La Stimolazione Transcranica può essere considerata Doping Cerebrale?

Tra le novità più interessanti in campo scientifico applicato allo sport, la Stimolazione Transcranica ha iniziato a far molto parlare di sé in questi ultim mesi dell’anno. Gli studi pubblicati da ricercatori delle università di Kent, Boston e Barcellona hanno infatti aperto le porte a questa pratica, in particolare nel ciclismo, che era proprio al centro delle ricerche. Da tempo si valutava la possibilità di lavorare sul cervello per aiutare il corpo a sostenere grandi carichi di lavoro, con alcuni test effettuati già lo scorso inverno da Andrew Talansky, ma con questa ricerca pubblicata lo scorso ottobre si è fatto un passo avanti.

Come funziona la Stimolazione Transcranica?

Alla difficoltà di spiegare nel dettaglio una procedura molto complessa, risponde Marcora, che propone una dettagliata, ma piuttosto comprensibile anche ai non addetti ai lavori, spiegazione di come questa pratica agisca sul cervello e, conseguentemente sul corpo. “A livello biologico – spiega al Fatto Quotidiano – la percezione dello sforzo deriva dall’intensità dei segnali mandati da due regioni cerebrali, l’area motoria supplementare e il cingolato anteriore, alla corteccia motoria primaria. Quindi, aumentando l’eccitabilità della corteccia motoria, si ottiene lo stesso risultato con minore sensazione di sforzo, e quando la percezione dello sforzo è più bassa è possibile mantenere una data potenza-velocità più a lungo. Nel nostro esperimento – sottolinea lo studioso – abbiamo dimostrato proprio che la stimolazione transcranica extra cefalica, cioè attraverso elettrodi collegati alla corteccia motoria e alla spalla, aumenta l’eccitabilità della corteccia motoria primaria, riduce la percezione dello sforzo e aumenta il tempo in cui un individuo riesce a mantenere una data potenza-velocità. Chiaramente, questo effetto potrebbe essere molto utile per atleti che fanno sport di resistenza, o sport di squadra in cui la resistenza è importante, come il ciclismo. Non stiamo parlando di effetto placebo – commenta Marcora -, ma di effetti reali che sul campo si sommano all’effetto placebo, rendendo il risultato totale ancora più marcato di quello che abbiamo descritto nello studio. È importante, però, sottolineare che altri tipi di stimolazione che abbiamo provato finora, ad esempio su due aree del cranio anziché su cranio e spalla, non funzionano. Inoltre, non è detto che gli apparecchi venduti agli atleti ottengano lo stesso risultato”.

La Bahrain – Merida ne ha visto il potenziale

Tanto che la Bahrain – Merida ha deciso di associarsi con l’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino per utilizzare questa “innovativa tecnica che consente di stimolare diverse aree cerebrali, efficace, indolore e senza effetti collaterali, in grado di potenziare e/o perfezionare le prestazioni atletiche degli sportivi”. Una partnership nel pieno rispetto delle regole vigenti in tema di antidoping, che tuttavia potrebbero in futuro cambiare, anche se sarebbe un errore vederla in questo modo secondo quanto sostiene Samuele Marcora, scienziato della Università di Kent che ha lavorato al progetto e alla sperimentazione.

La prima volta che avevamo sentito parlare di questo argomento, la formazione di Vincenzo Nibali non aveva ancora annunciato la sua partnership. Era la fine di ottobre e alcuni siti specializzati parlavano della possibilità che questo potesse essere considerato Doping Cerebrale. Una posizione radicale, più sensazionalistica che dovuta a considerazioni di carattere scientifico, con valutazioni concrete ancora difficili da apportare vista la novità della procedura. In attesa di avere qualcosa di più concreto di cui poter scrivere, mettemmo da parte il materiale, consapevoli che prima o poi ci sarebbe servito. Con l’arrivo ufficiale di questa ricerca anche nel mondo del professionismo, è giusto dunque porsi alcuni interrogativi, che sembrano tuttavia poter essere spazzati via dallo scienziato italiano.

 

Ma cosa ne pensa l’Agenzia Mondiale Antidoping?

“Quello del doping cerebrale è un discorso etico – sottolinea Marcora per Il Fatto Quotidiano – Se l’effetto positivo sulla prestazione verrà confermato da ulteriori studi e se gli atleti inizieranno ad usarla, l’Agenzia Mondiale Antidoping potrebbe considerare l’inclusione della stimolazione transcranica nella lista dei metodi dopanti“. Una visione che sostanzialmente il ricercatore considera abbastanza miope, non solo perché “sviluppare un test antidoping sarebbe molto difficile“. Ma anche perché si tratta di un campo in cui ci sono altre pratiche che a quel punto bisognerebbe esaminare.

“Inoltre, ci sono sostanze come la caffeina che, malgrado il loro effetto dopante sul cervello, sono tuttavia permesse – chiarisce Marcora – Secondo me, se si decidesse di proibire la stimolazione transcranica, allora si dovrebbe proibire anche la caffeina. Sarebbero entrambi casi di brain doping, cioè di metodi che aumentano la prestazione agendo sul cervello”.

Non se ne conoscono gli effetti a lungo termine…

Attenzione tuttavia ad un punto molto importante. Quali possono essere le controndicazioni e gli eventuali effetti indesiderati, soprattutto a lungo termine?. Una risposta abbastanza difficile. Questi impulsi sono stati considerati innocui dalla Halo Neuroscience, che produce caschi di stimolazione elettrica transcranica, ma il risultato arriva in seguito ad una analisi interna basata su esperimenti realizzati tra il 2013 e il 2015. Un triennio in cui tuttavia la sperimentazione non è stata continuativa, per cui non conosciamo concretamente gli effetti di una esposizione costante e regolare alla stimolazione transcranica.

Un concetto che ribadisce anche Marcora, secondo il quale “per applicazioni sporadiche non ci sono problemi, ma nessuno conosce bene gli effetti di applicazioni frequenti e a lungo termine“. Di conseguenza, mettendosi nei panni di un atleta, il ricercatore userebbe “la stimolazione transcranica prima di una gara importante, ma non durante tutti gli allenamenti”. Ed è forse più che altro per queste considerazioni che l’AMA, che si occupa anche della salute dei corridori, dovrebbe fare ricerche per capirne realmente il potenziale, non tanto ipoteticamente dopante, quanto piuttosto dannoso.

In un contesto medico, come quello che ha annunciato la Bahrain-Merida, seguita da un’equipe specializzata, non sembrano esserci pericoli riguardo una sovraesposizione. Ma cosa potrebbe succedere se qualche scriteriato, con l’intenzione di migliorare la propria prestazione a livello individuale, decidesse di procurarsi il materiale e fare da solo? Non dimentichiamo che nel passato non proprio remoto c’era qualcuno (ammesso e non concesso – sostanzialmente perché non provato – che non ci sia ancora) che si teneva prodotti e pratiche dopanti in casa, nel frigo o nel freezer, pronti a farne somministrazione o uso da solo… Con conseguenze che hanno portato a rischi enormi…

Una regolamentazione, che non significa necessariamente proibire, va indubbiamente trovata. Per la trasparenza dello sport, ma prima di tutto per la salute dei singoli.

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