Coronavirus, e se la pandemia si riacutizzasse? “Il ciclismo professionistico ha bisogno di flessibilità, creatività e sperimentazione”
Il Coronavirus è ormai lo spauracchio di tutti. Il mondo del ciclismo, come tutto quello dello sport, spera di potersi buttare alle spalle il peggio nel giro di pochi mesi, ma gli esperti già ammoniscono riguardo un possibile riacutizzarsi della pandemia con il ritorno delle basse temperature in autunno. Inoltre, le conseguenti variazioni in calendario influiranno sulla preparazione dei corridori sia per quest’anno che per l’anno prossimo. Per questo sarebbe necessario che gli organi preposti pianifichino già oggi tutti gli scenari possibili. Come osserva Laura Weislo di Cyclingnews, se tutto dovesse andare per il meglio, la riprogrammazione del Tour de France rappresenterebbe un importante ritorno alla normale, ma “nel peggiore dei casi, potrebbe essere un incubo per la salute pubblica e le pubbliche relazioni che potrebbe danneggiare irreparabilmente lo sport”.
Gli ultimi studi prevedono un rischio di nuovi focolai di Covid-19 fino al 2022, che renderanno molto difficile la programmazione degli eventi sportivi. “Il ciclismo professionistico ha bisogno di flessibilità, creatività e sperimentazione” viene osservato, ponendo la questione di “come può il ciclismo continuare ad andare avanti di fronte a continue interruzioni del calendario”. Un supporto importante può arrivare dagli ESports, settore rivolto soprattutto ai giovanissimi che nel 2018 ha fatturato 138 miliardi di dollari e che finora il ciclismo professionistico aveva del tutto snobbato. Gli eventi recentemente organizzati, tra cui il Giro delle Fiandre e il Giro Virtual potrebbero rappresentare interessanti alternative alle corse “reali” in caso di sospensioni temporanee del calendario, ma al momento l’UCI non sembra interessata a investire in questa voce.
Nell’articolo si sottolinea anche come ASO non abbia particolarmente nemmeno coinvolto gli spettatori, come fatto ad esempio da Flanders Classics, con filmati del passato, concentrandosi invece unicamente sul Tour de France 2020, che pare si svolgerà proprio in concomitanza di un possibile nuovo picco della pandemia. Con questa possibilità all’orizzonte, molti politici locali non sembrano essere entusiasti all’idea di ospitare eventi affollati: “La prospettiva di un raduno di massa è nella migliore delle ipotesi trascurabile fino a quando non arriviamo all’immunità del gregge e a un vaccino – ha spiegato il governatore della California – Eventi così su larga scala che portano centinaia, migliaia, decine di migliaia di estranei non sono sulla carta in base alle nostre linee guida e alle aspettative attuali”.
Se il Covid-19 dovesse tornare a ogni stagione invernale, come la classica influenza, andrebbe quindi preso in considerazione un totale cambiamento dell’assetto del ciclismo professionistico così come lo conosciamo. Un evento come il Tour de France coinvolge non soltanto squadre e ciclisti, ma anche staff, pubblico, ristoratori, albergatori etc… ed è impossibile pensare di mettere in piedi un evento di questa portata senza la possibilità di garantire al 100% la salute di tutti tramite “test precisi e rapidi“. Gli stessi organizzatori a partire da ASO, viene ancora osservato, rischierebbero anche grosso dal punto di vista legale in caso di focolai all’interno della carovana.
A questo punto Laura Weislo torna sulla necessità di ripensare il ciclismo in modo creativo, magari riavvicinando corse come il Tour de France all’epoca dei grandi pionieri: “Forse dovrebbero far assomigliare la gara meno al 2019 e più al 1919, con piccoli gruppi di ciclisti sparsi su vaste distanze con poco o nessun supporto. Corridori come Geraint Thomas, Willie Smit, Robert Gesink e Laurens De Vreese hanno fatto allenamenti esagerati, perché non fare tappe di 380 chilometri in 48 ore?” si chiede in chiusura.
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