Pagelle Tour de France 2025: Pogačar domina e dà spettacolo, Vingegaard ancora piazzato – Saltano Evenepoel e Roglič, arriva un’onda nuova con Lipowitz, Onley e Johannessen – Van der Poel incide, Van Aert si regala una giornata memorabile

Tadej Pogačar (UAE Team Emirates XRG), 10 e lode: E sono quattro. Lo sloveno completa un nuovo, splendido, capolavoro, dimostrandosi una volta di più il corridore più forte e completo in circolazione, oltre che il campione che sta segnando questa epoca ciclistica. Chiude con un vantaggio sostanzioso sul rivale Vingegaard e con un divario enorme rispetto a tutti gli altri, portando a casa quattro vittorie e anche altrettanti secondi posti di giornata. Il suo successo finale, coronato con una spettacolare esibizione a Montmartre, non è stato praticamente mai in discussione e probabilmente questo ha causato delle tensioni di troppo, nell’ambiente – esterno – circostante, che lo hanno logorato più del dovuto, soprattutto dal punto di vista mentale. Tadej è un patrimonio di questo sport e forse meriterebbe qualche “coccola” in più e qualche critica gratuita in meno.
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Jonathan Milan (Lidl-Trek), 9,5: Due vittorie di tappa e una Maglia Verde meritata e sofferta sono un bottino probabilmente ancor più roseo di quanto lui stesso si potesse aspettare dall’esordio alla Grande Boucle. Perfettamente scortato dai compagni, tra i quali nuovamente i fidati Simone Consonni (7), perfetto finché una brutta caduta non ne minasse le possibilità, e il generoso Jasper Stuyven (7), supera indenne tutte le giornate difficili, ma va sottolineata anche la grande determinazione ai TV, andando a volte anche a prendersi punti, o perlomeno provarci, dove forse non ci si aspettava.
Florian Lipowitz (Red Bull-Bora-hansgrohe), 9,5: Le prime giornate di gara sembravano averlo condannato, ma già con la cronometro il tedesco ha iniziato una rimonta che con l’arrivo delle montagne vere ha messo rapidamente in pratica. Da Hautacam in poi in salita è stato per costanza il migliore alle spalle dell’inarrivabile coppia, tanto che senza la mezza follia verso il Col de la Loze podio e Maglia Bianca non sarebbero mai stati in discussione. Rimette poi tutto in chiaro verso La Plagne e anche l’azione di Parigi ribadisce il suo carattere. Arrivato tardi al ciclismo, potrebbe avere ancora importanti margini di progressione.
Jonas Vingegaard (Visma | Lease a Bike), 9: Due giornate storte fanno aumentare notevolmente il suo distacco dal vincitore, che altrimenti quest’anno è riuscito quasi sempre a seguire, contenendo i danni quasi sempre a pochi secondi. Dovrà riflettere sul perché e come sono arrivate quelle due giornate difficili, che ne hanno probabilmente anche minato la tempra facendolo dubitare più di quanto abbia voluto ammettere. Resta il fatto che alle spalle di Pogacar c’è sempre lui e dopo di lui un ulteriore abisso.
Oscar Onley (Team Picnic PostNL), 8,5: Classe 2002, il britannico capitalizza il salto di qualità che fin da inizio stagione aveva iniziato a mostrare. Sempre presente nelle posizioni di testa sin dalle primissime tappe soffre solo nella prima cronometro, di certo non adatta alle sue caratteristiche, altrimenti è sempre fra i migliori, subito dietro i due grandi sfidanti, che in alcune circostanze riesce anche a seguire da molto vicino. Lotta per podio e Maglia Bianca fino alla fine, sembrando anche sul punto di farcela. Ma sembra solo questione di tempo…
Thymen Arensman (Ineos Grenadiers), 8,5: Ancora una volta parte malissimo, ma ancora una volta trova il modo di ribaltare la situazione. Dopo una prime metà di gara da incubo, segnata da una sfortuna che con gli anni si comincia a fare fatica a considerare solo tale, quando arrivano le salite comincia a tirare fuori la testa dal buco. Secondo sul Mont-Dore, a Superbagnères ottiene il suo primo trionfo dopo l’ennesima lunga fuga e dopo altri due tentativi è a La Plagne che confeziona il suo capolavoro, vincendo in un confronto diretto con i big.
