Davide Rebellin a tutto tondo: “Potrei continuare dopo gli Italiani. Altrimenti sarei a posto con me stesso”

Davide Rebellin tra passato, presente e futuro ai microfoni di SpazioCiclismo. In predicato di dare l’addio al professionismo ai Campionati Italiani, in programma domenica 30 giugno in Alta Val di Taro, il portacolori della Meridiana Kamen apre alla possibilità di continuare ancora per una stagione una lunghissima carriera, che ne fa ad oggi il corridore professionista più anziano in gruppo. Nella massima categoria sin dal 1992, il veneto di San Bonifacio compirà 48 anni il prossimo 9 agosto e non più tardi di due mesi fa – tornando a correre nella formazione di matrice croata – aveva indicato nell’appuntamento tricolore quello in cui uscire di scena. Una notizia che oggi, a tre giorni dalla gara che mette in palio l’ambita maglia conquistata un anno fa da Elia Viviani, è lui stesso a mettere in discussione.

Se invece il progetto di cui ci ha parlato non dovesse giungere all’attesa fumata bianca, lascerebbe con un palmares invidiabile e con una firma indelebile incisa sulla storia del ciclismo. Primo corridore a ottenere la tripletta sulle Ardenne, conquistando in sette giorni Amstel Gold Race, Freccia Vallone (in seguito vinta altre due volte) e Liegi-Bastogne-Liegi, si è preso in carriera anche una Tirreno-Adriatico, una Parigi-Nizza, una Classica di San Sébastian e tante classiche italiane, oltre ad aver vinto una tappa al Giro d’Italia sul Monte Sirino (1996) vestendo la Maglia Rosa nelle sei frazioni successive. Medaglia d’argento olimpica a Pechino nel 2008, in seguito ha visto perdere quel risultato per una positività riscontrata all’Epo Cera, ma una sentenza del Tribunale di Padova del 2015 lo ha assolto per insussistenza del fatto. Con un canto del cigno ancora da definire, Rebellin si racconta a 360° parlando anche della possibilità di vedersi restituita quella medaglia. Ma partiamo del futuro prossimo.

Nelle ultime ore si sono rincorse voci sulla possibilità che tu possa proseguire ancora per una stagione
Sì, ho ricevuto una proposta da un team per il prossimo anno, ma bisogna capire se si farà o no. Ho tenuto ancora una porta aperta e non ho comunicato ufficialmente che gli Italiani saranno la mia ultima corsa, proprio perché potrei continuare. La voglia di farlo c’è, vediamo se si tratterà di un progetto valido.

Parliamo quindi di un progetto nuovo e non di una squadra già esistente?
Sì, è un progetto che sta nascendo e che dovrebbe trovare conferma in questi giorni, al più tardi prima dell’inizio del Tour de France.

In Italia o all’estero?
All’estero, si parla di una Professional.

Quale ruolo andresti a rivestire?
L’idea è quella che sia nel team come corridore e fungendo da direttore sportivo in gara. L’obiettivo è quello di aiutare i giovane e portare un po’ di quello che è il bagaglio di esperienza accumulato in questi anni. È una cosa che mi piace, se si realizza è interessante perché mi permetterebbe di correre e rimanere nel team.

Se il progetto non dovesse concretizzarsi, il tuo contratto con la Meridiana verrebbe risolto il 30 giugno?
No, il contratto è valido fino al termine della stagione. Valuterei io se fermarmi o meno, ma se volessi continuare fino a fine stagione potrei farlo con la maglia della Meridiana.

Domenica si corrono i Campionati Italiani. Indipendentemente dagli sviluppi che prenderà la tua carriera, la sensazione che hai trasmesso al Giro di Slovenia è che non la vivrai come una passerella
Il percorso mi piace perché è selettivo e penso che verrà fuori una selezione naturale. Sarà una gara impegnativa, può andarmi bene. Ultimamente ho corso solo in Slovenia (ha chiuso al 20° posto in classifica generale nonostante una foratura e una caduta nella tappa regina, ndr), ma con buone sensazioni per preparare questo appuntamento.

