#SpazioTalk, Andrea Di Renzo sul suo addio: “Ho qualche rimpianto, il ciclismo esagera con gli juniores”

Andrea Di Renzo saluta il mondo del ciclismo professionistico dopo due stagioni. Il corridore ha annunciato ai microfoni di SpazioCiclismo il suo addio alle corse, dopo i due anni passati con la Vini Zabù. La chiusura della squadra e la contemporanea difficoltà di altre formazioni, come la Delko e la Qhubeka NextHash, hanno costretto il 27enne a prendere la drastica decisione, non avendo trovato un contratto per il 2022. Ora per lui inizia un nuovo capitolo di vita, anche se il suo distacco del ciclismo non avviene senza rimpianti per una carriera condizionata da eventi sfortunati e dal periodo pandemico. Nell’intervista alla nostra redazione, di cui è ascoltabile un estratto nella puntata di SpazioTalk della settimana, Di Renzo ha condiviso riflessioni sul ciclismo moderno e su alcune dinamiche che ritiene poco opportune.

Com’è la tua situazione contrattuale per il 2022?
Ho provato a sentire qualche squadra Professional e una Continental, ma mi sono arreso e ho preso un’altra strada.

Quindi cosa farai adesso?
Per il momento sto lavorando con mio padre, che ha un’azienda di grafica pubblicitaria. Ora con il nuovo anno mi metterò a lavorare con lui al 110%, oltre al fatto che ho iniziato a studiare per fare il direttore sportivo di primo e secondo livello per gestire una squadra di giovanissimi, quella in cui c’è anche mio padre, in cui sono cresciuto”.

Ma è una decisione definitiva?
Ormai siamo a gennaio, si può considerare una decisione definitiva. Onestamente mi sarei aspettato la chiamata di qualcuno, pure di una Continental. Non c’è stata e io non ho problemi a cambiare vita. Andiamo avanti. Ci sarà tanta strada da percorrere ancora.

Hai qualche rammarico per com’è andata? Di fatto hai corso solo nei due anni del coronavirus.
Sono già contento di essere passato professionista con la Vini Zabù. Senza di loro avrei già smesso due anni fa. Voglio ringraziare Angelo Citracca che mi ha dato la possibilità di fare il professionista, con tutti i meriti che ci vorrebbero per passare professionista. Per me per passare professionista servirebbe fare 40 punti federali all’anno, non essere “figlio di” o avere qualcos’altro. Uno deve fare la gavetta e fare i punti federali per passare. Ora gli juniores passano direttamente, per me è una mancanza di rispetto per tanti dilettanti.

Ti riferisci a qualcosa in particolare?
Non proprio, è un discorso generale. Non succede solo in Italia, anche all’estero passano juniores fenomeni. Ma non tutti lo sono. Il ciclismo sta cambiando, ma a me sembra una mancanza di rispetto nei confronti di chi si fa strada tra i dilettanti.

In effetti c’è un po’ la tendenza a cercare il nuovo Evenepoel.
Io per lui ho grandissimo rispetto, è un campione, ci ho anche corso insieme. Però ora si vedono gli juniores allenarsi e fare tabelle assurde. Secondo me, non tutti sono Evenepoel e parecchi corridori sbatteranno la faccia contro il muro.

Così però non si rischia di perdere un po’ l’amore per il ciclismo?
Secondo me siamo arrivati a un livello esagerato. Io da juniores ho iniziato a mettere la frequenza cardiaca al secondo anno juniores. E parliamo di frequenza cardiaca. Fino a quel momento mi sono divertito. Ora si parla di potenziometro, ripetute, watt, già tra gli allievi. Ma divertitevi. Fino a una certa età bisogna divertirsi e basta. Purtroppo ora il ciclismo va così. Tra qualche anno vedremo i risultati. Magari abbiamo torto noi e hanno ragione quelli passati da juniores.

