Jumbo-Visma, Merijn Zeeman racconta la cultura del team tra trascinatori e necessità di adattarsi

Merijn Zeeman rivela altri dietro le quinte della sua Jumbo – Visma e della mentalità del team. Nel corso di una nuova puntata del podcast “Met Open Vizier”, lo stesso con cui aveva ricordato della contrarietà iniziale di Primoz Roglic al piano di lavorare per Sepp Kuss nelle ultime tappe della Vuelta a España, il tecnico della formazione neerlandese ha questa volta parlato delle difficoltà di ambientamento di alcuni corridori alla modalità dialettica della sua squadra, spesso molto diretta, nel bene e nel male, che ha creato alcuni problemi con alcune persone in alcuni momenti…

“Spesso mi chiedono se tengo conto delle differenze culturali tra le varie nazionalità – riflette – Per noi è importante essere diretti ma senza essere maleducati. Devo dire che Christophe Laporte ha detto più volte che siamo molto diretti, ma in realtà lo abbiamo anche fatto crescere in questo modo. Se vedi qualcosa che non ti sta bene o vuoi qualcosa di diverso, bisogna dirlo. Ed è questo che abbiamo fatto con lui”.

Il caso del corridore francese non è stato l’unico citando alcuni errori che ha fatto con persone di altre nazioni, oltre a raccontare un ulteriore episodio: “Ricordo anche una riunione di squadra in cui le cose sono state dette molto duramente, dando un feedback molto negativo – ricorda il direttore sportivo – Sepp Kuss, che è americano, e il neozelandese George Bennett ne furono davvero colpiti. In quel momento ho realizzato che non erano abituati a questo modo di fare. Ho dovuto prestare molta attenzione perché per loro era difficile”.

Nel corso della puntata Zeeman si è anche soffermato su quanto sia importante avere dei trascinatori in gruppo, uomini che si assumano la leadership aiutando ad innalzare il livello della squadra: “Se in squadra hai qualcuno con queste qualità, gente come Jonas Vingegaard e Wout Van Aert che può contare sulla propria forza e dire a tutti che quel giorno si fa la corsa, allora tutti gli vanno dietro. A quel punto si crea una situazione in squadra in cui non c’è spazio per la paura”.

Qualche anno fa la situazione in squadra era invece diversa: “Prima era qualcosa che succedeva in squadra. Mi ricordo il Tour 2018. Durante il meeting prima della cronosquadre c’erano alcuni ragazzi che dicevano che non dovevamo partire troppo forte, ma ci siamo ritrovati con oltre un minuto di ritardo al primo intermedio. E questo è successo perché c’erano alcuni che davvero parlavano troppo, avevano paura di essere distanziati o di andare in difficoltà e questo aveva minato il gruppo”.

Ad aiutare a cambiare la mentalità, nelle cronosquadre ma non solo, fu l’arrivo di Tony Martin l’anno successi. “Alla prima cronosquadre che facemmo disse: ‘Io detto il ritmo e nessuno è autorizzato ad andare più piano’ – ricorda ridendo – Da quel momento abbiamo vinto praticamente tutte le cronosquadre”.

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