Doping, Riccardo Riccò a Lello Ferrara: “Fare ricorso non mi interessa, la seconda occasione nella vita me la sono già presa”

Riccardo Riccò torna a parlare. Dopo la notizia della squalifica a vita arrivata dalla Nado, il secondo classificato al Giro 2008 ha parlato in una diretta Instagram condotta dall’ex corridore Lello Ferrara. Il 37enne, che intanto ha cambiato vita e ha aperto una gelateria a Tenerife, ha detto di non essere particolarmente toccato dalla squalifica e che non è interessato a fare un ricorso, perché non è cambiato nulla rispetto a quello che era già noto e che l’aveva portato già a una squalifica di due anni tra il 2008 e il 2010 e un’altra di 12 anni nel 2012, che aveva di fatto chiuso la sua carriera.

“Ormai da anni sono fuori dal ciclismo, mi dà fastidio che torna fuori sul giornale ma non è cambiato nulla di ciò che già sapevamo – ha spiegato –  Sicuramente ho già detto dei miei errori, che ho sbagliato e sto pagando. Si potrebbe anche fare un ricorso, ma non mi interessa più di tanto“.

Il classe ’83 ha poi spiegato le difficoltà che comporta la vita da ciclista, soprattutto agli inizi della carriera: “Il ciclismo è uno sport di merda. È duro perché devi dedicare tutta la tua giornata a quella vita, non è un lavoro che dura dieci ore, ad esempio, ma è 24/24 ore che devi starci attento. Se devi fare il corridore o lo fai o non lo fai, non perché uno debba abbandonare la scuola, ma l’indeciso a venti anni non puoi più farlo. O vai forte, oppure poi smetti”

Il Cobra, poi, ha raccontato in maniera particolarmente lucida i momenti in cui è stata scoperta la sua prima positivà: “Avevo 23/24 anni.. Già era venuta fuori la sera la voce che potevano trovare la sostanza nuova e con Piepoli cominciavamo a farcela sotto. Il giorno dopo, la mattina sale il medico del Tour con la lettera in cui si diceva che ero risultato non negativo ad un controllo. Il massaggiatore mi ha portato nella caserma, poi non sono mai stato ammanettato. Mi han fatto vestire, sono stati abbastanza tranquilli devo dire. Hanno iniziato ad interrogarmi, ma io non capivo niente perché era in francese. Lì ti dici che vuoi solo andare a casa… a 23 anni, ero un bambino, da solo come un cane… Mi hanno fatto fare una chiamata e ho chiamato la mia ex compagna perché venisse a prendermi. Ho passato una notte in prigione nella cella che hanno in caserma, brutta e molto sporca, poi il giorno dopo mi hanno rilasciato dopo un processo per direttissima”.

L’ex corridore nativo di Sassuolo, però, ha rivendicato anche le vittorie pulite della sua carriera: “Io ho vinto senza doping. L’anno che ho fatto il Giro, che sono arrivato quinto, nel 2007, quando ho vinto le Tre Cime di Lavaredo. Io mi sono preparato un po’ prima, ma non ho toccato una medicina durante il Giro. Avevo dei valori allucinanti, ero morto. Non dico che non ho fatto niente, perché prima mi ero preparato, ma durante il Giro non ho toccato niente quando c’era gente invece che si curava anche durante il Giro e la differenza la fa. Quell’anno lì non facevo niente, nonostante questo ho vinto alle Tre Cime di Lavaredo, che era la 15ª tappa. Ho fatto quinto in classifica, ho vinto anche corse come la Coppi e Bartali e in Argentina senza far niente, ma corse minori. Corse di alto livello in quegli anni era quasi impossibile se non ti preparavi”.

Anche se ora, per sua stessa ammissione, non segue più il ciclismo, Riccò nota comunque delle differenze rispetto alla sua epoca: “Da quello che vedo il ciclismo è cambiato, è migliorato molto. Ma c’è ancora da lavorare. C’è troppa ingiustizia e non sono tutti alla pari secondo me. C’è troppa differenza fra squadra e squadra. Secondo me ci sono squadre che sono agevolate e altre no. Vedo troppa differenza rispetto a quando c’ero io tra alcuni atleti ed altri. Adesso seguo molto poco il ciclismo, guardo solo se mi capita e c’è la corsa. Quel poco che vedo e sento, da chi mi dice, è questo”.

Non manca poi il rimbrotto del corridore di un’epoca passata ai giovani corridori contemporanei: “I giovani dilettanti italiani di oggi non hanno la voglia. Non hanno la mentalità che avevo io. Se mi paragono ad un dilettante di adesso, io ero molto più determinato, sapevo dove volevo arrivare. Non facevo le cose tanto per fare. Secondo me non sono stati indirizzati bene. Io fin da juniores sono stato indirizzato in un modo e mi davano la disciplina. Questi non hanno disciplina. Daniele Tortoli era uno che sapeva fare il direttore sportivo e sapeva fare gruppo in squadra e questa era la sua arma vincente”.

Infine, alla domanda su un’eventuale seconda possibilità, il corridore emiliano risponde secco: “Nella vita me la sono già presa la seconda possibilità”.

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