Quando sarai ds, come ti comporterai?
Voglio mandare avanti la scuola di mio padre. I bambini sono bambini. Si tratta di farli giocare, divertire. Conosco bene l’ambiente dei giovanissimi: ci sono genitori che fanno giocare  i bambini e genitori che pensano di avere Evenepoel in casa. Quindi magari il bambino si presenta alle corse con la bicicletta in carbonio, la ruota ad alto profilo… io sono contrario. Puoi far avere tutto il materiale al bambino, ma se poi succede che devi passare il materiale è quello della squadra. Non hai un vantaggio sugli altri.

Quindi che consiglio ti sentiresti di dare ai ragazzi che iniziano?
Di divertirsi, almeno fino agli allievi. Se vogliono andare a giocare a pallone lo facciano, mangino una pizza, escano la sera con gli amici. Da juniores possono iniziare a ragionare più sull’essere competitivi, ma senza l’ossessione che c’è adesso. Ho visto degli juniores che facevano ripetute per me assurde.

Qual è stata la più grande soddisfazione della tua carriera?
I momenti più belli sono stati da dilettante con la società VPM, parlo ancora con il mio ex direttore sportivo e i miei compagni. Ci divertiamo tuttora. Le avventure con loro sono state le più belle. Da professionista avevo iniziato con il piede giusto: San Juan, Laigueglia, Antalya. Tutto stava andando bene, in crescita, come doveva essere. Poi c’è stato il Covid. Sarei dovuto rientrare ma sono stato investito appena dopo il ritorno a casa. Quindi ho dovuto affrontare una clavicola rotta perché una psicopatica andava di fretta per andare al mare. Non è stato facile riprendermi. A fine stagione ho provato a correre con quelle forze che avevo, ma non ho potuto dimostrare niente.

Il 2021 è stato difficile per altri motivi.
Nel 2021 ho fatto la prima corsa dell’anno alle Strade Bianche, Una bellissima avventura, anche se forse avrei preferito fare qualche gara prima. Ma mi è piaciuta, sono stato soddisfatto. In Belgio sono andato a fare La Panne, corsa tecnica e con il vento. La E3 invece non era adatta a me, tutta la squadra è andata un po’ in difficoltà. Poi è successo quello che è successo, per colpa di due persone. Ci hanno fermato un mese e mezzo per le positività di Spreafico e De Bonis, da lì la squadra ha fatto fatica a rialzarsi. I direttori hanno fatto il massimo per la squadra. Ho cercato di dimostrare il massimo nelle corse che ho potuto fare. Ci sono state tante cancellazioni, anche questo non ha aiutato. Le ultime tre corse da professionista non sono andate bene. Alla gara di casa ho fatto la corsa peggiore che potessi fare. Sono tornato a casa e mi sono chiuso in me stesso. È andata com’è andata, la squadra ha chiuso, io ho cercato di rimediare ma qualcuno ha chiuso e altri erano già pieni. Quindi ho deciso di cambiare strada.

Ma voi sapevate già a maggio che la squadra sarebbe stata chiusa?
No, onestamente tutti pensavamo che la squadra si sarebbe fatta. Ma non è stato possibile, nonostante gli sforzi dei nostri direttori sportivi.

Si legge però un’amarezza che rimane.
A livello personale, il passaggio da professionista è un inizio. Ho cercato di mettere tutte le mie forze per fare qualcosa in più. La squadra ha avuto difficoltà, che si sono unite insieme. Li ringrazio per avermi fatto passare professionista e avermi fatto fare quest’avventura in Europa e nel mondo. Se non ci fosse stato il Covid, probabilmente sarebbe andata diversamente. Penso a tutti i ragazzi passati nel 2020. Qualcuno è stato fortunato e ha reagito, avendo anche l’occasione di esprimere ciò che poteva. Per le Pro Tour è anche più difficile, non avendo un calendario stabilito e confermato.

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