#SpazioTalk, Diego Rosa: “Alla Eolo voglio tornare a divertirmi correndo. Con Basso e Contador idee comuni”

Diego Rosa è pronto per lanciarsi nella sua nuova avventura professionale. Il 32enne ha firmato un contratto con la Eolo-Kometa, squadra che gli permetterà di tornare ad avere più spazio per ambizioni personali, dopo le esperienze in Astana, Ineos e Arkea-Samsic, dove ha dovuto mettersi a servizio dei capitani. Il classe ’89 ha quindi scelto di approdare alla corte di Ivan Basso e Alberto Contador per ritrovare la possibilità di cercare risultati in prima persona. La redazione di SpazioCiclismo lo ha intervistato in vista dell’inizio di questa nuova stagione, la decima da professionista. Di seguito l’intervista completa, di cui un estratto è disponibile nella puntata di SpazioTalk di questa settimana.

Come valuti la tua esperienza nel 2021?
Non c’è molto da dire, ho corso davvero poco e sono rimasto poco tempo con la squadra. Una delle ultime gare è stata a Burgos, poi ho smesso di correre.

Come mai hai scelto la Eolo-Kometa per proseguire la tua carriera?
Appena è arrivata nel ProTour, è una squadra che si è fatta subito riconoscere come una formazione in cui si vogliono far bene le cose. È un ambiente tranquillo, sereno, proprio quello che stavo cercando io. Ed è una squadra italiana. Questo facilita un po’ tutto. Poi ho parlato un attimo con Ivan e Alberto, le idee erano comuni. Trovare un accordo è stato semplice.

Che aspettative hai per questa nuova esperienza e che ruolo avrai?
Non abbiamo parlato tanto di un ruolo. Come ho già detto in altre interviste, mi piacerebbe tornare a divertirmi correndo. Non correrò più con un grande leader come fatto negli ultimi anni: in Astana, Ineos e Arkea avevo sempre in squadra corridori da GT e lavoravo per loro. Quando puoi correre per te invece puoi interpretare la corsa come vuoi tu, avrò più spazio e avrò la possibilità di fare qualcosa a livello personale. Magari andare in fuga, fare come voglio io.

Ma questo vuol dire che hai perso un po’ il divertimento in bicicletta?
A un certo punto bisogna fare una scelta. Ho capito di non essere un vincente, che mi manca un po’ di cavalleria per essere un leader vero e proprio, e di conseguenza ho fatto un passo indietro e mi sono messo a servizio di chi va davvero forte. Passano gli anni e in gara ti trovi a fare quello che ti chiedono gli altri. Non senti più la gara come una corsa ma come svolgere il tuo lavoro. Di conseguenza puoi perdere motivazioni.

Chi ti segue però ha ancora negli occhi i bei piazzamenti ottenuti al Lombardia con la maglia dell’Astana. Sei stato secondo nel 2016, quinto nel 2015. Ti aspetti di poter competere ancora a quel livello in quelle corse, ora che potresti avere più libertà?
In Astana avevo trovato un ambiente perfetto. Si lavorava per i capitani, ma i capitani erano grandissimi amici. Di conseguenza ci divertivamo. C’era sempre un mix: ogni tanto avevi spazio tu, ogni tanto lavoravi per i capitani. Ho fatto classifica al Delfinato con Aru in squadra. Ti tenevano sempre un po’ sull’attenti, avevi qualche possibilità ogni tanto. Quando l’ambiente è giusto, si lavora bene e si ha voglia di fare, i risultati arrivano. Sono convinto che arriveranno anche in Eolo. Quali risultati e in quale competizione non lo so. Corse come il Lombardia sono al livello di un mondiale. Mi accontenterei intanto di essere competitivo nelle corse un pochino più piccole, poi si vedrà.

Hai già stabilito un calendario di massima per il 2022?
Avrei dovuto iniziare in Argentina, ma il San Juan è saltato. Una partenza coi fiocchi (ride, ndr). Ne stiamo parlando, probabilmente farò qualcosa a Maiorca, poi l’Andalucia, il Laigueglia e la Tirreno. Questa sarà la prima parte della mia stagione.

Il ciclismo italiano sta vivendo un periodo di transizione. C’è qualche consiglio che ti sentiresti di dare ai giovani? Tu sei stato lanciato dall’Androni, quindi da una delle squadre italiane storiche.
Il ciclismo è cambiato moltissimo da quando sono passato professionista io. Soprattutto per i giovani. Ho un fratello juniores. Mi ricordo che quando ero juniores io uscivo in mountain bike un giorno sì e un giorno no, lui invece si allena con il misuratore di potenza, gli allenatori di squadra… È completamente diverso. Ora i giovani passano nel professionismo che sono già pronti. Probabilmente anche il mio avvicinamento, molto con calma, prima con l’Androni e poi con i vari passaggi per crescere, ora non andrebbe bene. Sono passato professionista al secondo anno élite, ora è molto difficile passare professionista quando si è già élite. Ben vengano le squadre italiane, ma i giovani, se hanno possibilità di andare nel World Tour da giovani, devono andarci.

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