Visma | Lease a Bike, Sepp Kuss torna a parlare della Vuelta: “È stata una dinamica strana sperare che un’altra squadra insegua un tuo compagno”

Sepp Kuss si sta ancora godendo l’inaspettato successo alla Vuelta a España 2023. Lo scorso settembre, lo scalatore statunitense ha ottenuto la sua vittoria più importante conquistando la classifica finale del GT spagnolo, una vittoria arrivata non solo grazie alle sue grandi qualità, ma anche per le tattiche e per il gioco di squadra attuate con i compagni Jonas Vingegaard e Primoz Roglic, che in quella corsa partivano con i gradi di capitani della Jumbo-Visma ma che alla fine sono finiti sul podio alle spalle di colui che, in teoria, avrebbe dovuto essere loro gregario. Durante l’ultimo episodio del podcast Geraint Thomas Cycling Club, il 29enne è tornato a parlare della gara e delle dinamiche che si sono create in squadra dopo che, al termine della settima tappa, è andato a vestire la Maglia Rossa con ampio margine sui propri capitani.

All’inizio non mi sembrava giusto dire: ‘Voglio questo, questo, questo’, perché avevo anche capito che ero in quella posizione a causa della tattica della nostra squadra, il che è giusto – ha spiegato Kuss – Non avevo intenzione di mettere al loro posto il vincitore del Giro e il vincitore del Tour, nemmeno sapendo che alla fine avrei avuto le gambe per farlo. Ho sempre avuto fiducia in me stesso, ma non volevo dettare legge in quel modo“.

Lo statunitense ha poi mantenuto il simbolo del primato anche dopo la cronometro e per tutta la seconda settimana, ma all’inizio della terza ha rischiato di perdere la leadership dopo che, nella tappa 16, Vingegaard ha attaccato sulla salita finale di Bejes: “Ha chiesto alla radio: ‘Posso attaccare?’ e io ho detto: ‘Certo, qualcuno deve inseguire, quindi non è un male’. Poi, quando si è verificato uno stallo totale e l’UAE aveva tutti questi corridori e nessuno tirava, ero tipo ‘Oh merda. Ok, bene, voglio che Jonas vinca ma spero che qualcuno dietro tiri, altrimenti cosa facciamo? Non lo rincorrerò io’. È stata una dinamica strana sperare che un’altra squadra insegua il tuo compagno di squadra. Lo dico in senso positivo, volevo che vincesse quella tappa, non c’è niente di sbagliato in questo, ma è stato uno stallo strano”.

Un’altra giornata decisiva è stata poi quella dell’Angliru del giorno seguente, dove Kuss si è ritrovato staccato sia da Vingegaard che da Roglic: “Prima di quel momento, mi sentivo bene. Ho pensato: ‘Potrei vincere questa tappa, questa è la tappa che volevo vincere in tutta la Vuelta e mi sento molto bene’. Poi, a un chilometro dall’arrivo, andavano sempre più veloci e io ero al limite. Quando mi sono reso conto che stavo per staccarmi, ho pensato: ‘Ok, beh, questa è la fine per me. Questo è ciò che abbiamo concordato e non pensavo che accadesse in questo modo, ma immagino che sarà così'”.

Il 29enne è invece riuscito a mantenere il simbolo del primato e, da quel momento, anche grazie a un accordo interno al team (non senza qualche tensione), è stato deciso che sarebbe stato lui a conquistare la corsa. Lo statunitense non crede però di aver vinto solo grazie a questa ‘gentile concessione’ di Vingegaard e Roglic: “Anche quel ragionamento è valido, ma se ci penso, che dire di tutte le volte che li ho portati in giro, o dell’anno in cui ho salvato Primož sull’Angliru? Se il ciclismo è come un sistema di caste, dove sei un gregario e lo sei in qualsiasi caso, allora è un modo di vedere la cosa, ma poi, a sua volta, chiunque abbia la maglia di leader è il leader in qualsiasi caso. In qualunque modo la si giri, devi giocartela all’interno dei livelli della squadra, anche chi è il più forte, e penso di essere stato il più forte in quella situazione“.

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