Lance Armstrong: “L’EPO ha un ciclo vitale molto breve, ho giocato con il sistema per non risultare mai positivo”

Lance Armstrong racconta come ha fatto a non risultare mai positivo. Dopo essere intervenuto in queste settimane a favore di Jan Ullrich, raccontando anche il trattamento che lui, il tedesco e Marco Pantani hanno subito rispetto ad altri corridori dello stesso periodo a loro volta coinvolti in casi di doping, il texano questa volta interviene per svelare, a grandi linee, il motivo per cui non è mai risultato positivo all’EPO ad un controllo antidoping. Intervenuto nel podcast Club Random di Bill Maher, lo statunitense ha spiegato che questo è dovuto al ciclo vitale molto breve della sostanza, diversamente da quello cdi altre droghe o medicinali.

“Ho dovuto spesso fare pipì nella tazza, ma la mia urina ha sempre superato il test – ha spiegato l’ex vincitore di sette Tour de France – Questo perché la sostanza che ci ha dato i maggiori benefici aveva un’emivita di quattro ore”. La sostanza in question è ovviamente l’EPO, che migliora la produzione di globuli rossi. L’emivita, in ambito medico, indica la velocità con cui una certa sostanza viene scomposta nell’organismo e quindi non è più rintracciabile.

“Sostanze come la cannabis o gli steroidi hanno un’emivita molto più lunga – aggiunge l’ormai 52enne – Se si fuma uno spinello, il test risulta positivo anche due settimane dopo, perché l’emivita è molto più lunga. Ma l’EPO ha un’emivita di quattro ore. Ciò significa che lascia il corpo molto rapidamente. L’EPO è stato il carburante che ha cambiato non solo il ciclismo, ma ogni altro sport di resistenza”.

Nell’assunzione di sostanze, cocktail a base anche di testosterone e che prevedevano anche delle trasfusioni di sangue, Armstrong ha dunque calcolato questo tempo rispetto a quello in cui riteneva sarebbe stato controllato, facendo così in modo di non risultare mai positivo: “La chiave è fare i conti con quell’emivita di quattro ore. Si trattava di giocare con il sistema. L’ho sempre detto e lo ripeto: Sono stato testato 500 volte e non sono mai risultato positivo. Non è una bugia, è la verità”.

E questo anche dopo che nel 2001 il laboratorio di Chatenay-Malabry è riuscito a trovare un metodo di analisi più accurato che per la prima volta rendeva possibile trovare tracce di EPO (fino a quel momento infatti ci si basava sulla regola che prevedeva non superare il 50% di ematocrito).

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