Un Anno Fa…UCI, riforma a un passo: le squadre contrarie alle riduzioni e vorrebbero una parte dei diritti TV dagli organizzatori

Si accende il dibattito tra squadre e UCI. Come ogni anno, durante i Campionati del Mondo, si svolgerà la conferenza annuale del maggior organo di di governo del ciclismo durante la quale il presidente David Lappartient proporrà ufficialmente, a partire dal 2020, ulteriori riforme del WorldTour, quali la riduzione a quindici le squadre militanti nella massima serie del ciclismo professionistico e a sei il numero massimo di partecipanti per squadra agli eventi principali, tra cui Giro, Tour e Vuelta (che vorrebbe intanto ridurre a 17 giorni). Inoltre, vorrebbe introdurre un limite di budget per impedire a squadre con grandi capacità economiche, come Sky, di ingaggiare troppi corridori di primo piano. Misure che sarebbero volte, secondo il presidente UCI, a bilanciare tutto il sistema e a dare più spazio agli organizzatori che, con sole 15 squadre iscritte di diritto, potrebbero scegliere una fetta maggiore delle squadre al via dei propri eventi.

“Sono fiducioso di essere sulla strada giusta per raggiungere un accordo con tutti”, ha dichiarato recentemente Lappartient al sito Inside the Games, dopo un incontro con tutte le parti coinvolte nel ciclismo professionistico svoltosi poco tempo fa a Madrid, riferendosi a squadre, corridori e ASO.

Non sembra però essere esattamente così, almeno per quanto riguarda il punto di vista delle squadre, capitanate da Iwan Spekenbrink, Team Manager della Sunweb e presidente della AIGCP. Queste pagherebbero lo scotto più alto, con tre rappresentanti in meno nel WorldTour e quindi almeno 120 posti di lavoro a rischio, tra staff e corridori. Spekenbrink rimarca come le squadre della massima serie attirino dal mercato 410 milioni di euro, circa la metà di ASO e RCS, ma che, a differenza degli organizzatori delle corse, non creino profitti, tanto da far registrare frequenti ritiri da parte di sponsor anche di primo piano. Secondo l’associazione, ridurre il numero di squadre (nonché di corridori per squadra) non sarebbe la soluzione, in quanto aumenterebbe soltanto la competizione per accaparrarsi gli sponsor migliori, i quali, dal canto loro, si approfittano del fatto di essere l’unica loro fonte di sostentamento imponendo budget sempre più risicati.

“Vogliamo crescita e nessuna riduzione” ha aggiunto anche Richard Plugge, Team Manager della LottoNL-Jumbo e vicepresidente di AIGCP, sempre a Inside the Games dopo la riunione di Madrid. Le squadre indicano sport come il calcio (soprattutto la Champions League) o la Formula 1, come esempi in cui tutte le parti coinvolte uniscono le forze e coinvolgono le squadre nel ricavato dei diritti televisivi. Ma nel Tour, ad esempio, il flusso di entrate di diverse decine di milioni di euro va interamente all’organizzatore, ASO. I team vorrebbero quindi che l’UCI prendesse l’iniziativa al fine di ottenere una migliore distribuzione degli introiti minacciando, se non venisse fatto nulla, di scindersi in un World Tour Incorporated, una sorta di WorldTour indipendente dall’UCI.

Contro i 410 milioni di euro di investimenti e zero profitti delle squadre, secondo Spekenbrink, i vari organizzatori ottengono un profitto dal ciclismo di 260 milioni, circa 100 milioni dei quali prodotti esclusivamente dal Tour. Viene quindi criticata soprattutto la gestione “monopolistica” che ASO esercita nel ciclismo, soprattutto per quanto riguarda il Tour. ASO è un colosso del settore, grazie all’organizzazione, tra l’altro, di eventi importanti quali il Rally Dakar e molti altri nella vela, golf e ciclismo. Nel 2016 è stato raggiunto un profitto di quasi 46 milioni di euro con un fatturato di 220 milioni, secondo i dati diffusi lo scorso anno sul sito dell’INRNG.

Anche Lance Armstrong, assiduo frequentatore del Tour (e grande fautore, ai tempi, della globalizzazione di ASO), ha sottolineato in uno dei suoi podcast come ci sia “solo un’entità in questo sport che guadagna soldi e questa è l’organizzatore del Tour, ASO”, puntando anche il dito contro la CPA, anch’essa critica nei confronti di queste proposte, che, a suo dire, “non ha nessun potere e influenza” nei confronti degli organizzatori.

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