Mitchelton-Scott, Edoardo Affini: “Viviamo nell’incertezza. Ora importante riprendere in modo graduale. Per il dopo non ho programmi ancora”
Edoardo Affini si affaccia al rientro agli allenamenti. Come tutti noi, il corridore della Mitchelton – Scott potrà riprendere a pedalare in esterno a partire da lunedì 4 maggio, dopo aver sinora svolto sessioni solo virtuali, tramite le varie applicazioni, ben seguito dalla sua squadra, tra le prime ad organizzarsi in merito, con sessioni dedicate ai propri corridori. In collaborazione con i nostri amici di Born To Cycle, il bronzo europeo a cronometro ha analizzato la situazione attuale, ripercorrendo anche alcune tappe più importanti del suo passato, ricordando gioie e dolori della sua rapida ascesa nel ciclismo che conta, fino all’esordio già vincente lo scorso anno dopo aver dimostrato il suo valore all’estero alla SEG Racing Academy, formazione continental tra le più interessanti a livello giovanile. Ovviamente, non manca di proiettarsi a quello che verrà.
Edoardo, come stai vivendo questo periodo di lockdown?
Sto vivendo come tutti nell’incertezza sul futuro, su cosa ci aspetterà dopo l’emergenza e nel mio campo, quello del ciclismo ci sono grandi incertezze sul calendario gare e stanno già affiorano problemi economici con le sponsorizzazioni, ma è importante poter già iniziare a mettere il naso fuori da casa già da lunedì e rimettere la bici in strada e prendere un po’ di vento in faccia dopo diverse settimane di allenamenti sui rulli.
Ti alleni sui rulli ma stai usando anche piattaforme interattive?
Sì, la mia squadra è stata una delle prime a organizzare eventi su Zwift e poi pedalate di gruppo anche con i fan. Li abbiamo utilizzati per simulare allenamenti e qualche corsa quindi siamo stati abbastanza attivi su queste nuove piattaforme digitali che rendono l’allenamento indoor un po’ più interattivo e divertente.
I rapporti con la squadra in questo periodo e i tuoi programmi per lunedì quando potrai riprendere ad allenarti su strada: prevedi una uscita monstre di 12 ore?
A parte che non ho mai fatto un’allenamenti di 12 ore, ma anche se dovessi avere la malsana idea di farlo, dovresti venire a raccogliermi con il cucchiaino perché dopo tutti questi rulli la resistenza è molto ridotta e bisognerà ricostruirla piano piano ed è un consiglio per tutti gli appassionati: non fate uscite esagerate subito, meglio ripensarci e riprendere in modo graduale. Il management della squadra ci è stato molto vicino, abbiamo contatti frequenti con i vari addetti e siamo in contatto anche tra noi atleti per fare gruppo. Facciamo videochiamate dove ci scambiamo opinioni non solo ciclistiche ma anche per restare uniti.
Raccontaci le tue caratteristiche come corridore
Sicuramente non sono uno scalatore. Diciamo che mi è sempre piaciuta la cronometro e il mio fisico si adatta a questo tipo di sforzo e sto cercando di lavorare il più possibile per migliorare in questa specialità. Mi piacciono molto le classiche e ho avuto modo di fare quelle del Nord l’anno scorso come Fiandre e Roubaix dove al contempo mi sono divertito e ho fatto molta fatica ma è stato bello poter fare queste esperienze già al primo anno, in queste corse che sono l’università del ciclismo. Per il resto si fa il proprio lavoro e si aiutano i capitani di giornata per fare il meglio possibile.
La cronometro, la tua specialità: raccontaci come vivi le prove contro il tempo?
