Ineos Grenadiers, Geraint Thomas: “Continuo a correre perché mi diverto – Nel 2024 l’obiettivo sono le Olimpiadi; il Giro d’Italia? È un’opzione”

Geraint Thomas va per i 38 anni (li compirà nel prossimo mese di maggio), ma non ha proprio intenzione di fare piani per il momento in cui lascerà l’attività agonistica. Il gallese ha appena firmato un nuovo contratto di due anni con la Ineos Grenadiers e sta già pensando a come programmare la prossima stagione in sella. Reduce dal secondo posto al Giro d’Italia 2023, dove è stato superato da Primož Roglič solo negli ultimissimi chilometri di gara, Thomas vuole provare a lasciare ancora il segno sulla scena internazionale, al netto dell’età che avanza, della concorrenza e delle caratteristiche fisiche che, ovviamente, cambiano.

“Vado avanti a correre perché mi diverto e anche perché, se guardo ai numeri, ho finito sul podio quattro degli ultimi sei Grandi Giri che sono riuscito a completare – le parole del gallese in un’intervista al Guardian – Quindi, penso di avere ancora energie per fare buoni risultati. Il 2024? Se guardo al percorso del prossimo Giro d’Italia vedo che ci sono due lunghe cronometro, un giorno di sterrato e una terza settimana molto dura. Per me, essere al via è sicuramente un’opzione“.

Thomas ha comunque già un altro appuntamento segnato in rosso sull’agenda 2024: “Ovviamente, i Giochi Olimpici di Parigi 2024 sarebbero un grande traguardo per me. Se riuscissi ad esserci sarei alla quinta partecipazione a un’Olimpiade, sarebbe una cosa pazzesca. Una medaglia? Perché no? Come dicevo, vado ancora forte”.

Il corridore della Ineos guarda già alla preparazione invernale che lo attende: “Per me è la parte più difficile – racconta Thomas – Devo scendere dai 75 chili a cui arrivo quando non corro al mio peso-forma di 68. Una volta che ci arrivo, poi posso andare forte per 8 mesi filati. Ma ora devo staccare un po’ e rilassarmi. È il mio modo di prepararmi e facendo così credo di avere a disposizione ancora una grande cartuccia a stagione. Io ho periodi in cui vado al 100 per cento e dei periodi in cui stacco del tutto, non penso nemmeno alla bici e mangio e bevo quel che capita. I giovani ciclisti di oggi invece devono essere misurati sempre e pensano sempre alla bici. Ma non puoi fare così per vent’anni. Loro probabilmente avranno carriere più brevi, io sono felice di durare un po’ di più”.

Dall’alto della sua esperienza, Thomas analizza la situazione di casa Ineos, che negli ultimi anni è parsa allontanarsi dal duo Jumbo-Visma – UAE Team Emirates in quanto a potenze ciclistiche mondiali: “Non siamo solo noi ad aver perso le sfide con loro. Nessun altra squadra è riuscita ad avvicinarsi. Ma bisogna considerare che Tadej Pogačar è talmente forte che farebbe le stesse cose che fa in UAE con qualsiasi altra squadra. Loro sono fortunati ad averlo e in generale non credo che, come squadra, ci abbiano staccato particolarmente. In più, abbiamo vissuto una fase di transizione negli ultimi anni, senza contare quello che è successo a Egan Bernal. Ma al Giro eravamo lì a giocarcela con la Jumbo, mentre tutti gli altri erano molti minuti più indietro. E in più abbiamo una squadra giovanissima. Pensate solo a cosa ha fatto Joshua Tarling quest’anno a crono (Campione europeo e bronzo mondiale, a 19 anni – ndr)”.

Inevitabile uno sguardo alla concorrenza: “Jonas Vingegaard, Tadej Pogačar e Remco Evenepoel? Li ammiro tutti e tre, così come ammiro Chris Froome, che era un altro atleta speciale. Però, fra quei tre, penso che Pogačar sia il più forte, perché sa fare tutto. Però, per me resta un privilegio gareggiare con loro e anche misurarmi con loro. Il passato? Quando ho iniziato c’erano ancora Ivan Basso e Jan Ullrich, poi mi sono trovato ad affrontare Fabian Cancellara nelle Classiche, Vincenzo Nibali e Alberto Contador nel Grandi Giri. Ne ho trovata di gente forte, in effetti… All’epoca era diverso, il ciclismo non era così intenso”.

Era un’epoca, quella dell’inizio della carriera di Thomas, ancora segnata da doping e squalifiche. Adesso come la vede? “Oggi siamo tutti puliti, al 100 per cento. In quegli anni, quello che mi ha dato fiducia sul futuro di questo sport era che le positività saltavano fuori e che non c’era una sorta di ‘cospirazione’ per tenerle nascoste. Ora mi rendo conto che il ciclismo è cresciuto ed è cambiato, soprattutto sul piano dell’alimentazione e dell’allenamento. In più, ci sono anche dei ragazzi eccezionali in gara. Ma è tutto il gruppo a essere più professionale. Al via delle corse più importanti ci sono 180 corridori che possono andare forte, mentre in passato alcuni correvano solo per divertirsi e per venire pagati. C’era un divario enorme fra i migliori e gli ultimi del gruppo, mentre ora quello spazio è molto più ridotto”.

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