Per uno sportivo di alto livello il momento dell’uscita di scena è sempre il più complicato: ti spaventa la consapevolezza di diventare un ex ciclista e quando avevi maturato la scelta di chiudere proprio con gli Italiani?
Non mi spaventa, anche se so che è un cambiamento perché finora ero abituato a gareggiare ed allenarmi per farlo. Penso che finché ho stimoli, voglia e mi sento bene fisicamente, sia un peccato dire basta. Quest’anno è stato un po’ particolare, ho fatto solo 2-3 gare a febbraio e mi sono ripresentato in corsa in Slovenia. Avevo maturato questa decisione di smettere con i Nazionali perché c’è visibilità e avrei corso tra i tifosi italiani. Volevo chiudere in un team che mi permettesse di prendere parte a gare importanti, a quelle che mi hanno dato tanto in passato.

La sensazione che trasmetti nelle ultime dichiarazioni pubbliche è quella di una grande serenità. Ti congedi davvero senza sassolini nelle scarpe?
Sì, sono sicuramente una persona serena. Nessuno mi costringe a correre, è una mia scelta e mi diverte ancora. Mi fa star bene e mi realizza ancora. Sono spinto ad andare avanti, non per paura di smettere o cambiare vita. Anche se smetterò sarò sempre in bici, anche se con altre attività. Come ho detto prima, mi piaceva l’idea di smettere avendo visibilità. Se dovesse realizzarsi questo progetto, potrei farlo in gare più importanti. La mia idea è sempre stata quella di chiudere la carriera in qualche appuntamento che mi ha consacrato.

Negli ultimi anni hai avuto modo di muoverti in gara come se fossi una sorta di direttore sportivo aggiunto: è un ruolo che ti piacerebbe ricoprire una volta appesa la bici al chiodo?
Non mi vedo portato per essere il classico direttore sportivo in ammiraglia, almeno per ora. Però essere lì e dare consigli o prendere decisioni, trasmettendo un po’ della mia esperienza, potrebbe essere un vantaggio per il team. Mi vedo più con un ruolo simile, aiutando magari la squadra nella compilazione dei programmi di allenamento per portare il corridore nella miglior forma nel periodo giusto.

Nel frattempo te la sei cavata come attore nel docufilm “Il vecchio saggio”: che esperienza è stata?
Interessante, è stato un documentario che ha privilegiato il lato umano a quello sportivo. Ha trasmesso il mio spirito di vita per questo sport, il modo in cui vivo io il ciclismo: dalla mia quotidianità, all’alimentazione a tutto ciò che serve per poter gareggiare ed essere ancora lì in gruppo. Non si parla di gare o vittorie, ma più che altro di ciò che è la mia personalità.

Cosa ti lasciano questi 27 anni di professionismo? Cosa ti ha insegnato il mestiere e cosa pensi di lasciargli in eredità
Mi ha insegnato tantissime cose, soprattutto a inseguire i propri sogni. Ho imparato a guardare sempre avanti dalle sconfitte e trarne spunto per farne qualcosa di costruttivo e trasformarle in vittoria. Guardo sempre il lato positivo delle cose: tutto avviene per il mio bene e per migliorarmi. Ho avuto tanti secondi e terzi posti in carriera, piazzamenti che mi hanno portato in seguito a vincere quelle stesse corse. Per quanto riguarda me, credo di aver trasmesso la passione e l’amore per questo sport. Il mio messaggio è che se si ama quello che si fa, e si prende tutto con piacere, si possono realizzare cose belle anche andando avanti con l’età. Oltre ai risultati, mi porterò via la passione, il divertimento e l’amore per questa disciplina.

È facile individuare nella tripletta sulle Ardenne del 2004 il momento più alto della tua carriera. Ce n’è un altro che custodisci con particolare gelosia nel tuo scrigno dei ricordi?
Ricordo sempre ben volentieri la tappa al Giro d’Italia che ho vinto e che mi ha permesso di indossare la Maglia Rosa. Ancora oggi è difficile descrivere l’emozione che regala quella maglia e cosa significhi portarla per 6 giorni. Inoltre è stato anche il primo risultato importante ottenuto da professionista e lo ricordo con gran piacere.

Il rimpianto più grande?
L’episodio di Pechino, con la medaglia che mi è stata tolta. Anche qui provo a individuare il lato positivo, ho avuto l’assoluzione ed è un fatto passato anche se ha segnato la mia carriera. Da lì in avanti ho trovato porte chiuse da parte della squadre e la mia carriera è stata segnata. Guardando il lato positivo, ho avuto l’assoluzione e sono tornato vincente, anche se con piccole squadre.