La Mitchelton-Scott è davvero appassionata di cronometro ed è una cosa che ha influito nella mia scelta di passare professionista con questo team. Mi è stata garantita la possibilità di seguire un percorso di crescita in questa disciplina sotto tutti i punti di vista, non solo atletico ma anche con lo sviluppo di nuovi materiali e con l’utilizzo della galleria del vento, insomma tuo è curato nei minimi dettagli. Come vivo questa disciplina? Innanzitutto dipende dall’obiettivo con cui affronti una cronometro, perché se la fai senza velleità personali perché è all’interno di un grande giro probabilmente è come se fosse una mezza giornata di riposo mentre se le fai come me per cercare di ottenere il miglior risultato possibile è un discorso di gambe e di testa: solo gambe non funziona, allo stesso modo solo testa non è abbastanza, serve trovare il giusto equilibrio. Serve pensare al tipo di sforzo da effettuare, anche in base alla distanza della prova per bilanciarsi al meglio. Fare una crono da 20 minuti è una cosa, se sono 50 minuti cambia lo sforzo e ci si deve adattare al meglio al tipo di percorso.
Sin da giovane sei uno dei più forti corridori italiani e hai partecipato a diverse edizioni dei campionati del mondo, sfiorando il podio in più di una occasione. Come hai vissuto queste esperienze, sono più i rimpianti o ne esci consapevole delle tue capacità e con maggiori stimoli per migliorare?
La maglia azzurra è sempre stata bellissima da indossare già dal primo anno juniores ai mondiali di Firenze nel 2013 e poi da lì ho partecipato a tutti i mondiali nelle varie categorie tranne che a Richmond, fino all’ultimo nello Yorkshire nella cronometro. Sì, ho sfiorato il podio due volte, a Ponferrada nella prova in linea e nel 2018 A Innsbruck nella cronometro: c’era un po’ di amaro in bocca, sarebbe stato bello salire sul podio e portare a casa una medaglia, ma nello stesso tempo la performance che ho fatto era valida e mi dava un certo morale quindi guardavo più alla prestazione che al risultato e lo vedo come un percorso di crescita.
Hai debuttato con i professionisti nel 2016 con la maglia della nazionale italiana, come ti sei trovato a gareggiare con i campioni che vedevi in televisione?
Ho debuttato proprio nel 2016 al Tour de San Luis in Argentina con la maglia della nazionale e mi sono trovato in camera con Filippo Pozzato, quindi subito una prima volta con un grande del ciclismo ed è stata una splendida esperienza. È stato bellissimo poter interagire con questi campioni che fino a poco tempo prima vedevo solo in televisione, ma anche l’anno scorso quando sono diventato professionista mi faceva piacere vedere tutti questi grandi campioni, ma allo stesso tempo pensavo che adesso ci sono qui anche io e c’è qualcuno che mi guarda da casa ed è stata una bella emozione. Ci sono tantissimi campioni in gruppo e tutti hanno qualcosa da insegnarti visto che hanno esperienza e ci sono milioni di cose da imparare. Osservo tutti e cerco di carpire i loro segreti.
2017 e 2018 due anni con la SEG Racing, una continental estera. Che differenze hai trovato rispetto all’Italia?
La differenza principale è stata nel calendario di gare che una squadra continental faceva all’estero rispetto a quelle italiane dilettantistiche. Anche se non sono passati tanti anni nel 2017 quando ho deciso di fare questa esperienza in tanti non approvavano la mia scelta, ma ora vediamo che molte squadre italiane hanno fatto un salto nella categoria continental aumentando il loro calendario con gare all’estero dove la possibilità di confrontarsi con i migliori corridori stranieri aiuta a far crescere il livello e anche la possibilità di fare corse più lunghe fino ai 200 chilometri è importante. Ma la vera differenza che ho notato è che la mentalità estera è più incentrata sulla crescita rispetto al risultato.
E proprio tra giugno e luglio 2018 hai vissuto un periodo strepitoso, un successo dietro l’altro. Te l’aspettavi?