Ben Healy (EF Education-EasyPost), 8,5: Tre fughe, tre podi di tappa (di cui un successo che gli regala anche due giorni in Maglia Gialla) e un bel nono posto finale per il grintoso folletto irlandese, che approfitta di ogni situazione per lanciarsi all’attacco, ribaltando qualsiasi situazione difficile vissuta in precedenza. Spesso criticato per il suo atteggiamento non sempre riflessivo, stavolta il gettare il cuore oltre l’ostacolo ha dato frutti molto dolci.
Tim Wellens (UAE Team Emirates XRG), 8,5: Ormai fedelissimo di Tadej Pogacar, il suo eccezionale lavoro al servizio dello sloveno viene premiato con un paio di giornate di libertà che gli consentono di lasciare a sua volta il segno sul palmarès della corsa, regalandosi così la piccola tripla corona iniziata ormai nove anni fa al Giro. Eclettico tuttofare, risponde sempre presente quando chiamato in causa, spesso in mezzo al grande lavoro di Nils Politt (8,5) e del sorprendente Jhonatan Narvaez (8,5), mai visto così forte sulle grandi salite, dove sembra riuscire a supplire al lavoro di un Adam Yates (5,5) piuttosto evanescente, di un Marc Soler (6) meno incisivo e di un sofferente Pavel Sivakov (6).
Tobias Johannessen (Uno-X Mobility), 8: Dopo la bella prestazione al Giro del Delfinato non si può parlare di sorpresa, ma il norvegese mostra sulle tre settimane una solidità che ancora non gli apparteneva, tanto da essere uno di coloro che con il passare dei giorni ha sempre guadagnato posizioni. Atteso da tempo al salto di qualità, il classe 1999 sembra essere finalmente riuscito nel suo intento correndo sempre bene, provando anche qualche volta ad uscire dal gregge per provare qualcosa di diverso.
Tim Merlier (Soudal Quick-Step), 8: Vince il 100% delle volate a cui prende parte, ovvero due, mettendosi alle spalle ogni volta Milan. Un bilancio più che soddisfacente alla fine della giostra, anche se è evidente che anche riuscire a farsi trovare davanti per disputare la volata fa parte dei compiti di un buon velocista. Va comunque sottolineato che la squadra non è tutta per lui e a volte i suoi uomini spendono già molto prima, faticando a farlo risalire nelle fasi finali.
Felix Gall (Decathlon AG2R La Mondiale), 8: Il quinto posto finale è il suo miglior risultato in carriera in un GT e farlo al Tour de France non è certo cosa da poco. Lo scalatore austriaco non parte benissimo, ma quando arrivano le salite lui sostanzialmente è sempre presente, facendosi anche notare per intraprendenza e la voglia di non subire passivamente la corsa. Un atteggiamento che, ben scortato da compagni solidi e pronti a tirare per lui come Callum Scotson (7) e Aurélien Paret-Peintre (6,5) gli consente di risalire posizioni su posizioni e portarsi a casa un risultato importante.
Mathieu Van Der Poel (Alpecin-Deceuninck), 8: Si presenta all’appuntamento tirato a lucido e va a segno a modo suo nella seconda tappa, tenendosi dietro Tadej Pogačar e andando a prendersi anche la Maglia Gialla, tenuta poi addosso per tre giorni. Nell’arco del suo Tour ci sono poi un secondo posto, dietro il rivale da classiche sloveno, un terzo che è un po’ un’occasione persa e tanti tentativi di rendere la corsa complicata per gli altri, tanto che fra la tappa 6 e la tappa 15 va per cinque volte in fuga. Si arrende a un malanno, ma si conferma, caso mai ce ne fosse stato bisogno, protagonista entusiasmante.
Simon Yates (Visma | Lease a Bike), 7,5: Va a corrente alternata, ma dopo il successo al Giro d’Italia non era semplice trovare le forze fisiche e mentali. Non proprio ineccepibile nel suo supporto al capitano che invece ha potuto contare su un Victor Campenaerts (8) che forse non si era mai visto così forte e su un ineccepibile Edoardo Affini (7), lotta comunque sempre fino all’ultima goccia di sudore per provare a essere utile, e quando ha l’occasione per lasciare il segno non se la lascia sfuggire, al contrario di un Sepp Kuss (6,5) quest’anno molto meno incisivo.
