono mancate. Non sempre la squadra ha saputo aiutarlo nella maniera adeguata e, anzi, spesso è stato proprio lui a venire sacrificato in funzione delle esigenze dei capitani. È mancata però la conferma nelle classiche del Nord, nelle quali aveva saputo sorprendere un anno fa (alla Ronde) e la capacità di lottare ad armi pari con Viviani e Bennett al Giro.

Juan Sebastian Molano (Manzana Postobon), 6,5: Le sei vittorie distribuite tra Campionati Panamericani, Tour of China I e II e Tour of Taihu Lake, gli valgono l’atteso salto nel World Tour. Dal prossimo anno il 24enne sprinter colombiano lavorerà alle dipendenze del connazionale Fernando Gaviria nella UAE Team Emirates. Proprio contro l’ex Quick-Step Floors, alla Colombia Oro y Paz, ha dato conferma della bontà del suo spunto veloce, con due piazze d’onore che valgono forse più di successi conseguiti contro avversari di seconda fascia. Ora lo attende un calendario più fitto e qualitativo, che dirà in via definitiva il tipo di carriera che gli si prospetta davanti.

Bauke Mollema (Trek-Segafredo), 6: L’equivoco in casa Trek è stato quello di credere di poter sostituire Alberto Contador senza rinforzarsi particolarmente. Capitano designato per i GT, il neerlandese si è lasciato apprezzare soltanto come fuggitivo sia in Francia che in Spagna, mancando di un soffio (tre secondi posti complessivi) l’appuntamento con una vittoria di tappa o la conquista della Maglia a Pois Azzurri alla Vuelta. Incapace di reggere sulle tre settimane e ormai destinato a inventarsi una carriera diversa, coglie le sue uniche due vittorie in Italia, in occasione di una frazione della Settimana Coppi & Bartali e, con una stoccata da finisseur, al GP Beghelli. La sua pagella sarebbe stata decisamente diversa se fosse riuscito a trasformare il secondo posto di San Sébastian in un risultato pieno.

Dani Moreno (EF-Drapac), 4,5: Ricordate l’alter-ego di Joaquim Rodriguez, quel corridore in grado di sfruttare le giornate di licenza vincendo anche una Freccia Vallone? Bene, ora dimenticatelo. Nella nuova squadra l’esperto spagnolo ha portato la versione destinata alla pensione, la brutta copia del corridore che fu. Inconcludente in tutte le gare alle quali prende parte, lavora principalmente in funzione dei capitani di turno e non riesce mai a trovare una giornata buona per sé, limitandosi a svolgere un compitino che mal si coniuga con le qualità che ha saputo evidenziare nella sua ormai ultradecennale carriera.

Matteo Moschetti (Polartec-Kometa), 7: Vince a Burgos al secondo giorno in gara da stagista, si ripete in Ungheria. La sensazione è che la Trek-Segafredo non abbia sbagliato a puntare subito forte sul prodotto della nidiata Contador-Basso, svezzato nella prima metà di stagione con un filotto di vittorie collezionate tra Turchia, Grecia, Francia e Paesi Bassi. Velocista dalle caratteristiche decisamente interessanti, ha già saputo mettersi alle spalle avversari con curriculum nelle prime gare tra i professionisti disputate e alla corte di Guercilena potrà immediatamente accrescere un bagaglio davvero interessante.

Moreno Moser (Astana), 4,5: Un’altra annata dai contorni inspiegabili gli costa il declassamento tra le Professional. Dopo un inizio dal sapore di rinascita, scandito dal bis a Laigueglia a sei anni dalla prima vittoria che lo aveva rivelato al grande pubblico, sparisce dagli ordini d’arrivo inanellando una sequela di risultati mediocri. A fine stagione saranno appena 43 i giorni di gara messi assieme, la maggior parte dei quali in corse di secondo piano e senza prendere parte a GT. Di risultati positivi neppure l’ombra, così come del corridore che aveva stupito tutti appena approdato nella massima categoria. All’approdo alla Nippo-Vini Fantini il compito di decifrare i margini di un recupero per il quale i tempi, alla soglia dei 28 anni, iniziano a farsi stretti.

LETTERA N

LETTERA O

Ben O’Connor (Dimension Data), 7: Il colpaccio nella terza tappa del Tour of The Alps, con la sua azione nel finale a sorprendere gli uomini di classifica, lo porta all’attenzione del grande pubblico come una possibile sorpresa per le prossime stagioni. Sfortunato al Giro d’Italia, non riesce a competere per la classifica generale né per la maglia bianca dopo una caduta, ma più volte si fa vedere tra i migliori. Brilla molto meno nel finale di stagione, dove coglie al massimo il decimo posto al Trofeo Matteotti, ma dimostra di potersi inserire tra i grandi in futuro.

Yoann Offredo (Wanty-Groupe Gobert), 6: Corridore di grande esperienza, non riesce a farsi notare nelle classiche del nord, suo campo di battaglia. Strappa la sufficienza con un Tour de France molto generoso, corso spesso all’attacco (anche da solo) nelle tappe pianeggianti, non senza polemizzare quando non gli viene assegnato il numerino rosso dopo più di 100 km in avanscoperta solitaria. Per il resto corre spesso in appoggio ai capitani, facendo valere le sue doti di passista.

Nelson Oliveira (Movistar), 6: Torna a mostrare le sue abilità di cronoman alla Vuelta a España, dove chiude quarto il prologo e settimo la prova contro il tempo di Torrelavega. Il quinto posto di specialità a Innsbruck ne conferma le grandi potenzialità, non sempre espresse al meglio. Gregario utile in pianura, ci si aspettava forse qualcosa di più anche nelle giornate mosse.

Sam Oomen (Sunweb), 7: Per la prima volta Dumoulin si ritrova ad avere un gregario affidabile in salita, e quasi non gli sembra vero. Il classe ’95 sfiora la top ten alla Liegi Bastogne Liegi per poi svolgere egregiamente il proprio compito in appoggio alla maglia rosa del 2017, riuscendo anche a strappare un ottimo nono posto nella classifica generale. Una volta entrato tra i dieci in una corsa World Tour, sembra non volerci uscire più: termina settimo il Giro di Svizzera e nono il Giro di Polonia, nonostante una condizione non ottimale. Un salto di qualità deciso per il neerlandese, che già nel 2019 potrebbe meritarsi il ruolo di capitano in una corsa a tappe da tre settimane.

Daniel Oss (Bora-Hansgrohe), 7: Con lui in squadra Sagan ha finalmente un gregario di valore da spendere nelle classiche del nord per ricucire sugli avversari. Lo slovacco sembra quasi abusare della generosità dell’azzurro, facendolo lavorare per ricucire gli attacchi anche molto lontano dall’arrivo. Il successo dell’iridato alla Roubaix ha qualcosa di trentino, con le tirate per sfiancare gli avversari e chiudere sugli attaccanti. Anche al Tour de France svolge un lavoro meraviglioso a protezione del leader delle volate, confermandosi oro colato per sprinter e uomini da classiche. Indispensabile.

LETTERA P

Luca Pacioni (Wilier-Selle Italia), 6,5: Conferma i suoi progressi cogliendo l’ultima tappa della Tropicale Amissa Bongo e del Tour de Taiwan, per poi imporsi in una frazione del Tour de Langkawi. La stagione passata a farsi le ossa spesso lontano dall’Europa sembra aver dato i suoi frutti, e nel 2019 lo aspettiamo anche nelle competizioni del vecchio continente, dove quest’anno non ha raccolto più di un quinto posto nella Adriatica Ionica. Il nono posto in una volata del Giro di Turchia può dargli morale per le future corse World Tour.

Jarlinson Pantano (Trek-Segafredo), 5,5: La sua stagione è pesantemente condizionata da un virus che non gli permette di rendere al meglio. Firma con uno dei suoi colpacci in discesa una vittoria di tappa alla Vuelta a Catalunya, prima di un Giro d’Italia corso nell’ombra (senza l’attenuante di un capitano da difendere) e l’apparizione per onor di firma all’Adriatica Ionica. Poco per uno come lui, ma con una condizione fisica differente lo si attende di nuovo tra i protagonisti.

Andrea Pasqualon (Wanty-Groupe Gobert), 6,5: Domina il Giro di Lussemburgo, cogliendo due successi di tappa per poi conquistare la classifica generale, meno di un mese dopo aver trionfato al GP de Plumelec. Il resto della stagione recita una serie di buoni piazzamenti, tra cui il quarto posto al Francoforte e il sesto alla Brabantse Pijl. Al Tour de France è spesso nei dieci senza mai riuscire a lottare per la vittoria, e nemmeno provarci con una fuga da lontano. Forse con un pizzico di coraggio in più avrebbe avuto una chance tutta sua da giocarsi. Un piccolo rimpianto in una stagione decisamente positiva.