Se investi sulla tua crescita il risultato, almeno teoricamente, è una conseguenza. Ovviamente, non è scontato, ma se ti impegni sempre al 100% poi qualcosa si raccoglie. Quel periodo, l’estate 2018 per me è stata eccezionale: partendo dal prologo del Giro d’italia Under 23 che avevo preparato in maniera molto specifica perché si trattava di una prova molto corta, esplosiva, in cui normalmente non mi esprimo al meglio, ma abbiamo lavorato in quella direzione per affrontarla al meglio e poi durante tutto il Giro sono andato bene e ne sono uscito con una splendida condizione. Poi ci sono stati i Campionati Italiani a Taino, una prova davvero dura dove non mi aspettavo nulla, ma la prova si è svolta in maniera particolare e sono riuscito ad andare via da solo e ho vinto. Poi in ordine un tris di successi a cronometro, Giochi del Mediterraneo, il Campionato Italiano e il Campionato Europeo. Abbiamo lavorato bene e si sono visti i risultati e ho colto davvero grandi soddisfazioni. Direi che è mancato solo il Campionato del Mondo dove avrei potuto mettere la ciliegina sulla torta, ma se guardiamo indietro devo dire che è stata una stagione da incorniciare.
Nel 2019 sei passato nel World Tour con la Mitchelton-Scott e hai affrontato subito tre monumento: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix.
Come dicevo prima è stata una grande emozione poter partecipare a queste corse già il primo anno, non è facile riuscire a entrare nella selezione della squadra per gare così importanti ed è stata una prima esperienza positiva: cominci già a vedere cosa devi fare nel futuro per poter essere lì nel finale a poterti giocare la vittoria. Devo ringraziare la squadra per avermi dato fiducia e anche il calendario della seconda parte di stagione è stato davvero gratificante e direi che come primo anno sono andato oltre le mie aspettative.
Diciamo che ti sei fatto trovare pronto: a maggio al Giro di Norvegia hai alzato le braccia al cielo e hai corso una seconda parte di stagione da assoluto protagonista.
A maggio dopo la prima parte di stagione abbiamo fatto un periodo di riposo per ricaricare le batterie per affrontare al meglio la seconda parte di stagione e sono rientrato alle corse in Norvegia e in una tappa molto combattuta sono riuscito a centrare la fuga con altri 5 compagni. Siamo andati davvero forte, ma di comune accordo e siamo riusciti a tenere dietro il gruppo per 5 o 6 secondi e sono riuscito a vincere quella che io definisco la volata dei morti perché eravamo tutti finiti e si vede che mi era rimasto qualcosina in più degli altri e devo dire che la prima vittoria da professionista è qualcosa di speciale. Per quanto riguarda le cronometro, mi aspettavo di fare bene perché ho investito tanto su di me e mi sono preparato benissimo. Sono riuscito a vincere in Inghilterra, secondo al Bink Bank Tour dietro a Filippo Ganna e terzo ai Campionati Europei, risultati splendidi per me.
Quali erano i tuoi obiettivi nel 2020 prima di questa pandemia e come immagini la ripartenza?
Prima dello stop per la pandemia era pronto per ripetere il programma dello scorso anno con le classiche del Nord, con l’aggiunta della Tirreno – Adriatico o in alternativa della Parigi-Nizza, a seconda delle scelte dei direttori sportivi. L’obiettivo era quello di migliorare i risultati dello scorso anno nella campagna del Nord e poi staccare e preparare la seconda parte di stagione dove avrei dovuto correre la Vuelta di Spagna che sarebbe stato il mio debutto in un grande giro. L’importante ora è uscire da questa brutta emergenza e programmi per il dopo non ne ho ancora e penso non li abbia nessuno, a parte i grandi campioni che stanno pensando che corse fare. Io al momento non ho idea perché stiamo aspettando l’ufficializzazione del calendario e speriamo di avere la prossima settimana una bozza quasi ufficiale e poi dipende tanto dalla situazione del virus nei vari stati e di conseguenza dai provvedimenti dei governi.
Come vedi il futuro del ciclismo, credi ci possano essere delle modifiche nel calendario tradizionale o ti piace così?
Penso che a livello di calendario non ci sia molto da cambiare, la formula classica ha funzionato negli anni passati e ha una grande storia e non vedo motivo di rivoluzionarlo, anche in termine di date perché bisogna fare conto con il clima dei vari paesi. E non dimentichiamo che ci sono tantissime corse, anche meno blasonate e se dovessimo creare sovrapposizioni rischieremmo di penalizzare gli organizzatori di questi eventi.
La corsa dei tuoi sogni?
La Parigi-Roubaix, senza dubbio, è sempre stata quella.
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