Jonas Abrahamsen (Uno-X Mobility), 7,5: Un infortunio a poco più di due settimane dal via sembrava costringerlo a dover rinunciare alla Grande Boucle, ma con grande caparbietà si fa trovare pronto e da subito è fra i più attivi della corsa, mostrando una potenza che pochi possono eguagliare. Il giorno di gloria è in quel di Toulouse, coronando una intera giornata all’attacco per un ordine di arrivo che mette ben in chiaro le sue qualità visto chi si è messo alle spalle.
Kaden Groves (Alpecin-Deceuninck), 7,5: Arrivato per fare il terzo uomo, diventa rapidamente il secondo e non sfigura in un ruolo abbastanza inedito per lui. Il destino poi gli consente di ritrovarsi ancora più avanti nelle gerarchie e nuovamente risponde presente, conquistando un successo inatteso, soprattutto più per la forma che per il risultato in sé. Velocista capace di andare a dire la sua contro i big della specialità, ha anche qualità in salita che meriterebbero di essere approfondite anche fuori dai GT, dove ormai è una garanzia con i suoi dieci successi in sette partecipazioni.
Ben O’Connor (Team Jayco AlUla), 7,5: Perde all’ultimo una top10 che comunque non avrebbe cambiato molto sul suo giudizio. Sfortunato nelle prime giornate, con un paio di cadute che ne minano corpo e spirito, cerca di raddrizzare la situazione con una serie di fughe che inizialmente non fanno che confermare le sue difficoltà. Sul Col de la Loze trova tuttavia una delle sue giornate di grazia e si prende una vittoria che ribadisce tutto il suo talento.
Kevin Vauquelin (Arkéa-B&B Hotels), 7,5: Brillante e determinato nelle prime tappe, che lo vedono anche spesso sfidare i big con azioni che meriterebbero più fortuna, quando arrivano le grandi salite comincia a soffrire, ma non si spezza, trovando sempre il modo di gestirsi e tenere in piedi la baracca, anche grazie a ottime prestazioni a cronometro che bilanciano la situazione. Si piega ma non si spezza, tanto che anche nell’ultima tappa prova a dire la sua, pur non avendo più le energie per stare con i migliori.
Valentin Paret-Peintre (Soudal Quick-Step), 7,5: Dopo la vittoria al Giro lo scorso anno si prende quest’anno un successo di grandissimo prestigio trionfando sul Mont Ventoux, dove si dimostra fondamentale anche il compagno Ilan Van Wilder (6,5) così come Pascal Eenkhoorn (6,5) prima di lui. Una giornata di gloria che arriva dopo la doccia fredda del ritiro del suo capitano e che riscatta un po’ per tutto il tanto bistrattato comparto salite del team belga. Ci riprova in seguito, senza fortuna, ma confermando di essere corridore capacee di crescere nelle tre settimane.
Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), 7,5: C’è poco, ma in quel poco che c’è riesce a concludere più di quanto facciano la maggior parte dei corridori del gruppo. Primo vincitore e logicamente prima Maglia Gialla di questa edizione, non può ripetere la razzia delle passate stagioni a causa di una sfortunata caduta nella terza tappa, ma per come era partito, e per come i suoi due gregari più forti si son comportati dopo, sembra plausibile che avrebbe avuto ancora modo di dare sfoggio di sé.
Quinn Simmons (Lidl-Trek), 7,5: Non vince in prima persona, complice forse anche una gestione tattica non proprio perfetta, ma i successi parziali e la Maglia Verde del suo capitano passano anche dalle sue gambe. Instancabile metronomo in testa al gruppo, sempre pronto a sacrificarsi per il suo capitano, trova spesso anche il fare sfoggio della sua sgargiante maglia di campione americano con azioni dalla distanza nelle quali è spesso fra i più forti, ma mai il più furbo.
Wout Van Aert (Visma | Lease a Bike), 7: L’impresa dell’ultimo giorno gli regala la gloria in un Tour che altrimenti era nel complesso deludente, salvato probabilmente solo dal lavoro di gregariato. A parte l’exploit dell’ultimo giorno, in cui si è rivisto in tutto il suo splendore in una giornata tutt’altro che semplice, in precedenza in prima persona non era mai riuscito a graffiare, apparendo la maggior parte delle volte fuori tempo o fuori fase. Rispetto a colui che pochi anni fa riusciva nell’impresa di vincere su ogni terreno, intervallando i suoi successi con un lavoro eccezionale per il capitano tanto da staccare anche Pogacar, sembra ancora mancare qualcosa, chissà se più di gambe o di testa.
