Fausto Coppi, le memorie inedite di Gino Bartali: “Eravamo avversari ma ci volevamo bene…”

Il 2 gennaio di 60 anni fa si spegneva Fausto Coppi. La morte improvvisa del Campionissimo scosse profondamente tutti gli appassionati di ciclismo, in tutto il mondo. L’Airone chiuse le ali, ma il suo mito è rimasto intatto fino ad oggi, alimentato dal ricordo di tanti appassionati, compagni di squadra e anche avversari. Il principale fu, senza dubbio, Gino Bartali, la cui rivalità con Fausto diede vita ad episodi leggendari e divise l’Italia del dopo Guerra in due fazioni contrapposte. E proprio attraverso le memorie inedite di Ginettaccio, da quotidiano.net, vengono fuori, tra affetto e nostalgia, altri ricordi dell’indimenticato Campionissimo.

“Ah, Fausto! Dal giorno del suo congedo mi fu subito chiara una cosa: guardando me, la gente avrebbe pensato a lui. Eravamo diversissimi ma come gemelli nella sensibilità popolare. Eravamo avversari, ma ci volevamo bene… Poi, certo, la rivalità è stata anche tremenda! Nel 1946 i corridori italiani per le sanzioni post guerra non potevano ancora gareggiare all’estero, eravamo ammessi solo nella Svizzera neutrale. Così io e Fausto ci iscriviamo al campionato di Zurigo e una volta lì vediamo la miseria degli immigrati, i nostri compatrioti che erano andati oltre frontiera per guadagnarsi da vivere e campavano in condizioni umilianti… Io e lui ci guardammo negli occhi e ci accordammo: dobbiamo dare una gioia a questa gente, fare in modo che senta l’orgoglio dell’essere italiani. Corremmo da alleati, staccammo tutti, i nostri connazionali piangevano ai lati della strada, erano felici. Poi naturalmente noi due litigammo in volata, ma quella era la nostra natura, cane e gatto…”

Lo avevo conosciuto per strada, in allenamento, sul finire degli anni Trenta. Stavo pedalando dalle sue parti. Io avevo già vinto Giro e Tour, mi si affianca un ragazzo magro magro e mi fa: signor Bartali, posso avere l’onore di stare in sua compagnia per qualche chilometro? Andò a finire che rimase con me per ore e non si staccò mai. Ai saluti gli chiesi: come ti chiami? E lui, timido: Coppi, Fausto Coppi… So che sembra un film eppure è tutto vero. Così come è vero che tra i due io sono quello che ha aiutato di più l’altro, lui era un grandissimo ma un po’ mi soffriva, ci siamo fatti i dispetti ma ci siamo rispettati…”

“Ad esempio, io non l’ho mai giudicato per la storia della Dama Bianca. Cattolico come sono, può immaginare quante volte, in quella Italia là, vescovi e preti mi sollecitarono a dire una parola contro di lui. Non l’ho mai fatto e Fausto me ne fu grato, quando dalla relazione con la signora Occhini nacque un figlio lui si precipitò in camera mia, per evitare guai con la legge: il bimbo era venuto al mondo in Sud America e Coppi aveva ricevuto una telefoto dal pargolo. Me lo mostrò e mi disse: guarda, è il mio Faustino. Aveva le lacrime agli occhi…”

Era un uomo complicato, ricco e adorato ma non era felice. Alla fine gli pesava la sua situazione privata, mi aveva chiesto di combinargli un incontro con il vescovo Montini, il futuro Paolo VI. Dovevamo vederci a gennaio del 1960, arrivò prima la malaria e non seppi mai che intenzioni avesse per il futuro…”

“C’erano tante differenze, ma non sulla politica, sebbene i comunisti lo contrapponessero a me perché io ero uno di Chiesa. Ma Togliatti, il segretario del Pci, era un mio tifoso, per dire. E Fausto votava anche lui per la Dc, tant’è vero che firmammo assieme un appello a favore di Alcide De Gasperi. Solo che a sinistra preferivano far finta di non accorgersene…Io sono credente e non ho mai dubitato che Fausto lo rivedrò, nella Luce del Signore. Quando me lo troverò davanti, sono sicuro che mi darà ragione. I Campionissimi erano due, Coppi e Bartali e a me è toccato vivere anche un po’ per lui, guardavano Gino e pensavano a Fausto…”

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