Simon Geschke e i suoi 16 anni da pro: “Il ciclismo è la mia casa, ma ora vedo meno divertimento”
Simon Geschke ha visto cambiare il ciclismo nel corso dei suoi 16 anni di carriera. Lo scalatore tedesco al termine di questa stagione dirà appenderà la bici al chiodo e, raccontandosi in una lunga intervista alla rivista Rouleur, ha voluto parlare di quanto si è evoluto il ciclismo professionistico nell’arco di tutti questi anni. Il 38enne, che ha corso le ultime quattro stagioni in maglia Cofidis, ha voluto evidenziare il fatto che, secondo lui, ora il ciclismo e i ciclisti siano meno divertenti rispetto a quando lui aveva fatto il suo debutto nel professionismo, nel 2009 con la Skil-Shimano.
“Tutto è super serio: tutti sono sotto pressione per i contratti; le squadre sono sotto pressione per il sistema di retrocessione dell’UCI; gli sponsor devono essere soddisfatti – ha detto Geschke a Rouleur – Certo, ci piace correre al Tour de France e alle grandi classiche con tutta l’attenzione e gli spettatori, ma il divertimento non è più la priorità numero uno. Nei miei primi anni, facevamo corse di resistenza e un po’ di intensità durante i training camp di dicembre e poi bevevamo qualcosa ogni sera. Non ci ubriacavamo di brutto, ma restavamo svegli per un po’. Facevamo amicizia. Ora a dicembre ci alleniamo duramente e magari beviamo una birra solo una sera. Tutti hanno capito che se si vuole rimanere ad alto livello, non si può più uscire. E comunque non c’è nessuno che esca con te, quindi sei costretto a rimanere in camera!”.
Geschke per parecchi anni è stato l’unico ciclista vegano in gruppo, ma è anche stato uno dei pochi atleti che ricorda ancora di essersi allenato senza l’aiuto del misuratore di potenza e senza rigidi programmi di allenamento. “Ho avuto il mio primo misuratore nel 2009 e ha cambiato tutto: mi ha permesso di controllare molto meglio l’allenamento, di vedere ogni pedalata. Da allora l’allenamento è cambiato molto. Ora ci sono molti intervalli intensi da fare e a volte è opprimente stare al passo con tutto – ricorda lo scalatore classe 1986 – Nel corso degli anni è diventato più complicato pedalare insieme ai compagni di squadra o ad altri professionisti, perché ognuno ha i propri intervalli da fare. Non si può avere un mese facile ora: bisogna essere in forma da dicembre fino alla fine della stagione. All’inizio della mia carriera, la gente era più rilassata e non era necessario essere concentrati al 100% per tutto l’anno, ma oggi tutti hanno un livello altissimo al Tour Down Under di gennaio”.
Ad essere cambiate radicalmente in questi 16 anni sono anche le tattiche di gara. “Ora molte corse sono gestite in modo diverso e ho la sensazione che molti ragazzi siano felici di correre per i posti più bassi perché sanno che quando Pogačar, Vingegaard, Remco [Evenepoel, ndr] sono lì, se li seguono esplodono. Lo stesso accade nelle classiche con Mathieu van der Poel e Wout van Aert – ammette il tedesco, che però vede anche cambiamenti in positivo – Ma lo sport è in una situazione migliore. Se si guarda a quello che succedeva nel 2009, con ancora alcuni casi di doping, oggi non ci sono scandali e credo assolutamente che non sia perché i corridori nascondono meglio [le sostanze proibite, ndr], ma perché lo sport è più pulito. Il Tour è tornato in TV in Germania e il ciclismo sta ricevendo l’attenzione che merita perché è uno sport bellissimo”.
La moglie di Geschke tra poche settimane darà alla luce il loro primo figlio, e per il 38enne ora è arrivato il momento di pensare al futuro, che non sarà più seduto su un sellino a pedalare, ma gli permetterà comunque di rimanere dentro al mondo del ciclismo. “Non credo di voler fare il DS, ma il ciclismo è la mia casa, è la cosa che conosco meglio – riflette – Non sono sicuro della squadra o della funzione che voglio svolgere, ma so che ci saranno delle opportunità”.
In carriera il tedesco ha vinto solo tre gare, ma tra queste c’è la fantastica fuga della 17esima tappa al Tour de France 2015. “Vincere una tappa del Tour de France è quello che tutti sognano. È il più grande risultato per qualsiasi ciclista professionista ed è il mio highlights personale, il risultato di cui sono più orgoglioso – commenta Geschke, che poi parla anche delle tantissime corse vissute al servizio dei propri capitani – Tutti coloro che iniziano a pedalare vogliono vincere, ma solo il 10% dei corridori, forse meno, vince regolarmente le gare. Non ero un corridore in grado di sprintare molto bene e non ero uno scalatore di livello mondiale: ero una via di mezzo. Sono salito sul podio in un paio di grandi corse e sono arrivato tra i primi 10 nell’Amstel Gold Race e nella Freccia Vallone, quindi sono risultati di cui vado fiero. Vincere per me è stato piuttosto difficile, ma il successo non è sempre il numero di vittorie che si ottengono. Il successo per me è stato anche aiutare Marcel [Kittel, ndr] e Tom [Dumoulin, ndr]”.
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