Jordan Jegat (TotalEnergies), 7: Di certo non il più appariscente, il 26enne francese corre con grande intelligenza e pur senza brillare riesce progressivamente a migliorare la sua classifica con il passare dei giorni e con tre fughe ben assestate si regala una Top10 che alla partenza era decisamente insperata, ma non per questo meno meritata.
Romain Grégoire (Groupama-FDJ), 7: Il giovane talento transalpino parte benissimo, con due Top5 nelle prime quattro tappe che ne ribadiscono le qualità anche ad altissimi livelli e contro grandi rivali. Si vede poi abbastanza poco, forse cercando troppo di preservarsi, ma effettivamente è di nuovo pronto a lasciare il segno il penultimo giorno, quando sembra il più forte all’attacco ma una sfortunata scivolata lo taglia fuori dai giochi, pur permettendogli di prendersi un nuovo quinto posto, questa volta con molti più rimpianti.
Julian Alaphilippe (Tudor Pro Cycling Team), 6,5: Il livello non è più quello dei giorni migliori, o forse son cresciuti gli altri attorno a lui, ma la grinta all’ex iridato non manca e ci prova spesso e volentieri, senza timori riverenziali, che sia da lontano o cercando di anticipare sapendosi battuto. Un atteggiamento che il pubblico apprezza sempre, facendone sempre uno dei corridori più amati. Peccato gli sia mancato il supporto e il ricambio da parte di uno scialbo Marc Hirschi (5), mentre lui è stato a sua volta sempre pronto anche al lavoro per i compagni, come nel supportare e lanciare quando poteva un Michael Storer (6,5) meno brillante rispetto al Giro, ma comunque a sua volta intraprendente.
Bruno Armirail (Decathlon AG2R La Mondiale), 6,5: È fra i più attivi di questa edizione che lo vedono cercare la fuga ogni volta possibile, sempre senza sottrarsi poi ai suoi doveri verso i propri capitani. Il miglior risultato arriva nella cronometro di Caen, chiusa al quarto posto, battuto solo dai grandissimi.
Simone Velasco (XDS Astana), 6,5: Due Top10, un podio sfiorato e quattro giornate in fuga per l’ex campione italiano che ci ha provato spesso e volentieri in questo Tour de France. Malgrado le polemiche, a Pontarlier avrebbe anche potuto raccogliere qualcosa in più se la sfortuna non ci avesse messo lo zampino. Ha trovato la sua dimensione ed è un corridore che può lasciare il segno.
Ivan Romeo (Movistar), 6,5: L’unica nota lieta della sua squadra, probabilmente. Spesso all’attacco mostrando le sue grandi qualità, si fa notare per la sua grande potenza e senza la sfortuna che in paio di occasioni lo colpisce chissà come sarebbe andata. Come lui, in squadra ci provano spesso anche Einer Rubio (6) e Pablo Castrillo (6), che tuttavia a loro volta non riescono a lasciare il segno.
Remco Evenepoel (Soudal Quick-Step), 6: Partiva con grandi aspettative, ma nelle primissime tappe ha mostrato subito qualche difficoltà, perdendo secondi qua e là. Il suo momento migliore rimane la vittoria nella cronometro di Caen, dove non era riuscito a fare quella differenza che ci si poteva attendere solo per la giornata eccezionale del solito sloveno. Poi, in corrispondenza dei Pirenei, il crollo definitivo: più tardi si è scoperto che le sue condizioni, alla partenza, erano tutt’altro che ideali: reggere un intero Tour, corso in maniera febbrile praticamente tutti i giorni, sarebbe stata una missione impossibile. E infatti, è fallita.
Carlos Rodríguez (Ineos Grenadiers), 6: Comincia maluccio, a conferma di una condizione generale che rimane lontana da quella toccata nei suoi momenti migliori. Uscito di classifica, prova a diventare uomo da fuga, con alterne fortune, ma i vari generosi tentativi gli permettono di rientrare nella prima pagina della generale. Una caduta, però, lo taglia definitivamente fuori dalla contesa, costringendolo al ritiro.