Serge Pauwels (Dimension Data), 5: Stagione da dimenticare per un cacciatore di tappe come lui, mai vicino a un successo e non sempre attivo. Non sfrutta al meglio la grande chance a Le Grand Bornard, dove lascia sfuggire Alaphilippe e chiude mestamente quinto l’unica fuga vincente in cui riesce a entrare nella Grande Boucle, prima di essere costretto al ritiro. Terzo al Tour de Yorkshire, dove si presentava da campione in carica, sembra in netta involuzione rispetto alla scorsa stagione.

Mads Pedersen (Trek-Segafredo), 7: Un Giro delle Fiandre corso in maniera eroica lo lancia tra le sorprese di questa stagione. Il secondo posto finale, decisamente inaspettato, è figlio di una tenacia fuori dal comune dopo aver avuto il coraggio di attaccare da lontano. Vincitore di una tappa al Sun Herald Tour, del Fyen Rundt e del Tour de l’Eurometropole, dimostra di sapersi far valere su più terreni, riuscendo spesso a sorprendere. Il quinto posto alla Dwars door Vlaanderen conferma che il suo feeling con il pavé è speciale, e gli può regalare grandi soddisfazioni.

Franco Pellizotti (Bahrain-Merida), 7: A 40 anni suonati, si rivela un uomo indispensabile per Nibali in salita nei primi appuntamenti del Tour de France. Con la caduta del siciliano, prova a reinventarsi centrando qualche fuga ma non riesce mai a lottare per il successo. La sua chance arriva alla Vuelta, con l’ottimo terzo posto colto a Ribeira Sacra, dove si lascia sfuggire De Marchi e Restrepo. Un gregario così tenace e affidabile sulle pendenze più dure mancherà a tutto il mondo del ciclismo.

Matteo Pelucchi (Bora-Hansgrohe), 5,5: Partecipa quasi solo a corse di seconda fascia, portando a casa un unico sigillo, in una tappa dell’Okolo Slovenska. Un bottino magrissimo per uno che in carriera ha vinto in Polonia e alla Tirreno Adriatico, non più di tre e quattro anni fa. Vive l’ultima stagione nella compagine tedesca con un ruolo secondario, e forse anche minore, rassegnandosi mestamente a fare da comparsa, con qualche rara eccezione. La speranza è che in un ambiente che gli dà maggiore fiducia possa riscattarsi.

Simone Petilli (UAE Team Emirates), 6,5: Al Giro del Delfinato si fa notare con qualche azione, mettendosi poi al servizio del capitano Daniel Martin. La sua condizione in quel periodo è ottima, come dimostra la top ten all’Adriatica Ionica. Non ha altrettanta fortuna alla Vuelta, dove prova qualche fuga ma è costretto ad arrendersi prematuramente alla sfortuna. La base per ripartire c’è, così come il talento per puntare a buoni risultati.

Taylor Phinney (EF-Drapac), 6,5: Dopo tanto tempo, finalmente lo si rivede protagonista in una classica sul pavé, terreno su cui aveva promesso tanto e mantenuto non tutto. L’americano centra un ottimo ottavo posto alla Parigi Roubaix, lasciando intendere di avere il potenziale per fare ancora qualcosa meglio. Al Tour de France si presenta per aiutare Uran, ruolo che svolge egregiamente soprattutto nella frazione con arrivo a Roubaix. Con il ritiro del colombiano, si getta nella mischia a Pau e coglie un nono posto in volata, che per le sue caratteristiche vale molto più di quanto dica il numero.

Thibaut Pinot (Groupama-FDJ), 8: Più forte della solita sfortuna che si stava mettendo contro di lui. Dopo aver vinto convincendo il Tour of The Alps, si presenta al Giro d’Italia con giustificate ambizioni di podio. Una speranza che crolla solo nell’ultima tappa di montagna, quando una polmonite lo svuota di energie e lo fa arrivare al traguardo stremato, costringendolo al ritiro. Senza perdersi d’animo, rientra con uno splendido terzo posto nella generale del Giro di Polonia, per poi essere grande protagonista di una Vuelta che chiude sesto con due vittorie di tappa. In netta crescita di condizione, si rivela decisivo ai mondiali per il podio del compagno di squadra Bardet. Finisce in bellezza con il successo alla Milano Torino e l’apoteosi de Il Lombardia, in cui vince sfiancando Nibali con una serie micidiale di scatti. Il giusto premio per la tenacia con cui è rientrato da alcuni mesi terribili, dopo tanti anni sfortunati. Se nel 2019 andrà tutto bene, sarà uno dei top con cui fare i conti.

Ruben Plaza Molina (Israel Cycling Academy), 5,5: Uno degli uomini chiave del progetto della formazione israeliana, ripaga la fiducia con il successo dell’ultima tappa e della classifica generale della Vuelta a Castilla y Leon. Sembra il preludio giusto per una partecipazione trionfale al Giro d’Italia, ma lo spagnolo rimane spesso nella pancia del gruppo cercando gloria personale in poche occasioni. La sua grande chance arriva a Prato Nevoso, dove viene beffato da Schachmann. Da lì in poi sembra perdere ogni motivazione una volta sfumato il grande obiettivo, raccogliendo poco o nulla.

Wout Poels (Team Sky), 6: Uomo di fiducia di Froome al Giro d’Italia, si rivela preziosissimo sullo Zoncolan (salita in cui ha sempre fatto molto bene) e nell’ultima settimana, anche se non sempre è quel gregario devastante ammirato in altre circostanze. Al Tour scivola rapidamente dietro a Bernal nelle gerarchie del team, riuscendo comunque a dare il suo contributo. A livello personale, coglie a metà la grande chance alla Parigi Nizza, in cui ottiene il successo nella cronometro individuale ma è costretto al ritiro per una caduta a Vence. Secondo alla Vuelta a Andalucia, stecca l’unico grande appuntamento in cui avrebbe davvero il ruolo di capitano, chiudendo lontano dai migliori sulle Ardenne. L’impressione è che sarebbe capitano in tantissime altre squadre World Tour, ma se non coglie le poche occasioni che gli vengono lasciate dalla squadra britannica ci mette un po’ del suo.

Jan Polanc (UAE Team Emirates), 5,5: Stavolta non trova la sua giornata di gloria al Giro d’Italia, pur promuovendo un’azione interessante nella tappa con arrivo a Montevergine. Per tutta la durata della stagione non è in grado di piazzare la zampata vincente, né di cogliere risultati significativi in classifica generale. Nel complesso, lo sloveno delude le aspettative, contribuendo a una stagione non felicissima per la sua squadra.

Simone Ponzi (NIPPO Vini Fantini Europa Ovini), 4,5: Il ritorno a una squadra italiana non gli porta fortuna, con risultati che non arrivano nonostante le possibilità che gli vengono concesse dal team, anche in corse non di primissima fascia. Mai nei primi sette di una corsa, non riesce davvero a dimostrare le sue qualità, neanche nei terreni più congeniali.

Richie Porte (BMC Racing Team), sv: Difficile giudicare la sua stagione. Sfiora il successo al Down Under, dove solo un eroico Impey gli nega la gioia della generale dopo la vittoria a Willunga Hill. Poi qualche caduta e infortunio lo tengono lontano dalle sue abituali posizioni nelle corse da una settimana, ma quando rientra conquista il Giro di Svizzera senza troppe difficoltà. Un’altra caduta al Tour, l’ennesima, questa volta senza colpe per lui, gli costa la Grande Boucle e la seconda parte di stagione. Impossibile capire fin dove potrebbe arrivare, se riuscisse a togliersi di dosso la rogna di questi anni.

Lukas Postlberger (Bora-Hansgrohe), 6: Perde tutta la parte della stagione su cui aveva concentrato le proprie energie a causa di una caduta, e da quel momento per lui diventa difficile ritrovare la condizione giusta. Vince il campionato nazionale in linea e corre in appoggio a Sagan a Tour e Vuelta, confermandosi un gregario prezioso. Bisognerà capire in futuro cosa potrà fare, se avrà più spazio.

Filippo Pozzato (Wilier-Selle Italia), 5: Un lutto familiare non gli permette di prendere parte al grande appuntamento stagionale, il Giro d’Italia, e probabilmente ne condiziona il resto della stagione. Ma per un corridore con il suo talento e il suo ruolo in squadra il segno zero vicino alle vittorie è una sentenza, soprattutto se accompagnato da un’assenza di piazzamenti in top five per tutto il 2018.

