Jan Ullrich e le distruttive sfide con sé stesso: “Un mistero come sia riuscito a sopravvivere, il passo successivo era la morte”

Continuano le rivelazioni di Jan Ullrich. Nel documentario in quattro parti uscito nei paesi germanici su Prime Video, l’ex corridore ha ammesso l’uso di doping ma anche gli eccessi e le numerose dipendenze di cui è rimasto vittima negli anni. Agli alti della prima parte della sua carriera, l’ormai 50enne tedesco ha fatto seguire numerosi bassi che non nasconde più. Al doping sono dunque seguiti problemi di alcol e droga che hanno caratterizzato parte della sua carriera, ma soprattutto della sua vita dopo il ciclismo. Gran parti iniziati dopo il 2006, quando è stato sostanzialmente buttato fuori dal mondo del ciclismo.

Un crollo vertiginoso che ha avuto il suo picco dieci anni più tardi, quando è stato anche abbandonato dalla sua famiglia. Rimasto solo a Maiorca ha aumentato le sue dipendenze, entrando in una spirale dalla quale ha faticato non poco ad uscire. “Una volta non ho bevuto nulla per nove mesi, ma poi ho bevuto un  bicchiere e dopo un po’ ho perso il controllo – racconta alla rivista Humo – Sono passato dal vino al whisky. Prima una bottiglia al giorno, poi due. Mi sono intorpidito di settimana in settimana”.

Il suo fisico in questo lo ha aiutato, rappresentando un limite e una salvezza: “Ero un atleta di alto livello e potevo sottoporre il mio corpo a sforzi estremi. Questo talento per la sofferenza mi ha reso un vincitore del Tour, ma purtroppo ha funzionato anche nell’altro senso. Potevo bere sempre più whisky, sniffare sempre più cocaina. Molte altre persone si sarebbero uccise, ma il mio corpo ha resistito. Mi sono inventato delle sfide da solo. Per esempio, una volta volevo stabilire un record mondiale: Ho fumato più di settecento sigarette in un giorno. Per me è un mistero come sia riuscito a resistere così a lungo […] Come corridore ero in grado di soffrire, ma dopo la mia carriera quella sofferenza è andata nella direzione sbagliata. Nel 2018 ero al mio punto più basso, era tutto ciò che una persona poteva sopportare fisicamente e mentalmente. Il passo successivo sarebbe stato la morte…”

Una crisi profonda iniziata nel 2006, con il coinvolgimento nella Operacion Puerto: “All’improvviso sono caduto dal mio piedistallo di candidato alla vittoria finale. Ero solo, mentre tutta la Germania mi stava puntando il dito contro. Da cavallo di razza sono diventato improvvisamente un cavallo da fattoria. È stato molto difficile. In realtà, sento quel dolore ancora adesso”.

Con gli anni ovviamente sa dove sono le colpe e le responsabilità, dalle quali non rifugge e che solo con il tempo ha imparato ad accettare. “I miei problemi sono stati creati dai miei stessi errori e dalla mia debolezza – ammette –  Ero in cima, sono caduto in basso e ora sto cercando di rimanere nel mezzo. La felicità è anche nelle piccole cose”.

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