Dopo l’assoluzione del 2015, andare a “riprendersi” la medaglia di Pechino può diventare un obiettivo a breve/medio termine? Ritieni sia davvero percorribile o le spese per ricorrere contro il CIO ti fanno escludere l’ipotesi?
Più che altro le spese sono ingenti, perché bisogna ricorrere contro la Corte svizzera e il Comitato Olimpico. Ultimamente non ci ho più pensato, non so se ci siano i termini per presentare ricorso. Sarebbe bello se la medaglia tornasse in mio possesso, ma se così non fosse è comunque come se l’avessi.

Quanto e in che modo quella squalifica ti ha “allungato” la carriera? Quanto ha prevalso lo spirito di rivalsa?
Mi ha sicuramente allungato la carriera. Non tanto per voler dimostrare il mio valore, ma perché non avendo più corso in squadre World Tour, e con un calendario più esigente e stressante, ho continuato per più tempo. Il fatto di rincorrere una sistemazione e una squadra che mi permettesse di terminare in una bella gara e in quelle che amo, mi ha spinto a continuare anno per anno con l’idea di chiudere con una Freccia o una Liegi.

Hai attraversato quasi quattro generazioni: che ciclismo lasci?
La tecnologia ha portato grossi cambiamenti rispetto a quando ho iniziato: dai mezzi, alle bici, all’abbigliamento. Tutto è migliorato, le velocità sono aumentate e anche il livello degli atleti è più alto ed è livellato. Tutti hanno i loro preparatori atletici, dietologi, psicologi e tutti sono portati ad avere il meglio. Questi elementi contribuiscono ad aumentare il livello di tutto il gruppo, una cosa che magari c’era meno negli anni precedenti. Il modo di correre è molto differente, adesso c’è molto più controllo da parte delle squadre. Si è persa un po’ di fantasia, quegli attacchi di prima adesso non si fanno perché c’è una marcatura molto più stretta.

Come ti poni con l’esasperazione tecnologica e l’innovazione?
I freni a disco mi sembrano più una cosa commerciale, non vedo grossi benefici. Si frena meglio in alcuni momenti, ma ci sono anche degli svantaggi: il peso in più e la sicurezza. In caso di caduta diventano pericolosi, almeno fin quando non si troveranno degli accorgimenti. Per quanto riguarda l’utilizzo del cardio in gara, penso sia giusto averlo. Io mi alleno solo col frequenzimetro e non col misuratore di potenza, ma mi rendo conto che le nuove generazioni siano cresciute con questi strumenti e magari si trovino meglio ad averli anche durante le competizioni.

Il movimento italiano è un paziente in via di guarigione o c’è ancora molto da fare per raggiungere le altre nazioni?
Ci sono buoni atleti che stanno crescendo, forse non è come 10-15 anni fa quando eravamo dominatori. Da noi, però, c’è grande tradizione e penso che prima o poi altri talenti usciranno. Abbiamo esempi a cui guardare: la Francia era sotto di noi e adesso all’avanguardia, ma la vera differenza la fanno gli anglosassoni come britannici e australiani. La multidisciplinarietà può essere utile, perché forma l’atleta e può aiutare. Però non è detto che sia l’unica soluzione per avanzare, perché anche le nuove metodologie di allenamento possono contribuire.

Vedi già un nuovo Davide Rebellin in gruppo o all’orizzonte?
Non saprei fare un nome, almeno italiano. Se devo pensare a un connazionale che potrà far bene nelle classiche del futuro, il primo nome che mi viene in mente è quello di Gianni Moscon.

Tra i corridori di oggi chi apprezzi particolarmente?
Uno che apprezzo sempre tanto e che corre ancora è Alejandro Valverde, completo e protagonista in tutta la stagione. Lo ammiro davvero molto e tra di noi c’è sempre stata grande stima reciproca.

Proiettiamo lo sguardo in avanti: se all’indomani del tuo ritiro incontrassi un bambino in strada, come e perché gli consiglieresti di scegliere la professione che è stata tua per quasi 30 anni?
È bene che senta lui la passione, che si diverta, abbia entusiasmo e stimoli nel pedalare, senza che sia spinto da nessuno ad andare avanti. Deve sentirlo dentro e provare quelle emozioni e quella gioia che dà questo sport, che io continuerò a praticare anche quando non sarò più professionista.

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