Domenico Pozzovivo (Bahrain-Merida), 7: Secondo al Tour of The Alps, quinto alla Liegi Bastogne Liegi, conferma i suoi grandi progressi nelle classiche impegnative prima di presentarsi al Giro d’Italia con il serio obiettivo di arrivare a podio, sfumato nel giorno in cui Froome riscrive la classifica. Alla fine il quinto posto è comunque positivo, più di una partecipazione al Tour de France che perde significato con il ritiro di Nibali. Nel finale di stagione ottiene ancora numerosi piazzamenti in top ten, tra cui un buon ottavo posto al Lombardia. Passano gli anni, ma il lucano è sempre lì a lottare.

Eduard Prades (Euskadi-Murias), 6,5: Annata prolifica per lo spagnolo, che ottiene molti risultati importanti nelle corse da una settimana, tra cui spicca un Giro di Turchia vinto all’ultimo respiro. Vincitore del Tour of Norway, si piazza sul podio anche nel Tour of Yorkshire e alla Vuelta a Castilla y Leon. Tanti ottimi risultati che gli valgono una giusta chiamata in una formazione World Tour, dove sicuramente avrà meno spazio ma potrà correre competizioni importanti con maggiore continuità. Perde qualcosa per una Vuelta a España non sempre brillantissima, non convincendo nell’appuntamento più importante della stagione.

LETTERA Q

Nairo Quintana (Movistar), 4,5: Per il quinto anno consecutivo opta per la partecipazione a due GT consecutivi, per la prima non sale sul podio finale di nessuno dei due. E non dà neppure mai l’impressione di potercisi avvicinare. Come nel 2015 e nel 2016 l’accoppiata scelta è quella Tour-Vuelta, ma in Francia è costretto a rincorrere sin dalla prima frazione e si rivela incapace di sfruttare la compresenza in squadra di Landa e Valverde, accontentandosi di un modesto ottavo posto che non viene salvato neppure dal fuoco di paglia della vittoria nel “mini” tappone di Saint-Lary-Soulan, favorita anche dallo scorso controllo su di lui dei big della generale. Peggio ancora fa in Spagna, dove due anni fa si era imposto proprio sfruttando la condizione con la quale era uscito dal Tour e stavolta è relegato al mero ruolo di gregario di Valverde dopo aver provato senza profitto a curare la sua classifica nelle prime due settimane. L’unica fiammata della stagione arriva in Svizzera, dove si rende protagonista di un bel numero, mentre i secondi posti finali in Colombia e in Catalogna non bastano a migliorare la peggior pagella della sua carriera da professionista.

LETTERA R

Edward Ravasi (UAE Team Emirates), 6: Nel contesto mediocre in cui si dipana la stagione della formazione emiratina, non è da cestinare la seconda tra i professionisti del 24enne di Besnate, che potrà rivelarsi nel 2019 un valido apripista per i capitani nei GT. Dopo aver esordito al Giro si cimenta sulle strade della Vuelta, cercando senza frutto (9° posto di giornata) l’assalto alla vetta de La Camperona, in calce a un calendario nel quale emerge sovente tra le seconde linee degli appuntamenti World Tour minori, come il Giro della California. In estate è brillante anche al Delfinato, dove cerca spesso l’attacco da lontano e all’Adriatica Ionica Race, chiusa ai piedi del podio della classifica generale.

Sebastien Reichenbach (Groupama-FDJ), 6,5: Si conferma uno dei gregari più solidi di Pinot scortando con successo il capitano sulle strade della Vuelta a Catalunya, del Tour of the Alps (contribuendo in maniera decisiva alla vittoria finale) e del Giro d’Italia, dove funge da importante apripista e sacrifica le proprie possibilità di entrare nei primi 15 della generale, valorizzate dalle belle performance sullo Zoncolan (8°) e verso Bardonecchia (6°), accompagnando il calvario verso Cervinia. Dopo un’estate scandita da appuntamenti minori, torna ad incidere in autunno rivelandosi decisivo ai fini delle vittorie di Milano-Torino, riuscendo addirittura ad arrivare 5° dopo aver tirato per il capitano, e Il Lombardia.

Mark Renshaw (Dimension Data), 5,5: Che si sia ormai disabituato a sgomitare per le vittorie personali lo rivela un digiuno lungo quattro anni, ma la stagione psicodrammatica vissuta da capitan Cavendish ne suggeriva un ruolo diverso. Alla soglia dei 36 anni, invece, l’ex Quick-Step è anonimo in tutti gli appuntamenti ai quali prende parte e non cerca mai, se non in una tappa dell’Adriatica Ionica Race conclusa al quinto posto, la gloria personale. Anche anteponendo le priorità dei compagni alle sue, però, non combina granché di buono, pagando l’assenza di un velocista competitivo al quale lanciare le volate.

Max Richeze (Quick-Step Floors), 7,5: È probabilmente l’ultimo uomo più forte in circolazione e lo ribadisce spianando la strada di Gaviria verso tutti i successi stagionali e riuscendo, negli stessi appuntamenti, spesso a piazzarsi rinunciando a tirare i freni. Ma non solo. Quando gli viene concessa licenza, infatti, raramente sbaglia. La riprova è nelle vittorie che ottiene a San Juan e in Turchia, chiudendo l’anno con un sigillo in un appuntamento WoldTour. L’unico passaggio a vuoto lo fa registrare dopo il ritiro dal capitano dal Tour de France quando, potendo pensare solo a sé stesso, non va oltre un 6° posto di tappa.

Nicolas Roche (BMC Racing Team), 5: Chiude a secco di vittorie la seconda stagione consecutiva, senza lasciare traccia nelle apparizioni a Giro d’Italia (dove si ritira durante la 15^ tappa) e Vuelta a Espana, dove giunge ottavo nella tappa di Luintra vinta dal compagno di squadra De Marchi. Assente dalla spedizione per il Tour, l’unico appuntamento in cui il team si era presentato con un capitano (Porte) da servire e proteggere, ha di fatto sempre la possibilità di entrare nelle fughe ma la coglie raramente. Non bastano il quinto posto finale in Norvegia e il decimo in Turchia per salvare un’annata decisamente in chiaroscuro.

Oscar Rodriguez (Euskadi-Murias), 7,5: Regala alla formazione basca il successo più importante della sua storia permettendole di sognare la WildCard per il prossimo Tour de France. A 23 anni, in coda a una stagione che lo aveva visto vincere la classifica scalatori al Tour of the Alps, classificarsi secondo tra i giovani in Portogallo e chiudere terzo la crono individuale della Vuelta ao Alentejo, conquista con un numero d’alta scuola la vetta di La Camperona alla Vuelta. In avanscoperta contro avversari ben più quotati di lui, li mette nel sacco dosando con grande sagacia lo sforzo sulle rampe più dure e facendo letteralmente il vuoto negli ultimi 1500 metri. Un trionfo che vale come un biglietto da visita pesante e impegnativo in vista della riconferma per il 2019.

Jurgen Roelandts (BMC Racing Team), 6,5: Offre esperienza, solidità e continuità di rendimenti alla causa rossonera. Inizia col botto vincendo una tappa alla Vuelta Valenciana e interrompendo così un digiuno di quattro anni e mezzo, e nel resto della stagione è pedina importante al servizio dei capitani di turno, su tutti Van Avermaet nelle classiche a lui più adatte. Nonostante ciò coglie un importante quinto posto alla Milano-Sanremo e due piazzamenti nelle top 10 di tappa al Giro d’Italia.

Primoz Roglic (LottoNL-Jumbo), 8,5: Forte a cronometro, quasi imbattibile negli arrivi su strappi secchi, lo sloveno compie l’attesa metamorfosi in uomo da corse a tappe arrivando vicinissimo al podio di Parigi nel primo Tour de France corso da capitano. Impressionante è soprattutto il percorso di avvicinamento alla Grande Boucle (dove conquista l’ultima frazione di montagna, involandosi in discesa verso Laruns e perdendo poi il terzo posto nella cronometro del giorno seguente), scandito dai trionfi nei Paesi Baschi, in Romandia e al Giro di Slovenia, dopo aver rotto il ghiaccio a Trevi alla Tirreno-Adriatico. Ha il rammarico di non aver potuto duellare ad armi pari al Mondiale, complice una scivolata in una fase topica della prova che lo ha costretto a una complicata rincorsa che gli ha impedito di giocarsi le proprie carte sul muro di Gramartboden.

Pierre Rolland (EF-Drapac), 5,5: Ribadisce l’idiosincrasia con gli anni pari e, così come nel 2014 e nel 2016, taglia il traguardo finale senza acuti all’attivo. Delude soprattutto nelle spedizioni ai GT (Tour e Vuelta) quando, sebbene spesso affrancato dai compiti di gregariato pure in favore di un Uran che si ritira presto dalla Grande Boucle e lascia licenze in Spagna, non va oltre un terzo posto racimolato alla Sierra de la Alfaguara sbagliando per il resto tempi e tattiche delle fughe. La gamba non è quella degli anni scorsi e gli impedisce anche la possibilità di lottare per le altre maglie, con l’anonimato che era iniziato anche nella prima metà di calendario ad eccezione dell’ottavo posto finale al Delfinato.

