Il Tour de France 2025 è iniziato con alcune tappe molto emozionanti, ma la prima settimana di gara è stata scossa, come per certi versi prevedibile, da una serie di cadute. In particolare a farne le spese sono stati, per quel che riguarda i nomi più noti, Filippo Ganna (Ineos Grenadiers) e Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), costretti ad abbandonare la corsa. Molti altri corridori sono finiti a terra, ma per il momento tengono botta, a fronte quindi di una lista di ritirati che finora è relativamente “corta”. Il tema delle cadute e quello più ampio della sicurezza in gara rimane comunque uno dei più dibattuti nel mondo del ciclismo su strada.
Sul tema si è espresso uno dei “decani” del gruppo, Michael Woods, che di anni ne ha 38 e che sta affrontando il quinto Tour della sua carriera. “Finora sono riuscito a rimanere al sicuro – ha scritto il canadese sul suo sito Internet – Ma essendo stato spesso nelle retrovie del gruppo ho visto dal vivo parecchie cadute e quando vedi queste cose poi è difficile spingerle fuori dalla tua mente. Già alla presentazione della corsa, prima del Grand Départ, ASO (la società che organizza il Tour – ndr) ha proiettato il video degli highlights dell’edizione del 2024: c’erano vittorie, momenti epici e anche, ovviamente, le cadute”.
Woods aggiunge: “Non importa quello che possono dire, loro amano le cadute – scrive il corridore della Israel-Premier Tech – Nonostante i loro tentativi di rendere il ciclismo più sicuro, se guardi quello che diffondono, ti rendi conto che sangue, biciclette rotte e qualche povero derelitto che sale su un’ambulanza sono cose che a loro piace vendere. E quello che mi ha colpito durante quella presentazione è che uno dei capi di ASO, dopo aver parlato degli sforzi che hanno fatto per la sicurezza, ha sottolineato che molte delle colpe delle cadute sono dei corridori”.
Il corridore canadese racconta: “È stato detto qualcosa del tipo ‘i ciclisti devono adottare misure più ampie per ridurre i rischi e, se questo non accade, in futuro ‘dovrebbero essere costretti a indossare delle protezioni’. Lo ha detto come se fosse una specie di punizione e questo dice molto sul fatto che all’esterno non si capisce molto di quello che i corridori vogliono e, soprattutto, di come funziona il mondo dello sport. Se viene messa una linea da raggiungere, gli atleti, di qualsiasi sport, spingeranno al massimo per arrivarci, soprattutto se i soldi e le poste in palio sono molti: spetta agli organizzatori delle gare stabilire dove è giusto mettere quella linea e adattarla in base a quello che vogliono che il loro sport diventi. Che ASO dica ai corridori ‘dovete prendere meno rischi’ vale quanto l’NBA che dice a Steph Curry ‘devi tirare meno da 3 punti’. Non succede niente. Se l’NBA volesse meno tiri da 3 punti, sposterebbe più indietro la linea e se ASO e UCI vogliono davvero un ciclismo più sicuro, devono fare la stessa cosa”.
Woods fornisce la sua ricetta, composta di 4 punti principali: “Diminuire la velocità, ridurre il numero di corridori in gara, abbassare il numero di possibili distrazioni e ripensare al sistema delle licenze WorldTour e delle ‘retrocessioni’. Per quel che riguarda la velocità, servono limiti, ad esempio, sulle ruote – scrive Woods – Per le dimensioni del gruppo, posso dire che la gara in cui mi sono sentito più tranquillo è stata quella dei Giochi olimpici di Parigi 2024, quando c’erano 90 corridori in gara, mentre al Tour de France si parte con un numero doppio… Sulle distrazioni, sono d’accordo con Marc Madiot: noi corridori guardiamo troppo spesso il computerino sul manubrio e poi ci sono i direttori sportivi che ti urlano costantemente nelle orecchie. Senza questi stimoli, si creerebbe un ambiente molto più sicuro”.
Il canadese ha poi un punto di vista molto netto sulle retrocessioni e sull’attuale sistema di distribuzione delle licenze che, a suo dire, “è uno dei più grandi ‘colpevoli’ dell’aumento di cadute: adesso i corridori si prendono rischi per arrivare ventesimi e ogni squadra cerca modi per massimizzare la raccolta dei punti. Bisogna dare 20 licenze WorldTour e basta. Per me è molto strano che una squadra del massimo livello mondiale si trovi in qualche occasione a gareggiare con formazioni quasi dilettantistiche. Negli altri sport professionistici le categorie non si mischiano, come invece succede nel ciclismo“.