Sagan non più il numero uno al mondo, ma quanta importanza ha?

Dopo oltre un anno, Peter Sagan non è più il numero uno del ciclismo mondiale. Fossimo nel tennis, sarebbe un risultato che avrebbe una rilevanza non da poco, nel ciclismo sembra essere invece un dato più che altro aneddotico. Effettivamente, in pochi (che sia tra gli addetti ai lavori o tra i tifosi) tengono realmente in considerazione le varie classifiche. Le Classifiche UCI WorldTour, che dunque tengono conto solamente dei risultati di massima divisione per l’anno in corso, valgono soprattutto a fine stagione (le squadre sostanzialmente per evitare una retrocessione, i corridori nelle zone alte a quel punto provano a mettere nel mirino un piccolo trofeo in più), ma l’UCI WorldRanking introdotto lo scorso anno potrebbe offrire qualche spunto in più.

Se la stagione 2016 è stata sostanzialmente vissuta nel segno dello slovacco, che ha preso le redini del ranking il 27 marzo per non lasciarlo più, quest’anno la situazione è cambiata. Dopo aver raggiunto un picco di 5879 punti lo scorso 26 febbraio, nell’arco di poco più di un mese il campione del mondo ha perso 1220 punti, finendo per essere superato da Greg Van Avermaet (casualmente proprio il corridore a cui Sagan strappò la leadership oltre un anno fa). Il campione olimpico ha vissuto una primavera straordinaria, riuscendo così a strappare l’egemonia al capitano della Bora – hansgrohe, sul quale ha ora un vantaggio di poco inferiore ai 200 punti, ma il dato mostra anche chiaramente quanto le cose siano andate male per Sagan. L’espansione del WorldTour fa anche sì che per alcune corse i punteggi siano diversi rispetto alla passata, eppure se lo slovacco avesse quantomeno ripetuto la primavera dello scorso anno, adesso sarebbe ancora davanti.

Tra i due in poco più di un mese si è ribaltato un gap di quasi 2000 punti, con il belga che ne ha guadagnati oltre novecento. Dietro di loro si sta facendo nuovamente sotto minaccioso Alejandro Valverde, che lontano dalle classiche ha comunque conquistato più di mille punti, presentandosi nelle Ardenne con la concreta possibilità di superare entrambi. Lo spagnolo tuttavia perderà poi parecchio, considerando che lo scorso anno conquistò molti punti al Giro d’Italia, al quale quest’anno invece non partecipa, e dovrebbe presumibilmente restituire la leadership al recente vincitore della Parigi – Roubaix. Al momento gli altri sembrano tutti abbastanza lontani, partire da Chris Froome (Sky), ora quarto con un gap di oltre 1200 punti dalla vetta. Il Keniano Bianco resterà abbastanza stabile con i suoi punti sino al Giro del Delfinato e soprattutto al Tour de France, nel quale vedremo all’opera anche Nairo Quintana, quinto ora ad appena cento punti dal rivale britannico.

D’altro canto, tutto ciò quanto vale se si pensa che il vincitore dello scorso Giro d’Italia è solo 40°? Se il vincitore dell’ultimo Giro delle Fiandre è 13° o se quello della Milano – Sanremo è addirittura 50°? Son solo dati statistici o c’è un reale valore di cui bisogna tenere conto? Il fatto che nelle prime posizioni si trovino indifferentemente corridori di quasi tutte le specialità (dal pavé alla montagna, passando per i cacciatori di classiche, mancano sostanzialmente solo velocisti e cronoman più puri) sembra far trasparire una sorta di equilibrio nel quale comunque è difficile addentrarci (quanto vale un GT, quanto vale una Monumento o una classica moderna,ecc ecc?). Quel che tuttavia si nota più di tutti è la necessità di costanza, quella continuità di rendimento che tanto viene invocata ma che così raramente viene poi applicata. Quella che i tifosi chiedono ai propri beniamini, per poterli vedere il più possibile in corsa, magari non solo per fare la gamba.

Ma allora vincere non conta più? Basterebbe piazzarsi per essere primi? Non proprio. Piazzarsi sempre permetterebbe di piazzarsi anche qui, ma non di primeggiare. Per primeggiare in questa classifica bisogna vincere: spesso (sempre è impossibile) e nelle corse importanti. Spesso criticati in passato perché eterni secondi, i due sfidanti attuali sono così in alto perché vincono spesso, corredando i loro successi con piazzamenti importanti, ma non viceversa. Per ribaltare la situazione, il campione olimpico ha dominato il pavé, sul quale ha vinto quattro corse su cinque alle quali ha partecipato, ma non ci sarebbe riuscito senza i suoi trionfi. Non sarebbe bastato.

Come si stabilisce il numero uno? Le specialità nel ciclismo sono talmente tante e soprattutto così diverse fra loro che sembra impossibile poter paragonare i corridori fra loro per stabilire una reale classifica di merito. Nel calcio non si può mettere a paragone un portiere con un attaccante e anche il paragone difensore-centrocampista, per quanto si possano vederci similitudini, è impresa ardua per chi ne conosce i meccanismi. Se nel tennis si può chiedere al campione di vincere su tutte le superfici, nel ciclismo non si può pensare che chi vince in volata possa vincere in salita. Esistono tuttavia sempre le sfumature, che son quelle che poi rendono unico ogni corridore. Quelle che potenzialmente lo rendono speciale, il numero uno.

In definitiva, che valore hanno queste classifiche? Tutto e nessuno. Valgono tanto perché permettono in maniera statistica di seguire l’andamento di un corridore, mostrando in maniera fredda (e talvolta impietosa) la sua evoluzione o involuzione, al netto di imprevisti, fortune o sfortune varie. Nel caso dell’UCI WorldRanking permette inoltre di mettere a paragone due stagioni, dando così anche una maggiore profondità alla possibile analisi. Valgono poco  o nulla invece nel momento in cui quel che conta è il palmarès, ovvero le corse vinte in carriera. Essere il numero uno dell’anno x probabilmente non vale la vittoria di un GT o di una Monumento…

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