Timo Roosen (LottoNL-Jumbo), 6,5: Rispetto a un 2017 chiuso con due vittorie all’attivo, manca il bersaglio grosso e viene chiamato a lavorare quasi sempre in funzione dei capitani. Dopo un terzo posto a febbraio a Dubai e un paio di piazzamenti discreti (tra cui spicca il 14° al Giro delle Fiandre) nelle classiche, si rivela prezioso per Groenewegen al Tour de France e tira dritto fino a ottobre passando per il BinckBank Tour. In Canada ottiene però i risultati più lusinghieri, piazzandosi 4° e 5° nelle due classiche World Tour nelle quali dimostra ancora una volta un discreto spunto veloce su arrivi in leggera pendenza.

Diego Rosa (Sky), 5,5: Basta la vittoria, costruita attraverso il successo nella cronosquadre e due piazze d’onore, alla Settimana Coppi&Bartali per salvare la stagione? Risposta negativa. Il secondo anno del piemontese nel colosso britannico non perfeziona il rendimento di quello dell’apprendistato. Escluso dalle formazioni schierate nei tre GT e costretto a ripiegare su un calendario “minore”, non è mai protagonista nelle corse WorldTour cui prende parte e fatica ad emergere anche nelle brevi a tappe. Alla soglia dei 30 anni sembra ormai avviato verso un iter da gregario puro e con scarsissima licenza. Adesso sta a lui scegliere se e quanto la prospettiva gli vada a genio.

Anthony Roux (Groupama-FDJ), 6,5: Dopo due stagioni senza mai alzare le braccia al cielo, torna su buoni livelli grazie al titolo nazionale su strada incorniciato da quelli in patria ottenuti nella Route d’Occitanie e al Tour du Limousin. Comprimario nelle classiche delle Ardenne e gregario con poche licenze sulle strade del Giro d’Italia, annovera come risultato più prestigioso dell’anno il terzo posto nella Classica di San Sebastian, dove riesce a regolare il gruppo degli immediati inseguitori di Alaphilippe e Mollema. A 31 anni compiuti resta da capire quanto a lungo possa durare questa inattesa seconda giovinezza.

Luke Rowe (Sky), 6,5: In casa Sky è uno dei corridori con meno attitudini vincenti (appena due i successi in una carriera giunta al settimo anno nella massima categoria), ma uno dei più preziosi. Contribuisce al dominio perpetrato al Tour de France, sebbene cambiando protagonista, per la quarta stagione di fila, dopo aver servito la causa di Bernal al Giro di California e quella di Thomas in Delfinato. Gregario di lusso, tira i freni già a fine agosto senza aver avuto occasioni per mettersi in proprio ma avendo contribuito anche ai successi nelle cronometro a squadre della Coppi & Bartali e del Delfinato. Considerando l’infortunio subito, non era assolutamente scontato.

LETTERA S

Fabio Sabatini (Quick.Step Floors), 7: Se Elia Viviani vive la stagione migliore della sua carriera lo deve anche al suo treno e, in particolare, a Sabatini. L’esperto corridore di Pescia conferma di essere uno degli apripista più abili all’interno del gruppo, facendo da ultimo o penultimo uomo per le volate della Quick-Step. Sacrifica qualsiasi velleità di risultato personale per la causa della squadra. Nelle 73 vittorie del team di Lefevere il suo nome non figura mai, ma senza il suo apporto sarebbero state probabilmente meno.

Peter Sagan (Bora-hansgrohe), 8: Molto più che un semplice corridore. Colui che può essere considerato l’uomo simbolo del ciclismo mondiale dimostra una volta di più il suo incredibile talento. Tra i suoi capolavori stagionali, la Gand-Wevelgem, l’azione vincente a più di 50 chilometri dal traguardo alla Parigi-Roubaix, e le tre tappe al Tour de France con tanto di sesta maglia verde conquistata tra le sofferenze. Sulle battute conclusive del Tour una brutta caduta gli compromette la parte finale di stagione, ma ormai i suoi obiettivi li aveva già ampiamente raggiunti.

Luis Leon Sanchez (Astana), 7,5: Lo spagnolo torna a farsi vedere su altissimi livelli, soprattutto nei primi mesi della stagione, prima che l’infortunio al Tour gli tarpasse le ali. Vince la Vuelta a Murcia e una tappa al Tour of the Alps, ma nel mezzo riesce anche ad indossare per diversi giorni la maglia di leader alla Parigi-Nizza, oltre a non far mancare mai il suo supporto agli scalatori nelle frazioni di alta montagna. Sul tramonto di stagione riesce a tornare e piazzare una zampata anche al Tour of Almaty. Probabilmente il migliore Luis Leon visto negli ultimi cinque anni.

Ivan Santaromita (Nippo-Fantini), 5: Il quarto posto al Campionato Italiano non può bastare a salvare la stagione del lombardo. Corre con generosità ma non sembra avere la gamba per poter competere per la vittoria, che tanto sarebbe servita alla sua squadra, un po’ opaca nelle corse europee. È uno dei corridori più esperti della squadra e si assume la responsabilità di fare da guida ai giovani, ma dal punto di vista dei risultati ci si aspettava sicuramente di più.

Kristian Sbaragli (Israel Cycling Academy), 5,5: Il toscano sembra aver perso lo spunto di un paio di stagioni fa. La squadra punta molto su di lui, ma non sembra esserci la gamba per andare oltre un piazzamento nei primi 10. Il miglior risultato arriva al GP di Lugano, quando in un’inedita veste di attaccante porta a casa un buon secondo posto. Dopodiché da sottolineare solo il quinto posto al Trofeo Matteotti, che di certo non renderà la sua stagione da ricordare. Il prossimo avrà più concorrenza interna e sarà quindi atteso ad una pronta risposta.

Maximilian Schachmann (Quick-Step Floors), 7: Il ciclismo tedesco può godersi un nuovo talento che, quasi stranamente, non è un velocista. Corridore esplosivo, che si esalta sulle brevi salite, il 24enne di Berlino si è dimostrato un buon interprete delle fughe, vincendo una tappa al Giro di Catalogna e la frazione di Prato Nevoso al Giro d’Italia. Nel finale di stagione tanti piazzamenti e una vittoria in patria al Giro di Germania, oltre ad un’inaspettata medaglia di bronzo ai Campionati Europei a cronometro, dimostrando tutta la sua duttilità come corridore.

Florian Senechal (Quick-Step Floors), 6,5: Emergere in una squadra di fenomeni non era facile, ma il 25enne ci riesce, pur non riuscendo a vincere. Chiude nei primi 20 l’E3 Harelbeke e centra tanti piazzamenti in altre classiche minori, tra i quali il secondo posto al Gran Piemonte, alle spalle di Colbrelli. Fa esperienza anche al Giro d’Italia e dimostra di sapersi mettere bene a disposizione della squadra. Il futuro è dalla sua parte e nel 2019, complice qualche partenza in seno alla squadra, avrà più spazio per andare a cercare il primo successo tra i professionisti.

Manuel Senni (Bardiani-CSF), 5,5: La scelta di ripartire da una squadra Professional non ha portato fortuna al 26enne romagnolo. La squadra gli lascia sempre spazio per dire la sua, ma l’ex BMC non sembra avere mai lo spunto e il cambio di ritmo per puntare a risultati importanti. Al Giro non brilla ed è costretto ad abbandonare la corsa dopo 2/3 di percorso, mentre la seconda parte di stagione va un po’ meglio. Riesce a conquistare la maglia di miglior scalatore al Tour Poitou-Charentes ma, per un ragazzo che era considerato uno dei maggiori prospetti italiani per le salite, ancora non può bastare a salvare la sua stagione.

Pavel Sivakov (Sky), 6: Anche per lui lo spazio per mettersi in proprio era pressoché nullo. Il russo era uno dei neoprofessionisti più attesi dopo la vittoria al Giro d’Italia U23 e del Giro della Valle d’Aosta l’anno precedente. Tuttavia il 2018 gli è servito più come apprendistato, riuscendo comunque a centrare un quarto posto alla Settimana Coppi&Bartali, corsa in appoggio a Rosa, e un discreto 14° posto finale al Giro di Svizzera. Disputa la Vuelta, ma decide di scendere dalla bicicletta dopo 14 tappe, conscio che correre subito un GT intero, al primo anno tra i grandi, avrebbe rischiato di bruciarlo. Il prossimo anno è atteso ad un passo in avanti.

