Greg LeMond ripercorre la sua carriera, con qualche rimpianto: “Non fosse cominciata l’era dell’EPO, sarei arrivato a vincere cinque Tour de France”

Greg LeMond è stato uno dei corridori che ha segnato l’epoca del ciclismo fra gli Anni Ottanta e il decennio successivo. L’ex corridore, oggi 63enne, è stato il primo statunitense a vincere il Tour de France, arrivando poi a conquistarne tre, fra cui quello passato alla storia per il sorpasso in classifica messo in atto su Laurent Fignon proprio all’ultima tappa, a cronometro, nel 1989. Nella bacheca di LeMond ci sono anche due Campionati del mondo, quello di Altenrhein 1983 e quello di Chambéry 1989, oltre ad altri successi che portano il totale di carriera a 30. Secondo lo statunitense, però, la sua bacheca dei trofei avrebbe potuto essere ancora più significativa.

“Una parte del mio cuore soffre al pensiero di non aver avuto una carriera meno condizionata dagli infortuni e da quello che è stato l’inizio dell’era dell’EPO – le parole di Greg Lemond in un’intervista concessa a Cycling Weekly – Sono stato il primo statunitense a vincere un Tour e poi un incidente mi ha condizionato la vita proprio in quello che sarebbe stato il mio periodo migliore. Io ho sognato di vincere cinque Tour de France e credo che questo traguardo sarebbe stato una logica conseguenza. Penso proprio che senza l’EPO avrei vinto i Tour del 1991 e del 1992″. Gare, queste ultime, vinte entrambe da Miguel Induráin; LeMond fu invece settimo nel ’91 e ritirato nel ’92.

Negli anni LeMond ha corso per Renault-Elf-Gitane, debuttando nel 1981, e poi per La Vie Claire, PDM, Adr-Agrigel-Bottecchia e per la Z, prima di chiudere la carriera con la francese GAN, nel 1994. Con il passare del tempo, non ha mai fatto mancare la sua voce contro le pratiche dopanti, scontrandosi spesso con Lance Armstrong e con altri personaggi legati a quel periodo storico, come Johan Bruyneel. “Era sconvolgente vedere che nel suo periodo le cose erano diventate ancora peggiori che durante gli Anni Novanta – commenta LeMond – Questo mi ha portato anche a lasciare il ruolo che avevo come commentatore tecnico in televisione. Mi piaceva, ma era dura entusiasmarsi per alcune persone di cui sapevo ‘certe cose’. È stato doloroso”.

La carriera di LeMond è stata condizionata anche da un avvenimento per certi versi incredibile: nella primavera del 1987, pochi mesi dopo aver vinto il primo Tour, fu infatti bersaglio di un colpo di arma da fuoco, sparato dal cognato, durante una battuta di caccia in California. L’incidente, che gli provocò anche un avvelenamento da piombo e, secondo lui stesso, anche la successiva leucemia, poi curata, non gli impedì comunque di tornare alle gare, alla fine dello stesso anno. Le cose però non andarono bene fino al 1989: “L’anno prima ero andato alla PDM: a ogni corsa mi dicevo che sarei tornato ad andar forte, ma questo non accadeva mai. E poi, due corridori della squadra sono stati trovati positivi. Era un incubo e decisi di andarmene. Così, nel 1989 andai alla Adr, che era una grande squadra, ma con quello che era probabilmente il budget più basso mai visto nel ciclismo. Non pagavano nessuno, in pratica“.

Per LeMond, però, quello che contava era tornare al massimo livello: “Portai a termine il Giro d’Italia 1989, ma con grandi difficoltà, a causa di una serie di allergie – racconta lo statunitense – Andai al Tour senza alcuna aspettativa e invece addirittura lo vinsi. Passare dal Giro, così negativo, a quel Tour fu forse la cosa più pazza che potesse capitarmi. L’ultima cronometro con il sorpasso su Fignon? Furono importanti anche gli accorgimenti tecnologici (come il manubrio, la ruota lenticolare posteriore, il casco e la posizione aerodinamica – ndr). Credo di poter dire di aver giocato un ruolo importante nel ciclismo, portandolo in un’era più moderna sotto questo aspetto“.

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