EF Education First, il campione USA Alex Howes: “Spesso ci si dimentica che i corridori professionisti sono esseri umani”

Il 2019 di Alex Howes è stato per certi versi strano. Il 31enne statunitense ha affrontato le corse del massimo calendario (anche se non ha preso parte ad alcun Grande Giro), ma si è anche dedicato a più riprese alle corse “fuoristrada”. Nella sua stagione ci sono state infatti diverse partecipazioni ad appuntamenti gravel e mountain bike, cosa che però non gli ha impedito di vincere il titolo nazionale su strada. E per il 2020 il corridore di Denver sarà di nuovo in sella nel World Tour, sempre con la maglia della EF Education First, squadra che nella scorsa annata ha promosso una sorta di “calendario libero” per alcuni dei suoi portacolori.

“In tanti pensano, vedendomi sulla bicicletta da gravel, che io non voglia essere un professionista del ‘giro’ europeo – ha dichiarato in un’intervista a Cyclingnews –  ma non è vero che non sono un corridore professionista. Fare sterrato è divertente: potrei fare quello o potrei passare tre settimane al bar durante i periodi in cui non ci sono corse. Preferisco affrontare una gara di gravel, è di certo più salutare”.  Howes è un altro corridore che conferma la tendenza già mostrata da Peter Stetina, che ha lasciato la Trek-Segafredo per diventare un corridore di gravel a tempo pieno, e anche dalle “vacanze in sella” di Tim Wellens, Thomas De Gendt e Daniel Oss.

“Penso che per tante persone sia facile dimenticare che i corridori di squadre World Tour sono persone. Siamo umani anche noi – dice Howes – Passiamo un sacco di tempo sulle cime delle montagne, senza parlare con nessuno e mangiando riso. È dannatamente difficile, a volte, e hai bisogno di un po’ di distacco. All’inizio siamo tutti ragazzini che amano andare sulle loro biciclette e dentro, per la maggiore parte di noi, siamo ancora così. A un certo punto le persone possono iniziare a considerare il ciclismo un lavoro. Ed è una cosa spaventosa, se il tuo lavoro è andare a soffrire sulle montagne ogni giorno. Ci arrivi abbastanza in fretta: se non lo ami, è il peggior lavoro al mondo”.

Howes ha poi parlato dell’approccio, da alcuni considerato “scanzonato” della EF all’attività World Tour: “Noi non puntiamo necessariamente a battagliare per essere la squadra più vincente. Vogliamo semplicemente essere una formazione in cui le persone possono credere in quello che facciamo e nei risultati che otteniamo. Ci potrebbero essere modi migliori per dirlo, ma noi vogliamo essere la squadra per cui tifare. Vogliamo essere amati – il pensiero del corridore di Denver – E ancora oggi ci fanno il discorso del ‘se uno porta prodotti dopanti nella sua camera, siete tutti licenziati, che rimane comunque un bel discorso da sentire”.

Lo statunitense pensa anche al futuro. Dopo essersi tolto lo sfizio della maglia di campione a stelle e strisce, ora ci sono i Giochi Olimpici di Tokyo, anche se passare il taglio della selezione nazionale per le Olimpiadi, con sole due maglie a disposizione, sarà molto difficile. Howes finora ha vinto quattro corse, tutte su suolo americano: “Io voglio vincere almeno una volta in Europa. Lo voglio davvero. Magari, dopo che mi sarò ritirato, inizierò a fare Criterium in Belgio finché non ne vincerò uno. E poi andrò a casa”, scherza Howes, che anche nel 2020 potrà gestire il suo calendario agonistico in maniera alternativa.

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