Tom-Jelte Slagter (Dimension Data), 5: Il nederlandese continua ad andare forte solamente al Tour Down Under. Ormai da qualche anno brilla in Australia, dove anche quest’anno ha conquistato il terzo posto finale, per poi praticamente sparire per il resto della stagione. Probabilmente riesce a carburare prima degli altri ma è quasi inspiegabile come poi non riesco mai a ripetersi su quei livelli. L’unico risultato degno di nota è un terzo posto di tappa al Giro di Svizzera, mentre nelle restanti corse sprofonda come d’altronde un po’ tutta la Dimension Data.

Marc Soler (Movistar), 7: Lo spagnolo, vincendo la Parigi-Nizza, piazza uno dei colpi più sorprendenti dell’anno. La sua azione nella tappa conclusiva della Corsa verso il Sole, che gli ha permesso di ribaltare la classifica, vale praticamente da sola il voto finale. Oltre a quella corsa, però, brilla anche alla Vuelta a Andalucia e al Giro di Catalogna, mentre bisognerà attendere ancora un po’ per poterlo vedere all’opera in un Grande Giro. Per ora, infatti, è dietro nelle gerarchie rispetto a Quintana, Valverde e Landa, per i quali lavora egregiamente, ma le potenzialità ci sono e tutto il ciclismo spagnolo spera che questo ragazzo possa presto rubare la scena a tutti.

Ivan Sosa (Androni-Sidemerc), 7,5: Uno dei crack della stagione. La Colombia sforna il suo ennesimo gioiellino delle salite e a notarne (e sfruttarne) il talento ci ha pensato Gianni Savio. Dopo un buon inizio di stagione, si esalta al Tour of the Alps, quando è costretto al ritiro dopo aver indossato la maglia di leader. Poco male, perché si riscatta vincendo la Adriatica/Ionica Race e la Vuelta a Burgos, davanti al connazionale Lopez, oltre a due corse in suolo rumeno. Per lui si scatena un’asta che porta allo scontro Trek-Segafredo e Team Sky; alla fine la spunta (teoricamente) la corazzata britannica, che potrà affiancarlo all’altro gioiello Bernal.

Simon Spilak (Katusha-Alpecin), 5: Lo specialista delle corse di una settimana non brilla quest’anno. Tolto il sesto posto al Giro di Svizzera, deve sempre inseguire una condizione che non arriva. Anche nel 2018 decide di non correre i Grandi Giri, preferendo partecipare alla maggior parte delle corse di una settimana WorldTour. Stavolta però la scelta non paga e viene praticamente sempre respinto dalla strada. A 32 anni si conferma un corridore difficile da inquadrare; vedremo se il prossimo anno deciderà di dare una svolta al suo calendario.

Ian Stannard (Sky), 5: Il possente passista britannico sbaglia completamente le classiche del pavé. Arriva in condizioni precarie e i risultati lo rispecchiano. Considerando la non troppa concorrenza all’interno della Sky in queste tipologie di corse, la sua debacle pesa il doppio. Dimostra di far fatica a trovare il giusto colpo di pedale e per uno con la sua stazza, utilizzato perlopiù dalla sua squadra per fare l’andatura nelle prime fasi di una tappa, è importante cercare di sfruttare le poche occasione che la squadra gli concede. Il 31enne di Chelmsford non ci riesce, anche se ha un sussulto d’orgoglio a settembre, quando si aggiudica una tappa nel suo Tour of Britain.

Ben Swift (UAE), 4,5: Si conclude mestamente l’avventura del britannico con la maglia della UAE-Emirates. In una stagione in cui tutta la squadra emiratina ha fatto fatica, a Swift va ancora peggio, visto che centra solo due Top 10, delle quali la migliore l’ottavo posto al Campionato Nazionale britannico. Quasi un disastro per un corridore capace di centrare un doppio podio alla Milano-Sanremo non più di due anni fa. Dal prossimo anno tornerà al Team Sky, dove però sembra palese che le occasioni di cogliere un risultato personale saranno decisamente inferiori rispetto a quanto avuto negli ultimi anni.

LETTERA T

Niki Terpstra (Quick-Step Floors), 8: Altro che alternativa: il neerlandese si congeda dalla formazione belga, scommettendo sulla Professional Direct Energie, con un’annata fenomenale. Gli riesce, di fatto, tutto quello che era riuscito al compagno di squadra Philippe Gilbert l’anno prima. E forse anche qualcosa in più. Inizia a riempirsi lo stomaco a Le Samyn, ma la vera scorpacciata la fa al vero Nord andandosi a prendere, con azioni di pura potenza dalla media distanza, E3 Harelbeke e Giro delle Fiandre, seconda Monumento incastonata in una collezione d’autore inaugurata in passato con la Parigi-Roubaix. Dopo un Tour de France in chiaroscuro, e il susseguente annuncio dell’inatteso passaggio in una squadra in cui sarà capitano unico, in autunno conquista l’ennesima medaglia iridata (cronosquadre) e sfiora la Parigi-Tours dove nel finale, da favorito, trova sulla sua strada un Kragh Andersen decisamente più brillante di lui.

Mike Teunissen (Sunweb), 7: Viaggia forte soprattutto nei primi mesi della stagione, quando riesce a far valere il discreto spunto veloce di cui dispone nelle prime tre frazioni della Parigi-Nizza (con due quinti posti) uscendo in ottima condizione per le classiche del Nord. Sfiora il colpo grosso alla Dwars door Vlaanderen, dove si fa beffare nel finale da Lampaert, e arriva a un passo dalla top ten anche alla Parigi-Roubaix. Meno brillante dall’estate in poi, corre una Vuelta al servizio di uno sprinter (Walscheid) che non è mai in giornata e si riscatta parzialmente in Turchia, ottenendo un quarto posto nell’ultimo giorno prima delle vacanze.

Dylan Teuns (BMC Racing Team), 7: Il più piazzato tra i non vincenti. Non riesce a rivivere le “settimane da Dio” che avevano scandito il periodo tra luglio e agosto di un anno fa, pur salendo ben otto volte sul podio. Gli fanno difetto però i successi, considerando che la distribuzione tra piazze d’onore e gradini più bassi del podio è democratica: 4 a testa. Per continuità di prestazioni e risultati (6° alla Parigi-Nizza e 11° ai Paesi Baschi in primavera, 5° in estate in Polonia e tre volte sul podio di tappa alla Vuelta, brillante anche in autunno) è però ragguardevole, con il podio a Il Lombardia a confermarne anche i progressi nelle corse di un giorno. Al passaggio alla Bahrain, nel pieno della maturità fisica e agonistica alla soglia dei 27 anni, il compito di fare definitiva luce sulle sue potenzialità.

Edward Theuns (Sunweb), 5,5: Il 27enne belga azzecca poco e niente in una stagione in cui avrebbe dovuto e potuto dare continuità alle due vittorie, entrambe maturate in appuntamenti World Tour, che avevano tratteggiato il suo 2017. Dopo un avvio incoraggiante, con il 6° posto nella Het Nieuwsblad, sparisce nelle classiche e non trova spazi vitali sufficienti neppure al Tour de France, dove pure il forfait anticipato di Matthews, sebbene abbinato alla necessità di scortare Dumoulin, avrebbe potuto favorirlo. Mediocre anche l’appendice di calendario, che non può essere neppure minimamente salvata attraverso tre piazzamenti nei primi 10 al Giro di Turchia.

Geraint Thomas (Sky), 9: A 32 anni il gallese vive la stagione sognata per tutta una carriera. Dopo aver scandito il percorso di avvicinamento al Tour de France con una progressione incoraggiante nei risultati (2° alla Volta ao Algarve, 3° alla Tirreno-Adriatico e vincitore del Delfinato, dove pure manca l’appuntamento con il successo di tappa), si presenta alla Grande Boucle con una sola cartuccia da sparare: piazzarsi davanti a Froome, approfittando delle scorie accumulate al Giro dal capitano designato, nei primi arrivi in salita. Il gallese frantuma gerarchie e certezze (altrui) spianando La Rosiére e Alpe d’Huez e costruendosi un tesoretto di credito (e secondi di vantaggio) che, abbinato a solidità mentale e condizione fisica, nessuno potrà più intaccargli. La planata fino a Parigi è dolce e priva di interferenze. Meriterebbe la lode, se non fosse per una (comprensibile, ma non del tutto giustificabile) sparizione dalla scena dopo i Campi Elisi e per la forma approssimativa con la quale si ripresenta in gara tra Germania e Tour of Britain. Nel 2019 ha chiesto il compito più difficile possibile: ripetersi senza rompere definitivamente equilibri fragilissimi.

