Israel Start-Up Nation, Mike Woods: “Italiani e belgi non nascono più forti degli israeliani, le infrastrutture fanno la differenza. Nei prossimi anni voglio fare da mentore”

Mike Woods riflette sul futuro suo e del suo team. Il corridore della Israel Start-Up Nation ha dichiarato di vedersi nei prossimi anni sempre più nel ruolo di regista in squadra del suo team e di mentore per i giovani corridori che arrivano in squadra, un ruolo che ha già iniziato a ricoprire nelle ultime gare della stagione. Questo sembra essere al momento l’unico obiettivo per il prossimo anno del canadese, che sul 2022 ha semplicemente dichiarato che vorrà affrontare un anno meno stressante di questo, dove c’era tanta pressione per l’Olimpiade, e che non sarà al via dei Mondiali australiani.

“Di certo non mi vedo come un veterano, ma ora non mi sento un impostore – ha dichiarato ai microfoni di Cyclingnews – Sento di appartenere a questo sport, ma al di fuori dalla sfera ciclistica mi vedo come un veterano. Prima di passare nel WorldTour mi sentivo un veterano in termini di esperienza di vita, perché molti non erano andati all’università (lui ha frequentato quella del Michigan grazie a una borsa di studio da mezzofondista dell’atletica – ndr), non avevano avuto un vero lavoro e avevano visto spesso bloccare la loro crescita. Ma dal punto di vista delle gare, quando ho iniziato, non sapevo nulla e ora sto iniziando a capire lo sport molto meglio e per questo me lo sto godendo di più e per questo continuerò a migliorare nei prossimi anni”.

Anni in cui proverà a crescere di pari passo con il suo team, trasformandosi sempre più stesso in un regista in corsa e uomo di riferimento del team: “Era una cosa che volevo fare l’anno scorso e ancora di più quest’anno. Nei prossimi anni voglio essere sempre di più un leader. Per me è stato un onore al Lombardia e in altre classiche italiane quando Niki Sorensen mi ha chiesto di essere il leader, il capitano del team. È un ruolo che voglio fare. Mi piace fare da mentore […] spero di poter prendere dei compagni sotto la mia ala e motivarli e farli correre meglio”.

Tra questi potrebbero esserci i corridori israeliani, che continuano a crescere, nonostante le differenze di infrastrutture con altri paesi più legati al ciclismo, come il Belgio e l’Italia: “Penso che ora non siano più visto come la ‘quota israeliani’ ma come veri corridori professionisti. Itamar Einhorn ha battuto Sagan, Omer Goldstein è stato molto utile al Tour. Il più grande handicap del ciclismo a livello internazionale è proprio questo, che è talmente radicati in alcuni paesi che questi sono maggiormente rappresentati. Gli italiani e i belgi non sono migliori per natura, non nascono atleti migliori. Hanno le migliori infrastrutture. Quando i team sono più internazionali e hanno infrastrutture in altre nazioni è lì che queste nazioni migliorano. Lo si vede con il modo in cui il Canada (con l’ingresso nel WorldTour dello sponsor canadese PremierTech, che il prossimo anno dovrebbe affiancare proprio la Israel – ndr) ha risalito il ranking UCI […] e lo vedremo anche con il ciclismo israeliano, non potrà che migliorare grazie a queste infrastrutture”

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