Australia, dopo il carcere la nuova vita dell’ex pro’ Jack Bobridge: “Spero che la mia storia aiuti anche solo una persona convincendola a non fare quello che ho fatto io”

Jack Bobridge è tornato in libertà e racconta la sua difficile storia. L’ex corridore australiano, che in carriera aveva conquistato tappe all’Eneco Tour (oggi Renewi Tour) e al Tour Down Under oltre a numerosissimi successi su pista, nel 2019 era stato condannato dalle autorità australiane a 4 anni di reclusione per spaccio di sostanze stupefacenti dopo che era stato accusato insieme ad un altro ex corridore, Alex McGregor, di aver venduto oltre 300 pillole di ecstasy.

Dopo essere stato rilasciato dal carcere avendo scontato solo 2,5 dei 4 anni previsti dalla condanna iniziale, l’australiano si è ricostruito una vita totalmente lontana dal ciclismo e negli ultimi giorni è tornato a parlare pubblicamente nel talk show americano A Current Affair, raccontando la sua storia a partire dal ritiro dalle corse, causato dall’artrite reumatoide, fino ad arrivare ad oggi, dove ha deciso di parlare apertamente delle sue difficoltà con la speranza di poter aiutare altre persone che affrontano le sue stesse difficoltà.

Bobridge racconta del grande contraccolpo psicologico che il ritiro forzato ha avuto su di lui nel 2016, quando appese la bici al chiodo: “Ad un certo punto per me era diventato difficile anche solo alzarmi dal letto – spiega l’australiano raccontando della sua malattia, sindrome autoimmune caratterizzata dall’infiammazione delle articolazioni – Non riuscivo ad indossare le calze talmente era forte il dolore che provavo, pensare di allenarmi era impossibile. Dopo il ritiro improvvisamente era come se non ci fossero più barriere. Potevo fare quello che volevo quando lo volevo. Ho assunto tante droghe, e ovviamente ho anche procurato droghe ai miei amici. Alcuni dicono che spacciassi, ma io non ho mai guadagnato da quell’attività”.

Nonostante sia ormai un uomo libero già da alcuni anni, Bobridge ricorda molto bene il periodo buio trascorso in carcere: “È stato difficile soprattutto per le persone intorno a me. Le avevo deluse. Anche mia figlia, era così giovane in quel periodo. Non aveva realizzato quello che era successo. Io però mi prendo la piena responsabilità di quello che ho fatto. Mi piacerebbe però che ci fosse più supporto per gli ex atleti. Durante la carriera diamo il 100% al nostro sport e al nostro paese. Ma una volta che ci si ferma tutto ti cade addosso. Rimani da solo, io non ho più ricevuto nessuna chiamata o nessuna email. Non c’è stato più nulla dopo il ritiro. È stato come se fossi scomparso”.

In conclusione l’ex campione del mondo, oggi impiegato nel mondo dell’edilizia, spera che la sua storia possa essere da monito per gli altri: “Spero di riuscire ad aiutare anche solo una persona per convincerla a non fare quello che ho fatto io. Alzare la mano e chiedere aiuto non è un segno di debolezza. Io non l’ho fatto e sono finito qui”.

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