Philippe Gilbert, i rimproveri ai giovani fenomeni di oggi: “Conoscono poco la storia del ciclismo, conta di più il numero di follower sui social”

Philippe Gilbert è una delle colonne della storia recente del ciclismo che ha deciso di chiudere la sua carriera alla fine della stagione 2022. Il suo è stato un percorso lunghissimo e davvero ricco di successi e soddisfazioni: negli anni ha vinto 80 corse, fra cui 4 classiche Monumento e un Mondiale, quello di Valkenburg 2012. Negli ultimi anni è stato inoltre attivo sul fronte “sindacale”, entrando a far parte della Commissione atleti, organismo di rappresentanza dei corridori nei rapporti con l’UCI e con gli organizzatori delle corse. Insomma, uno che quando parla è da ascoltare.

“Il ciclismo è stata la mia vita – le sue parole in un’intervista rilasciata a L’Equipe – Sono due mesi che ho smesso e già mi manca. Ora la strada che ho intrapreso è diverso, ma non potrò mai scendere del tutto dalla bicicletta. Leggo ancora la stampa specializzata e cerco di tenermi aggiornato su tutto quello che succede. La mia carriera? Penso proprio di poter dire che ho colto tutte le opportunità che ho avuto. Mi sono preso dei rischi e spesso ero l’unico a credere negli obiettivi che mi prefissavo. Sono fiero di quello che ho fatto, perché ho raggiunto tutto, a eccezione delle classifiche generali dei Grandi Giri; ma in quel caso penso che di non aver avuto le qualità giuste per poter ottenere quel risultato. Al massimo, sacrificando tutto il resto, credo che sarei arrivato fra l’ottavo e il quindicesimo posto”.

Gilbert parla anche del ciclismo di oggi, non in termini del tutto positivi. “Le giovani generazioni di ciclisti? Per me è importante che uno conosca lo sport che pratica, il passato, perché una corsa è più importante di un’altra. E invece mi sorprendo spesso nel leggere articoli in cui si nota che giovani corridori di qualità non conoscono la storia del ciclismo. Recentemente, uno di loro mi ha detto che non sapeva chi fosse Johan Museeuw… Come puoi solo pensare di dire una cosa del genere? Non stiamo parlando della preistoria”.

Il belga, che ha vinto – fra le tante altre cose –  due Lombardia, una Parigi-Roubaix, una Liegi-Bastogne-Liegi e un Giro delle Fiandre, racconta: “Nel periodo in cui sono stato all’interno della Commissione atleti, ho trovato triste che la nuova generazione sia silenziosa su temi importanti. A volte ho l’impressione, ascoltando Tadej Pogačar o Jonas Vingegaard, che non capiscano le domande che gli vengono poste in merito al loro sport. Certo, per esprimerti o per almeno dire qualcosa, devi almeno conoscere lo sport che pratichi, ma tanti di loro sfortunatamente non lo fanno. Quello che conta di più ora è il numero dei follower che un corridore ha sui social network”.

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