Bora-Hansgrohe, Peter Sagan: “Comincio a vedere la fine della mia carriera, ma per me è una motivazione”

Peter Sagan non ha paura dell’avvicinarsi della fine della sua carriera. Dieci anni fa lo slovacco della Bora-Hansgrohe iniziava la sua carriera tra i professionisti e al termine della decade si trova con, tra le altre cose, tre titoli mondiali e sette maglie verdi al Tour de France nel palmarès. Alla soglia dei trent’anni, il classe ’90, però, comincia ormai a intravedere la fine della sua carriera, una situazione che però, come lui stesso a rivelato ai microfoni di Cyclingnews, è più una motivazione che non un motivo di preoccupazione, nonostante questi dieci anni siano passati molto in fretta.

“Sono passati in un attimo – ha dichiarato – Ci sono alcuni anni in cui non mi ricordo nemmeno più cosa è accaduto tanto che sono passati in fretta. Sei anni fa ero più preoccupato, ora vedo la fine, non penso di poter fino a 40 anni con il mio stile. Non mi restano molti anni. Ma mi motiva più che spaventarmi, perché realizzi che presto sarà tutto finito e puoi godertelo”.

Nel proseguire dell’intervista, poi, Sagan ha rivelato cosa potrebbe portarlo a chiudere la carriera: “La cosa importante è essere al top della condizione. Se riuscirò a farlo, allora avrò sempre le motivazioni per andare in bici. Ma se con il tempo dovessi rendermi conto che non sto andando più, quello sarà il momento di ritirarmi”.

Infine, prima di passare al programma del suo 2020, in cui prenderà parte al Giro d’Italia e alla prova di mountain bike di Tokyo 2020, il tre volte iridato ha fatto una riflessione su come il ciclismo sia cambiato in questi dieci anni: “Ora si corre di più come nei dilettanti. Ci sono sempre accelerazioni e attacchi costanti. Prima le squadre correvano per un solo capitano e collaboravano tra loro. La fuga andava e loro riportavano sotto il gruppo in modo che il capitano di una di quelle squadre vincesse. Ricordo che quando sono passato professionista per le Classiche c’erano Boonen e Cancellara e le loro squadre collaboravano perché loro potessero giocarsi la corsa. Questo non esiste più”.

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