Primož Roglič (Red Bull-Bora-hansgrohe), 6: Parte male, poi un crescendo lo vede arrivare a sfiorare un podio che non esita ad assaltare con due azioni coraggiose che probabilmente si rivelano anche controproducenti, ma ha il merito di essere sostanzialmente l’unico dei big non arrendersi e decidere di prendere di petto la situazione e cercare di contrastare il dominio delle due grandi squadre. Chiude alla fine ottavo, molto lontano dai migliori, ma anche se si pensa che erano cinque anni che non arrivava a Parigi anche questo è già un successo.
Axel Laurance (Ineos Grenadiers), 6: Un Tour de France quasi interamente controtempo per il francese che tutto sommato dimostra costanza e buone gambe, ma non riesce mai a sfruttarle, portandoci comunque a casa tre top10 e la consapevolezza che le qualità ci sono.
Luke Plapp (Team Jayco AlUla), 6: Si fa notare nelle due cronometro, soprattutto la cronoscalata di Peyragudes, ma nelle tappe in linea è quasi evanescente. Ci si aspettava sicuramente di più, ma paga probabilmente le fatiche di un Giro che lo ha visto vincere prima dello sfortunato ritiro.
Eddie Dunbar (Team Jayco AlUla), 5,5: Esce subito di classifica e si ritrova a dover perseguire obiettivi parziali. Ci prova entrando nella fuga regale della sesta tappa e porta a casa un discreto quarto posto. Il giorno successivo, però, finisce coinvolto in una caduta ed è costretto a salutare la corsa.
Santiago Buitrago (Bahrain Victorious), 5,5: Arrivato con ambizioni di Top10, il colombiano inizia in sordina, ma tiene comunque botta sinché una caduta lo vede perdere molto tempo e lo lascia debilitato. Prova comunque quando può la fuga, trovando un terzo posto sul Ventoux comunque degno di nota, segno della sua determinazione. Ma le ambizioni erano chiaramente molto più alte.
Alexey Lutsenko (Israel-Premier Tech), 5,5: Tante fughe, parecchia buona volontà, ma non riesce mai a lasciare veramente il segno. Il miglior risultato è così una Top20 che decisamente non basta per un corridore che in passato era entrato anche due volte nei primi dieci della classifica finale.
Arnaud De Lie (Lotto), 5,5: Non arriva in condizioni fisiche ideali e paga pegno. Con il passare dei giorni sembra emergere, raccogliendo quattro Top5, di cui un podio, e si fa anche vedere all’attacco quando riesce. Alla fine il bilancio tuttavia non arriva alla sufficienza, malgrado l’impegno e l’abnegazione.
Phil Bauhaus (Bahrain Victorious), 5,5: Non era di certo tra i velocisti più attesi, ma ci si aspettava anche più regolarità da un corridore che comunque in carriera aveva già sfiorato la vittoria alla Grande Boucle. Alla fine riesce a disputare solo due volate, chiuse con un podio e un settimo posto.
Biniam Girmay (Intermarché-Wanty), 5: Rispetto allo scorso anno, decisamente un altro corridore. A parte il secondo posto nella frazione inaugurale, gli unici altri suoi piazzamenti nella top-10 sono due sesti posti in altrettante volate. Di conseguenza, impossibile per lui competere nuovamente per la Maglia Verde, venendo anche sempre battuto da Milan ai traguardi volanti. La sfortuna ci mette poi lo zampino, ma il grosso era già stato (non) fatto.
Dylan Groenewegen (Team Jayco AlUla), 5: Le occasioni per i velocisti non erano molte, ma lui le manca praticamente tutte, non riuscendo mai ad entrare nei primi dieci in nessuna delle quattro tappe conclusesi con una volata a ranghi compatti.
Harold Tejada (XDS Astana), 5: Qualche fuga tentata e una sola Top10 ottenuta per il colombiano, che non è mai realmente riuscito a incidere anche quando era davanti. La situazione in cui lo si è visto maggiormente è quando lottava in coda a un gruppo che però raramente era ridotto come ci aspetterebbe quando molla uno scalatore con il suo pedigree.
Pascal Ackermann (Israel-Premier Tech), 5: Due piazzamenti nella top-10 nelle tre volate alle quali riesce a prendere parte e niente altro. Non molto meglio negli sprint fa il compagno Jake Stewart (5,5), che poi ci prova con qualche fuga, chiudendo sesto nella penultima tappa.