Marco Tizza (Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini), 6,5: Bilancio più che soddisfacente per la prima stagione tra i professionisti del 26enne di Giussano, che si conferma a proprio agio sulle brevi salite e dotato di un buono spunto veloce. Gli manca solo il risultato pieno, ma la buona serie di piazzamenti (2° alla Volta Limburg Classic, quarto e secondo di tappa a Burgos, 5° al Giro della Toscana e 3° al Trofeo Matteotti) dimostrano come il salto sia stato ben assorbito e la scelta della formazione italo-nipponica di accaparrarselo ben ripagata. Migliorando la continuità durante l’arco della stagione potrà togliersi belle soddisfazioni già a breve (a patto di trovare una sistemazione).

Antwan Tolhoek (LottoNL-Jumbo), 6,5: Per quanto talento si possa avere, emergere in una formazione che piazza due uomini tra i primi 5 al Tour e uno ai piedi del podio alla Vuelta, non è impresa facile. Il 24enne neerlandese fa però una gran bella figura in appoggio a Roglic e Kruijswijk alla Grande Boucle e quando ha (pur poca) licenza, fa intravedere sprazzi di classe cristallina. Il decimo posto alla Classica di San Sebastian è una buon biglietto da visita per le classiche del futuro, il secondo alla Japan Cup, nell’ultima recita stagionale, il segnale che il ghiaccio con la massima categoria è pronto per essere rotto.

Rodolfo Torres (Androni-Sidermec), 5,5: Parte in tromba (4° finale a San Juan), ma si spegne con insolita fretta. Dal 31enne colombiano, in passato grande animatore di tutti gli appuntamenti ai quali prendeva parte, è sempre lecito attendersi qualcosa di interessante in termini di imprevedibilità e spettacolo. Il suo 2018 scorre invece via su una linea piatta, la stessa che percorre nel calendario italiano tra Tour of the Alps, Giro d’Italia e Adriatica Ionica Race, ultimo appuntamento di un anno che chiude anzitempo e senza sussulti.

Matteo Trentin (Mitchelton-Scott), 7: Si presenta nella nuova squadra con un biglietto da visita decisamente “appesantito” dal commiato, a suon di vittorie, con la Quick-Step Floors. La prima metà di stagione è però una sinfonia alla sfortuna che conosce il momento più alto alla Parigi-Roubaix, quando rischia grosso e se la cava “soltanto” con qualche settimana di stop. Il rientro è col botto – stavolta non letterale – del titolo europeo conquistato a Glasgow, dove riporta l’Italia sul gradino più alto del podio di una rassegna internazionale a 10 anni dall’oro iridato di Ballan, mentre la Vuelta lo vede uscire ridimensionato, anche per gerarchie interne, nel confronto con gli sprinter puri. Riesce però a rifarsi prima del gong di fine anno, prendendosi al Tour of Guangxi la prima soddisfazione con la maglia stellata. Quella che ora spera di far emergere sulle strade delle Classiche.

Tanguy Turgis (Vital Concept), 6,5: Buono l’impatto sulla categoria del più piccolo dei fratelli della dinastia di ciclisti, costretto ad appendere la bici al chiodo ad appena 20 anni per una malformazione cardiaca. Si fa notare specialmente nelle corse in linea, risultando il più giovane dal dopoguerra a concludere la Parigi – Roubaix, e ricavando un inatteso 8° posto alla Handzame Classic e un 13° alla Volta Limburg Classic, prima di calare di rendimento e risultati dall’estate in poi, quando è chiamato soprattutto a lavorare in funzione dei compagni di squadra. Ad appena 20 anni era francamente difficile chiedergli di più. Spiace non sapere fin dove le sue qualità lo avrebbero condotto.

LETTERA U

Diego Ulissi (UAE Team Emirates), 5: Le primavere passano, le speranze di vederlo grande tra i grandi stanno tramontando definitivamente. Chiuso il 2017 con la zampata in una classica, in Canada, il 29enne livornese vive questa stagione in sordina. Impalpabile sulle Ardenne, buca l’atteso appuntamento del Giro d’Italia complici le non perfette condizioni fisiche che lo limitano lungo le tre settimane. Il bel successo in salita al Giro di Svizzera sembra il preludio a un riscatto che, per prestazioni e risultati, non si concretizza neppure nella seconda metà del calendario e gli costa l’esclusione dalla spedizione iridata nonostante il 7° posto a Montréal. Una delusione che prova a smaltire in Turchia, dove si ferma però sulla piazza d’onore a Selcuk.

Rigoberto Uran (EF-Drapac Cannondale), 4: Chiamato a svolgere un compito ingrato, quello di confermarsi dopo il 2° posto al Tour de France dello scorso anno, non ci riesce e finisce in castigo. Illude a febbraio aggiudicandosi subito una tappa “in casa” alla Colombia Oro y Paz e si attesta su livelli accettabili anche alla Tirreno-Adriatico (10°), ma esce male dai Paesi Baschi e, dopo due mesi di stop e nonostante un acuto al Giro di Slovenia, al via della Grande Boucle non dà l’impressione di poter combinare granché. A rimuovere ogni dubbio ci pensa però la caduta procedendo verso Roubaix, che lo costringe a ritirarsi due giorni dopo e a ripiegare sulla Vuelta. Neppure in Spagna è mai al livello dei migliori e chiude con un settimo posto corredato da un paio di discreti piazzamenti negli ultimi due arrivi in quota. Avrebbe a questo punto le carte in regola per ben figurare al Mondiale, ma ad Innsbruck si allinea al rendimento scadente dei connazionali e non va oltre il 33° finale. Completa infine la collezione del “vorrei, ma non posso” in Italia, dovendosi accontentare della piazza d’onore al Giro dell’Emilia, sbagliando clamorosamente il finale alle Tre Valli Varesine e chiudendo ai piedi del podio a Il Lombardia. Ne avrebbe ancora per rifarsi al Tour of Guangxi, ma non ci riesce neppure lì.

LETTERA V

Michael Valgren (Astana), 7,5: Compie il definitivo salto di qualità in un’annata che gli permette di aggiudicarsi due classiche WorldTour. Se alla Omloop Het Nieuwsblad fa valere la superiorità numerica della squadra nelle fasi finali con una stoccata da finisseur, all’Amstel Gold Race è lesto nel battezzare la ruota giusta (quella di Kreuziger) e freddo nell’aggiudicarsi lo sprint a due, trovando quel gradino del podio che aveva solo accarezzato due anni prima. Centellina i giorni di grazia, ma lo fa nel modo giusto. Quarto al Giro delle Fiandre, rischia addirittura il colpaccio iridato, muovendosi in discesa dopo l’ultimo passaggio da Igls e venendo raggiunto solo ai piedi del muro di Gramartboden. Riesce comunque a non andare alla deriva e a chiudere settimo, a conferma di una caratura in fieri. Meno incisivo nelle corse a tappe, nelle quali risulta prezioso in appoggio ai compagni e poco brillante quando può fare corsa per sé.

Alejandro Valverde (Movistar), 9: Si laurea campione del Mondo, aggiunge da solo più del 50% delle vittorie di squadra, chiude con 14 successi all’attivo risultando il secondo plurivittorioso di stagione. Basterebbe (e avanzerebbe) questo per giudicare la stagione del murciano, se non fosse per la sottolineatura della carta d’identità: a 38 anni in pochi gli tengono ancora testa. A voler cercare i pochi punti deboli, non si guadagna la lode soltanto per il passaggio a vuoto sulle Ardenne (2° nella “sua Freccia, impalpabile alla Liegi) e per il crollo finale in una Vuelta in cui ha sfiorato la vittoria fino a 48 ore da Madrid. Ingiudicabile, invece, la performance in un Tour de France in cui viene sacrificato sull’altare dei più quotati compagni (Quintana e Landa), muovendosi spesso da lontano e senza profitto.

Wout Van Aert (Veranda’s Willems-Crelan), 8: Breve ma intenso. Si può definire così il primo vero passaggio su strada della giovane stella del ciclocross, finalizzata a partecipare alle classiche del Nord. Il rendimento è stato decisamente al di sopra delle aspettative, con il terzo posto alle Strade Bianche a fare da antipasto di una cavalcata che, tra Gand-Wevelgem, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix, gli è valsa due top ten e un tredicesimo posto e la conferma di poter essere protagonista sin da subito in appuntamenti del genere. A segno anche nelle corse a tappe (una frazione e classifica finale al Giro di Danimarca), ha rivelato capacità di leggere la corsa anche su tracciati privi di tratti a lui particolarmente congeniali, come dimostrato col terzo posto nella prova continentale di Glasgow, corsa da leader della nazionale belga.

