Giovanni Iannelli, chiesta l’archiviazione per i tre imputati: morto per colpa di regolamenti troppo vaghi?

Chiesta l’archiviazione per i tre imputati nel caso riguardo la morte di Giovanni Iannelli. Lo sfortunato ciclista pratese deceduto in seguito alla caduta nel corso del Circuito Molinese di Molino de’ Torti sarebbe morto per una fatalità, o meglio per un regolamento troppo vago. È sostanzialmente questa la conclusione che sembra emergere dalla richiesta di archiviazione al GIP del pubblico ministero di Alessandria Andrea Tucano, che si occupava delle indagini. Archiviata dunque la posizione del presidente della società organizzatrice, nonché del direttore e vice-direttore di corsa, che risultavano i tre indagati per una morte che sicuramente era evitabile e doveva essere evitata, ma come?

Sarebbero troppo vaghi i regolamenti, che non consentono di stabilire parametri certi entro cui bisogna rientrare, anche in termini di riduzione del rischio, che dunque viene quasi considerato come una componente inevitabile visto che “attività come il ciclismo restano intrinsecamente pericolose”. Dopo essere passata indenne riguardo l’obbligo di transennare gli ultimi cento metro del tracciato (anche grazie all’assenza di una qualunque segnalazione in merito da parte dei giudici di gara), l’organizzazione può dunque tirare un sospiro di sollievo riguardo le pesanti accuse che si era vista rivolgere.

Il pilastro contro cui ha sbattuto Giovanni si trovava invece a 144 metri dal traguardo, quindi fuori dalla zona di obbligo. E malgrado fosse a meno di un metro dalla strada non era stato ritenuto obbligatorio mettere una protezione. Tuttavia, secondo il PM, “il parametro dell’individuazione degli ostacoli lungo il percorso è elastico”, per cui non ci sarebbe stato obbligo di metterlo in sicurezza vista “l’esistenza di uno standard di sicurezza che deve essere garantito dagli organizzatori che hanno il dovere di limitare il rischio entro una certa soglia, definita dagli standard regolamentari, ma non di annullarlo”.

Malgrado alcune testimonianze importanti, tra cui quelle di esperti come Raffaele Babini, responsabile della sicurezza del Giro d’Italia, e del perito Piercarlo Molta, che hanno parlato di “elementi che costituiscono grande pericolo” e di un “tracciato disseminato di punti pericolosi ai margini della carreggiata”, sono stati altri gli elementi ritenuti decisivi. Tra questi il fatto che la corsa, che era alla sua 87ª edizione si sia sempre svolta sullo stesso percorso di sei chilometri. E proprio il fatto che fosse un circuito aveva permesso agli atleti di transitare più volte sul rettilineo d’arrivo, disputando anche le volate per i traguardi volanti, per cui gli atleti erano consci di ostacoli e pericoli. Sarebbe inoltre risultata decisiva anche la testimonianza del direttore sportivo di Iannelli, quell’Imere Malatesta che in passato era diventato virale per il famoso video dei boccettini, quelli lunghi. La sua descrizione di un percorso “piuttosto semplice”, per cui sarebbero “altre le strade o i circuiti da essere considerati pericolosi” (dichiarazioni che sicuramente bisognerebbe anche poter vedere nel loro complesso per poter valutare a pieno), sembra aver convinto più delle altre testimonianze opposte, anche da parte di colleghi di Giovanni, che magari erano con lui in quello sprint.

“Alla luce di questi elementi si ritiene insussistente il reato contestato con riguardo a tutti e tre gli indagati, sia sotto il profilo oggettivo (perché l’evento esula dai limiti della posizione di garanzia che grava sugli indagati) sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo (perché l’evento era ex ante imprevedibile da parte del comune organizzatore o direttore di corsa)”, scrive dunque il pubblico ministero nelle sue conclusioni, chiedendo una archiviazione che ora pesa come un macigno.

I legali della famiglia hanno infatti ora un mese di tempo per presentare ricorso, ma l’archiviazione compromette anche la possibilità di successo della causa civile. Forte la sensazione di amarezza che inevitabilmente pervade…

Un commento

  1. Giovanni Iannelli pesa su chi dirige il Movimento Ciclistico mondiale,Europeo,Nazionale e Regionale.Si è sempre sottovalutato il problema sicurezza che non riguarda solo i percorsi.Personalmente,li chiuderei in una stanza e li farei uscire solo quando emetteranno normative CHIARE da far rispettare soprattutto gli organizzatori,quelli locali e quelli internazionali.La vita dei ragazzi è sempre la stessa.Ho visto nelle gare minori cose da rizzare i capelli,dalla corda negli ultimi 50 mt. alle transenne con gambe di ferro da terrorizzare.E’ ridicolo e vergognoso non transennare negli arrivi in pianura almeno gli ultimi 1.000 mt.Proprio perche’ si riconosce al ciclismo su strada una pericolosita’ intrinsica, non bisogna lasciare nulla al caso.Le gare in circuito,poi,dovrebbero essere curate come uno stadio ed invece si da’ la colpa ai corridori ben altro affaccendati.Ancora un bel vergogna,signor giudice,ci sta’.Che dire di chi doveva dare il benestare sul percorso da parte della FCI regionale?Che sia la 87° edizione non è un merito ma una negligenza.O si hanno i soldi per organizzare la gara in sicurezza o è meglio soprassedere ai prossimi anni.Mi auguro che il povero Giovanni Iannelli non sia vittima del caso ma sia il simbolo di un rinnovamento sul fronte della sicurezza.Gianfranco Di Pretoro

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