Bardiani-CSF, Bruno Reverberi: “Il ciclismo va cambiato, rischiamo di fare la fine del pugilato”

Bruno Reverberi non usa mezzi termini nel descrivere l’attuale sistema ciclistico. Il team manager della Bardiani-CSF ha sfruttato la presentazione della propria squadra per esprimere la propria opinione sulla situazione attuale dello sport. Una situazione delicata, soprattutto per il movimento italiano, anche in virtù di una Federazione che non sempre riesce a intervenire al momento e nei modi migliori. In questo modo il rischio è di andare verso un progressivo declino, con il dito puntato sul sistema che comprende le Continental e le Continental Pro, oltre a dare troppo spazio al dilettantismo. Il classe ’46 ha analizzato il processo attuale di involuzione dello sport, dichiarandosi preoccupato per il movimento italiano.

Queste le sue dichiarazioni durante l’evento: “Con Cassani da un po’ tempo diciamo che il ciclismo va cambiato, perché così com’è perdiamo tante forze e tanti juniores. Si è detto in tante occasioni di lasciar fare un anno in più agli juniores così da evitare il problema della scuola, si è proposto di eliminare il dilettantismo. Oramai all’estero non c’è quasi più, sono tutte squadre Pro Tour che permettono di fare esperienza ogni tanto nelle gare dei professionisti e permette di far capire ai giovani che è un’altra categoria. Da questo deriva tante volte la fretta di passare. Una volta si passava professionisti a 23-24 anni, ora a 24 anni uno sembra quasi vecchio, è una cosa assurda. Togliere i dilettanti e fare la categoria Continental sarebbe un modo per perdere molti corridori in meno, e soprattutto curare i giovani e i giovanissimi”.

I cambiamenti sembrano evidenti: “Una volta ogni paese aveva una squadra, purtroppo su questo dovrebbe intervenire anche la federazione. Io vado a vedere le corse dei giovanissimi, ci sono delle categorie in cui partono in sette o otto. Nei giovanissimi è incredibile. Una volta c’erano trenta squadre di dilettanti per provincia, ora in quella di Reggio Emilia ce n’è una e mezzo, perché una non è nemmeno italiana. Quando hanno fatto il Pro Tour, sono stato l’unico a dire che avrebbe portato alla morte del ciclismo. Pian pianino ci arriviamo, vedrete… Dissi di non stare lì a scimmiottare la Formula 1, che è guidata da padri che hanno dei capitali enormi. Loro studiano sulle macchine, ma le macchine sono fatte da un’altra macchina. Un bambino non è fatto da una macchina. Alla federazione ho detto: «Ragazzi, cambiate perché qui il ciclismo farà la fine del pugilato». Mi hanno risposto che il ciclismo ci sarà anche quando noi non ci saremo più noi, ma mi domando: che tipo di ciclismo? Perché se parlate di mountain bike o di downhill è sempre ciclismo, come anche i cicloamatori e le granfondo. Io però parlo di ciclismo agonistico inteso come il nostro. Dagli esordienti ai professionisti, andrà a fare una brutta fine. E questo mi dispiacerebbe tanto, perché ho lavorato tanto per questo sport e non voglio vederlo finire male”.

Infine qualche considerazione su come ottenere una Wild Card al Giro d’Italia sia fondamentale per la sopravvivenza di una formazione italiana: “Per una squadra come la nostra non fare il Giro d’Italia vuol dire chiudere. Potrà andare avanti un anno, sì e no, perché magari c’è il contratto. In altre nazioni è diverso. Ad esempio in Danimarca basta fare il Giro di Danimarca e i corridori sono a posto. Ma se uno non fa il Giro, lo sponsor si chiede cosa si fa. La prima cosa che viene chiesta da uno sponsor quando gli si va a parlare è se sarà fatto il Giro. Noi lo speriamo, l’abbiamo sempre fatto. Ma non si può andare avanti così. Le altre categorie, quelle giovanissime, guardano il professionismo. Quando nello sci Tomba andava forte, tutti quanti andavano a sciare. Qui, quando hai il campione, la gente vai in bicicletta e poi vengono fuori i campioncini. Ma bisogna che la Federazione ci metta una mano e sistemi ciò che non sta andando bene“.

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