EF Education-EasyPost, Jonathan Vaughters chiede profondi cambiamenti per rendere il ciclismo più equo: “Oggi si può semplicemente comprare il successo, servono nuove regole”

Come si può regolare il ciclismo per renderlo una disciplina economicamente e sportivamente equa? Questa domanda è una di quelle che viene più spesso affrontata dai dirigenti dell’UCI e, più in generale, delle squadre di ciclismo, alla luce di uno sport che sta sempre più andando verso la direzione di “super-team” con budget quasi illimitati che si scontrano contro altre realtà molto più contenute sia in termini di soldi a disposizione che di organico. Tra queste squadre che lottano, anno dopo anno, per la sopravvivenza, c’è anche la EF Education-EasyPost il cui CEO Jonathan Vaughters ha discusso, intervistato da Cyclingnews, le sue idee su come rendere il ciclismo uno sport più equo a livello finanziario e, di conseguenza, più attrattivo per tifosi ed investitori.

“Se si vanno a guardare gli sport che sono in grado di costruire una grandissima base di appassionati, fondamentalmente si trovano sempre quegli sport in cui ogni anno e in ogni momento può vincere una qualsiasi squadra. Credo che il miglior esempio sia la NFL negli Stati Uniti e il metodo con cui la NFL prova a fare in modo che sia impossibile che una squadra che abbia una dinastia continua è quello di un budget cap molto severo. In uno sport come la NFL c’è stato grande incremento negli spettatori e negli appassionati, e questo perché le partite sono imprevedibili e tutti possono vincere. Inoltre nella NFL esiste anche il draft in cui la squadra peggiore dell’anno precedente sceglie per prima e la migliore sceglie per ultima”.

Secondo il dirigente americano, quindi, anche il ciclismo dovrebbe munirsi di un regolamento più restrittivo per quello che riguarda i trasferimenti dei corridori, materia che fino ad oggi è quasi sempre rimasta priva di limitazioni: “Quello che sbaglia il ciclismo non è il sistema che ha scelto, è che non esiste proprio un sistema. Non ci sono limitazioni. Guardate alla UAE Emirates: quando sono arrivati nel 2017 mi ricordo che al Tour lo Sceicco è arrivato, ha guardato una tappa del Tour e poi ha chiesto ‘Perché non vinciamo tutti i giorni?’. Quando i dirigenti gli hanno risposto ‘Perché sarebbe estremamente costoso riuscirci’ lui ha ribattuto ‘Ok, e quindi? Mettetevi al lavoro’. Il fatto è che nel ciclismo oggi si può semplicemente comprare il successo. E per evitare che questo avvenga ci vanno delle regole”.

Pur ammettendo che, lentamente, qualcosa si sta muovendo a riguardo, Vaughters è convinto che il problema sia anche nella classe dirigente, che non ha mai vissuto lo sport a livello concreto: “Chi governa il ciclismo ha perso contatto con la realtà di questo sport. Non sono persone che hanno lavorato nelle squadre, non sono stati imprenditori. Non sono persone che hanno mai dovuto vendere 10, 20 30 milioni di dollari in sponsorizzazioni. Non sono persone che hanno mai dovuto negoziare un contratto con un corridore. Di conseguenza loro hanno una comprensione limitata di quelli che sono i problemi e di quelle che possono essere le soluzioni per risolverli. Credo che servano persone diverse rispetto a quelle che ci sono state fino ad oggi”.

Con l’arrivo di sempre maggiori investimenti, inoltre, questo gap che si sta creando tra i super-team e le formazioni con budget più limitato è destinato ad incrementare progressivamente, dando il via ad una tendenza che, secondo Vaughters, potrebbe essere estremamente negativa nel lungo periodo per il fascino dello sport: “Sicuramente è bello che entri più denaro nel ciclismo. Ma credo che questo possa portare anche ad un effetto negativo perché i nuovi sponsor, non riuscendo a raggiungere i livelli di una squadra come la UAE, potrebbero decidere di non investire totalmente non potendo giustificare la scelta ai loro investitori. Immaginate di essere un’azienda che vuole investire 20 milioni nello sport e può scegliere tra ciclismo, Formula 1 o calcio. Se uno sponsor venisse da me a dirmi che ha 20 milioni da investire e vorrebbe vincere il Tour io gli direi che non è abbastanza, ed ecco che questa azienda probabilmente investirebbe in qualche altro sport”.

Si stanno scoraggiando i nuovi sponsor ad entrare nello sport – conclude lo statunitense – E di conseguenza per le squadre più piccole come noi o come la Intermarché o altre è sempre più difficile trovare un nuovo sponsor per rimanere in gruppo, perché non si riesce più a vendere il sogno di poter vincere il Tour de France. Ed è proprio questo che vorrebbe chi decide di investire dei soldi, almeno poter pensare che nell’arco di qualche anno si potrebbe avere una possibilità di vincere”.

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