Bryan Coquard (Cofidis), 5: Di fatto non gliene va bene una. Si ritrova involontariamente coinvolto nell’incidente che toglie di mezzo Jasper Philipsen e poi, qualche giorno dopo, è costretto a ritirarsi per via di un infortunio accusato al rifornimento fisso, nel momento in cui si trovava peraltro in fuga. La squadra contava molto su di lui e sulla sua capacità di ricamare piazzamenti, ma stavolta il disegno è venuto male, dato che, anche prima del ritiro, aveva portato a casa solo un settimo posto come miglior risultato.
Matteo Jorgenson (Visma | Lease a Bike), 5: La grinta non gli è mancata, ma è lontano dal risultato che ci si aspettava da lui. Secondo uomo in casa Visma, parte fondamentale del piano per cercare di sfiancare il grande rivale del suo capitano, lo statunitense è crollato nel momento decisivo e per quanto ci abbia poi provato, non è più riuscito realmente a incidere, non riuscendo neanche a dare davvero il suo contributo alla causa.
Guillaume Martin (Cofidis), 5: Continua a non riuscire a trovare la sua dimensione. Non riesce a rimanere a lungo in classifica né, poi, a lottare concretamente per un successo di tappa. Chiude in netto calo un Tour nel quale ha sempre faticato molto. Il fatto che questo commento di dodici mesi fa funzioni anche oggi la dice lunga…
Magnus Cort (Uno-X Mobility), 5: Di occasioni per lui sembravano essercene molte, ma si vede decisamente poco, soprattutto nel confronto con i compagni, visto che la sua squadra è sempre stata fra le più attive. Se il suo supporto sarà stato sicuramente utili in termini di esperienza, ci si aspettava sicuramente qualcosa di più da un corridore con le sue qualità e caratteristiche.
Cofidis, 4: Assente da quasi tutte le grandi azioni di questa edizione, ma spesso anche dalle piccole, gli uomini della formazione di Cedric Vasseur concludono la corsa in quasi completo anonimato per un flop complessivo che nella corsa più importante di casa e del mondo è molto pesante. Tanto più per un team che lotta per non retrocedere.
Enric Mas (Movistar), sv: Comincia bene e sembra potersi inserire quantomeno nella lotta per il podio, ma la cronometro si conferma una tassa troppo alta da pagare. Una volta scivolato indietro in classifica, prova a dare un senso al suo Tour con le fughe, ma anche in questo caso gli manca qualcosa per brillare, soprattutto lungo l’ascesa al Mont Ventoux. Qualche giorno dopo si ritira, mettendo la parola fine a un Tour amaro, per lui e per la sua squadra.
Mattias Skjelmose (Lidl-Trek), sv: Arrivato impreparato a seguito di problemi fisici, non è ben chiaro se e quanto voglia rimanere in classifica, tanto che si ritrova a galleggiare per una decina di giorni in acque di mezzo, senza particolari possibilità di brillare. Quando l’obiettivo-generale si offusca definitivamente, entra nell’ordine delle idee da fuga, ma il primo tentativo non va a buon fine. Poi, un errore di guida lo porta al ritiro, chiudendo così un Tour abbastanza anonimo.
Søren Wærenskjold (Uno-X Mobility), sv: Parte bene con un podio e un quarto posto in tre tappe, poi una caduta sostanzialmente gli toglie le possibilità di riprovarci.
João Almeida (UAE Team Emirates XRG), sv: Arriva con il chiaro compito di supporto al suo super-capitano, ma nelle primissime tappe, comunque poco adatte alle sue caratteristiche, non riesce a essere nel cuore dell’azione. La sua area di lavoro sarebbero state probabilmente le tappe di montagna, a cui però non arriva a causa di una caduta che lo costringe al ritiro.
Lennert Van Eetvelt (Lotto), sv: Era uno dei corridori più giovani più attesi al via, ma una caduta nelle primissime fasi della corsa lo fa subito uscire di classifica e lo condiziona per tutto il resto della gara. Si ritira alla fine della seconda settimana, senza aver mai avuto modo di incidere.
Filippo Ganna (Ineos Grenadiers), sv: Il suo Tour de France dura pochissimi chilometri e finisce a causa di una caduta. Assolutamente ingiudicabile.
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