Tom Van Asbroeck (EF-Drapac Cannondale), 5,5: Non certo una stagione memorabile per il 28enne fiammingo, a secco per il secondo anno consecutivo e mai al centro della scena negli 84 giorni di gara collezionati. Impalpabile nelle classiche, viene selezionato per prendere parte a due GT. Al Giro d’Italia è parzialmente utile alla causa di Modolo negli sprint, alla Vuelta ha più occasioni per mettersi in proprio ma riesce solo tre volte a centrare la top ten e non fa meglio di un ottavo posto. Poco o niente anche nel resto del calendario, vissuto sempre tra le seconde linee negli arrivi a ranghi compatti e al servizio dei capitani di turno.

Greg Van Avermaet (BMC Racing Team), 5,5: Un netto passo indietro dopo il dominio perpetrato un anno fa. Chiude con all’attivo due successi minori (tappa del Tour of Oman e generale del Tour de Yorkshire) e con un passaggio a vuoto nelle Classiche che stride con quanto fatto nel 2017. In realtà non gli manca la continuità nei piazzamenti (3° ad Harelbeke, 5° al Fiandre e 4° alla Roubaix) ma nel complesso non fornisce mai la sensazione di poter lottare per il risultato pieno. Vive il periodo migliore al Tour de France, dove riesce a indossare per diversi giorni la Maglia Gialla sfiorando il colpo grosso a Roubaix e correndo all’attacco (verso Le Grand Bornand) per difendere il più a lungo possibile le insegne del primato. Uscito in buona condizione dalla Grande Boucle, inanella altri piazzamenti interessanti nelle classiche (4° a San Sebastian, secondo e terzo in Canada) senza però dare l’attesa zampata.

Mathieu Van Der Poel (Corendon-Circus), 7: Poche ma decisamente buone le apparizioni su strada del campione continentale di Ciclocross, che conferma qualità interessanti vincendo sei corse in appena 13 giorni di gara. L’affermazione più pesante è il titolo nazionale in linea neerlandese, che fa il paio con le doppietta alla Boucles de la Mayenne (tappa e classifica) e all’Arctic Race of Norway e viene sublimata dal timbro sulla Ronde van Limburg. Dotato di uno spunto veloce notevole e di una buona tenuta sul passo, ha come unico rammarico il titolo continentale sfumato in volata al cospetto di Trentin.

Tejay Van Garderen (BMC Racing Team), 5: Prosegue il percorso involutivo dell’ormai irrealizzata speranza statunitense per le corse a tappe. Tagliato il traguardo delle 30 primavere, chiude l’anno con la vittoria nella cronometro del Giro di California e quella nel prologo del Tour of Utah. Decisamente troppo poco, se abbinata all’inconsistenza in tutte le prove World Tour disputate in Europa, ivi compreso un Tour de France in cui, nonostante il ritiro del capitano designato Porte, non va oltre il 32° posto senza mai lottare per un successo di tappa.

Danny Van Poppel (LottoNL-Jumbo), 6,5: Stagione in linea con quelle precedenti per il velocista neerlandese in attesa di consacrare quel talento sul quale in tanti scommettono da anni. Si sblocca al primo tentativo, aggiudicandosi la tappa inaugurale della Vuelta Valenciana, ma poi fatica a confermarsi e al Giro, ad eccezione degli arrivi di Imola e Nervesa della Battaglia, non riesce mai ad inserirsi nella lotta tra Viviani e Bennett. Riscattatosi in Belgio alla Halle-Ingooigem, non gli va meglio alla Vuelta, dove analogamente coglie un secondo e un terzo posto confermandosi una spanna indietro rispetto ai migliori. Come gli era capitato con la Corsa Rosa, esce anche dalla Spagna con una buona condizione che riesce a valorizzare poco dopo, vincendo quasi per distacco la Binche-Chimay-Binche con una gran sparata negli ultimi 700 metri.

Stijn Vandenbergh (Ag2R La Mondiale), 5: Dopo la prima, funestata da una terribile caduta alla 4 Giorni di Dunkerque, anche la seconda stagione nelle file della formazione transalpina scorre via senza sussulti e con un feeling che tarda a sbocciare inducendo riflessioni profonde. L’ex Quick-Step è infatti lontano parente del corridore che fu, soprattutto negli appuntamenti che maggiormente lo esaltavano. Anonimo nelle classiche del Nord, non ottiene nessun piazzamento neppure nelle corse a tappe, ottenendo come migliore in 69 giorni di gara un modesto 10° posto al Tro-Bro Léon.

Jelle Vanendert (Lotto-Soudal), 6: Una settimana da Dio e poco più. La serie di fotocopie del 33enne belga giunge alla dodicesima edizione senza cambiare le sfumature. Brillante nella settimana delle Ardenne (torna sul podio della Freccia e giunge decimo e undicesimo ad Amstel e Liegi), si toglie la soddisfazione di vincere anche una tappa al Giro del Belgio e di sfiorare il successo nella classifica finale. Da lì in poi, come di consueto, combina ben poco vivendo nelle retrovie il Tour de France e riemergendo soltanto a fine stagione, quando si piazza quarto al GP de Wallonie.

Sep Vanmarcke (EF-Drapac Cannondale), 5,5: L’esperienza è il nome che diamo ai nostri errori. Alla soglia dei 30 anni il belga ne ha ormai accumulata fin troppa e quest’anno non può prendersela neppure con la malasorte per il passaggio a vuoto nelle classiche. Come sempre sono tanti i piazzamenti (3° alla Het Nieuwsblad, 7° ad Harelbeke, 3° alla Dwars door Vlaanderen, 13° alla Ronde e 6° a Roubaix), ma rispetto al solito manca la capacità di inserirsi con determinazione nella lotta per le vittorie, retaggio di una condizione non trascendentale con la quale si presenta agli appuntamenti cerchiati di rosso e di un’incapacità tattica nel discostarsi dal canovaccio prestabilito. Legittimo chiedergli anche qualcosa in più nelle corse a tappe dove, invece, raramente lo si vede protagonista.

Julien Vermote (Dimension Data), 6: Faticatore per antonomasia del gruppo, trasferisce le sue capacità dalla formazione di riferimento del gruppo (la Quick-Step Floors) a una di seconda fascia tra le World Tour, provando a modificare le mansioni. Negli 80 giorni di gara che colleziona è pressoché spesso al servizio dei compagni, ma riesce comunque a togliersi la soddisfazione di centrare due top ten alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e al GP d’Isbergues, cercando di correre all’attacco quando possibile. Probabilmente in un contesto in cui sia i velocisti (in primis Cavendish) che gli uomini da corse a tappe (Meintjes) sono venuti meno alle attese, era lecito attendersi qualche segnale in più.

Davide Villella (Astana), 6: Cambia maglia e dispone di meno spazi per sé rispetto al passato. Sia al Giro che alla Vuelta corre infatti al servizio di Lopez, che ripaga gli sforzi salendo sul podio in entrambe le occasioni, dovendo così rinunciare a quelle ambizioni personali che erano state valorizzate con la conquista della Maglia a Pois azzurri nella precedente edizione del GT spagnolo. Gregario importante in molte delle corse a tappe del calendario World Tour, va a segno al Tour of Almaty conquistando una frazione e la classifica finale.

Giovanni Visconti (Bahrain-Merida), 6: Tre vittorie (tutte ottenute al Giro d’Austria) e qualche occasione di troppo persa condiscono l’ultima stagione nel team bahreinita del siciliano. A riempire il bagaglio dei rimpianti spiccano il secondo posto nella tappa del Giro con arrivo a Santa Ninfa e quello nei campionati nazionali, dove perde inevitabilmente la volata con Viviani dopo non essere riuscito a capitalizzare la superiorità numerica derivante dalla presenza di Pozzovivo. Nella Corsa Rosa, per il resto, lo si vede poco, mentre non brilla particolarmente neppure nel calendario autunnale italiano, fatto salvo per i piazzamenti al Giro della Toscana (4°) e al Trofeo Matteotti (2°), conferme comunque di qualità sempre ben presenti. Tra le prestazioni migliori dell’anno spicca senza dubbio quella nelle Strade Bianche, condita dal quinto posto finale.

Elia Viviani (Quick-Step Floors), 9: Diciotto vittorie all’attivo, sette nei Grandi Giri e tante conferme nel primo anno con la nuova divisa. Plurivittorioso di stagione, il veronese di Isola della Scala conferma qualità indiscutibili nella prima stagione con la sua nuova squadra, per la prima volta a suo pieno servizio. Ripaga la possibilità di disporre di un treno tutto per sé monopolizzando gli arrivi allo sprint di Giro e Vuelta, confezionando però il capolavoro stagionale ai Campionati Nazionali e nel bis di Amburgo. Non manca, però, lo spazio per qualche rimpianto. Su tutti il secondo posto della Gand-Wevelgem, ma la sensazione è che anche ai Campionati Europei potesse combinare qualcosa in più.

Alexis Vuillermoz (Ag2R La Mondiale), 5,5: Abituato a vincere poco ma bene, il 30enne transalpino incappa in una stagione no che chiude senza successi all’attivo. Dopo un discreto avvio, col secondo posto di tappa e in classifica al Tour du Haut Var e l’ottavo nella generale della Parigi-Nizza, sparisce poco a poco dai radar per riapparirvi in un Tour de France che lo respinge costringendolo al ritiro dopo soli nove giorni. Neppure tra agosto e settembre riesce a trovare la sua redenzione, con il quinto posto alla Coppa Sabatini come miglior risultato e un diffuso senso di incompiutezza a incorniciare l’intero percorso.

LETTERA W

Jelle Wallays (Lotto Soudal), 6,5: Sfrutta nel migliore dei modi la sua grande occasione alla Vuelta a España, trovando la fuga vincente e concretizzandola in volata contro Bystrom. Basta questo a rendere la sua stagione più che positiva, nonostante una campagna delle classiche poco esaltante. Il quattordicesimo posto alla Roubaix ne conferma le potenzialità, non sempre espresse. Quando ha l’occasione di mettersi in proprio riesce a farsi valere, come dimostrato anche nella vittoria di tappa al San Juan. La sua speranza è che in futuro capisca di poter essere più di un semplice gregario, almeno in determinate circostanze.

Max Walscheid (Team Sunweb), 6,5: Alterna grandi prestazioni a periodi in cui scompare completamente, come alla Vuelta a España, in cui avrebbe potuto mettersi in mostra. Nel complesso comunque le vittorie alla Sparkassen Munsterland e in una tappa del Tour of Yorkshire ne certificano il miglioramento di rendimento, con la prospettiva di un ulteriore salto di qualità in futuro. Già l’anno prossimo sarà decisivo per la sua carriera, con l’ultimo anno di contratto con la squadra attuale.

Tim Wellens (Lotto Soudal), 7,5: Altra stagione di grande spessore per il belga, che conquista la sua seconda tappa al Giro d’Italia a Caltagirone con uno sprint prorompente. Oltre a conquistare qualche classica qua e là, tra cui spicca la Freccia del Brabante, dimostra la sua crescita nelle corse da una settimana, chiudendo quinto la Parigi Nizza (vincendo la classifica a punti) e terzo il BinckBank Tour, poco dopo aver conquistato il Tour de Wallonie. Sulle Ardenne gli manca la zampata decisiva, ma porta a casa due top ten che ne confermano il valore. Il quinto posto a Il Lombardia lo proietta tra gli uomini da tenere d’occhio anche nella classica delle foglie morte. Sempre all’attacco, tra i migliori negli sprint in salita, va forte un po’ su ogni terreno. Per diventare davvero un grandissimo, dovrà sceglierne uno in cui andare fortissimo, e concentrarsi di più su quello.

Lukasz Wisniowski (Team Sky), 6,5: Inizia con un sorprendente secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad, dove coglie l’attimo per anticipare il gruppo ma non riesce a riprendere Valgren. Un guizzo che sembra preludere a una buona stagione nelle classiche, dove tuttavia viene relegato al ruolo di gregario, che svolge con dedizione ma per capitani a cui manca il colpo grosso. Per il resto si conferma un buon gregario, passista prezioso per i capitani. Alla CCC vedremo probabilmente il suo reale valore, con maggiori spazi per esprimersi.

Michael Woods (EF-Drapac), 7,5: Riscatta due mesi anonimi con un a quel punto sorprendente secondo posto alla Liegi – Bastogne – Liegi, in cui coglie l’attimo giusto con Bardet e beffa il francese per la piazza d’onore. Sfiora il colpaccio anche al Giro d’Italia, con il secondo posto a Caltagirone a cui seguono tre settimane generose, ma povere di soddisfazioni. Dopo un’estate difficile, anche a causa di gravi motivi familiari, torna protagonista con una meravigliosa vittoria di tappa alla Vuelta a España, inserendosi nella fuga giusta e mostrando le sue qualità su una salita durissima. La ciliegina sulla torta è il meraviglioso bronzo a Innsbruck, dove perde una volata alla sua portata a causa dei crampi ma si porta a casa una soddisfazione immensa, per lui e per il Canada. Dal 2019 dovrà essere marcato anche nelle classiche più dure.

LETTERA Y

Adam Yates (Mitchelton-Scott), 6,5: Nonostante un infortunio ad aprile, nella prima parte della stagione sembra sempre uno dei corridori più brillanti in gruppo. Vince una tappa alla Tirreno – Adriatico e una al Giro del Delfinato, dove chiude secondo. Al Tour de France si spegne la luce: esce rapidamente di classifica e non riesce a riscattarsi, gettando sull’asfalto della discesa verso Bagnères-de-Luchon l’opportunità di conquistare almeno una vittoria di tappa. Alla Vuelta abbandona presto le ambizioni personali per mettersi a servizio del fratello, risultando un appoggio molto importante e mostrando un’umiltà non scontata per un corridore con le sue caratteristiche. D’accordo, ha fallito l’appuntamento più importante, ma la sua stagione può comunque essere considerata buona in virtù di quanto fatto nelle corse da una settimana. Dal 2019 le aspettative saranno ancora più alte, per dimostrare di non essere solo una promessa mai pienamente mantenuta.

Simon Yates (Mitchelton-Scott), 8,5: Protagonista assoluto praticamente ogni volta in cui si attacca un numero sulla schiena. Al Giro d’Italia fa vedere i sorci verdi a due campioni come Tom Dumoulin e Chris Froome, salvo poi pagare le fatiche nelle ultime due tappe di montagne. Il suo bottino parla comunque di tre successi di giornata, più l’ “assist” a Esteban Chaves sull’Etna e parecchi giorni in maglia rosa. Dopo la cocente delusione, torna al Giro di Polonia con un secondo posto nella generale e una vittoria di tappa, confermando di essere tra i favoriti della Vuelta. In Spagna si dimostra il migliore in salita, battagliando ad armi pari con Valverde e Quintana nelle prime due settimane per poi staccarli tra cronometro e montagne degli ultimi giorni. Il suo primo sigillo in un Grand Tour lo proietta tra i grandi, inserendolo tra gli uomini da tenere d’occhio nella prossima stagione. Anche per le corse da una settimana, come testimoniano il secondo posto alla Parigi Nizza e il quarto alla Volta Ciclistica a Catalunya, entrambi impreziositi da una vittoria di tappa.

LETTERA Z

Rick Zabel (Katusha-Alpecin), 5,5: Partecipa anche lui all’annata amara della squadra, pur con meno colpe. Da apripista di Kittel, non riesce a guidare il connazionale al successo al Tour de France, grande obiettivo della stagione, finendo fuori tempo massimo insieme a lui. Sfrutta male le poche occasioni che ha di mettersi in proprio, sembrando quasi rassegnato al ruolo di gregario. Con il ritorno del padre nello staff, dovrà essere uno dei corridori a dare un segnale di rinascita.

Ilnur Zakarin (Katusha-Alpecin), 5: Una delle grosse delusioni di questa stagione, pur con la sua consueta generosità e tenacia. Inizia finendo lontano dalle posizioni migliori nelle corse da una settimana, poi al Tour de France esce presto di classifica, anche rallentato dalla sua ormai proverbiale sfortuna. Come sempre non si perde d’animo, gettandosi spesso in fuga e riuscendo a rientrare nella top ten della generale, fallendo però l’obiettivo della vittoria di tappa anche in giornate alla sua portata. Alla Vuelta rinuncia subito a stare con i migliori, ma ancora una volta gli mancano la freschezza e la condizione per ottenere un successo di tappa. Non andare oltre al quinto posto in fuga, per uno come lui, è un’anomalia preoccupante. Chiude mestamente senza riuscire a piazzarsi al mondiale e nelle classiche, con la speranza che il 2018 sia stato solo una battuta d’arresto.

Edoardo Zardini (Wilier-Selle Italia), 5,5: Stagione al di sotto delle aspettative per il classe ’89, che non riesce a mettersi in mostra nelle occasioni che gli vengono concesse. A sua discolpa va riconosciuto che non è stato particolarmente fortunato in alcuni momenti decisivi: al Giro d’Italia è costretto a ritirarsi anzitempo, prima che arrivino le giornate adatte ai fuggitivi e a corridori con le sue caratteristiche.Prova a riscattarsi nelle classiche di fine stagione, ma da agosto a ottobre non riesce mai a lasciare il segno. Il 2019 rischia di essere la sua ultima chance per sognare il passaggio in una World Tour.

2 Commenti

    1. Sicuramente avrebbe potuto esserci. Purtroppo, abbiamo analizzato oltre trecento nomi, qualcuno è rimasto poi fuori dalla pubblicazione, per questioni di tempi e spazi.

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