Tom Dumoulin: “Alla fine della carriera ero mentalmente esausto, non avevo più il controllo. Ora i corridori seguono ordini, si stanno perdendo libertà e autonomia”
Tom Dumoulin racconta cosa lo ha spinto a chiudere la carriera e riflette sul ciclismo contemporaneo. La Farfalla di Maastricht ha collezionato successi di rilievo, tra cui la Maglia Rosa al Giro d’Italia 2017, i Mondiali a Cronometro nello stesso anno e diverse prove contro il tempo nei Grandi Giri, ma ha lasciato il professionismo prima del previsto. Infatti a gennaio del 2021, a 31 anni, era arrivato l’annuncio di uno stop a tempo indeterminato, seguito da un ritorno in gara a giugno con la conquista poi dell’argento alle Olimpiadi di Tokyo. Quello che sembrava potesse essere un rilancio, è stato invece l’ultimo acuto, vista la decisione di ritirarsi definitivamente ad agosto del 2022.
In una lunga intervista a El Tiempo, Dumoulin ha chiarito le motivazioni alla base di questa particolare chiusura della carriera, sottolineando le difficoltà riscontrate e la necessità di interrompere un lavoro che lo stava lentamente prosciugando sia dal punto di vista fisico che mentale. “Negli ultimi anni della mia carriera faticavo con la pressione, i viaggi, l’organizzazione – ha esordito il neerlandese – Non avevo più il controllo della mia carriera. Il mio team, gli sponsor, i media, i tifosi: tutti volevano qualcosa da me, ma nessuno mi chiedeva cosa volessi io. Ho trovato molti ostacoli quando i risultati non arrivavano. Per questo decisi di uscire da quel mondo”.
Il momento del ritiro è stato particolarmente difficile per il nativo di Maastricht, che non sentiva di avere più la forza per andare avanti: “Mi sentivo mentalmente esausto. Quando sei ad altissimo livello hai bisogno di una forza mentale solida per superare gli ostacoli e competere. Ho scoperto che la pressione, sia esterna sia interna, richiedeva molta energia mentale […] Non volevo prendere quella decisione. Ho cercato di evitarla per due anni, ma la ragione principale è che non avevo più il controllo e sentivo che non stavo più vivendo il mio sogno. Non mi sentivo più il capo della mia carriera […] C’erano altri che volevano che seguissi un certo tipo di allenamento, poi i nutrizionisti chiedevano altro. Alla fine, stavo perdendo il controllo. È stato un momento difficile della mia vita”.
Un finale di carriera amaro, che non lascia però rimpianti a Dumoulin, convinto di aver dato il massimo e di aver ottenuto grandi traguardi nel corso degli anni: “Non mi pento di nulla. Sono felice. Chiaramente, sono felice di ciò che ho ottenuto, ho molti bei ricordi. Anche se gli ultimi due anni sono stati difficili, il rimpianto non è un sentimento che provo. Ho avuto una carriera fantastica, di cui sono orgoglioso, e non la cambierei. Sono contento di aver potuto essere un grande ciclista e ora sono grato di aver deciso di ritirarmi presto”. La passione per il ciclismo però non è mai terminata, come dimostra anche la partecipazione ad una gara Gravel quest’anno, la Life Time Sea Otter Classic, tanto che sottolinea come gli “piace ancora andare in bici” che passa ancora “molto tempo a pedalare”.
Il vincitore del Giro 2017 ha poi parlato del panorama ciclistico attuale, confrontandolo con il proprio. Nonostante siano passati pochi anni dal suo ritiro, ci sono stati molti cambiamenti avvenuti rapidamente: “È cambiato molto, soprattutto nei progressi tecnologici negli allenamenti e nell’alimentazione. Ora è tutto più serio e strutturato. Le squadre sono più organizzate, con obiettivi chiari e un alto livello di professionalità. Il livello sta crescendo, è qualcosa di incredibile, è molto più alto di quando correvo io. È impressionante vedere corridori come Evenepoel, Vingegaard e Pogacar vadano forte in montagna”.
Cambiamenti che hanno portato dei miglioramenti, ma anche delle criticità, soprattutto riguardanti una standardizzazione generale degli atleti: “Penso che il ciclismo moderno stia diventando uno sport in cui i corridori seguono ordini, nel quale libertà e autonomia si stanno perdendo. Penso che oggi la sfida sia di vedere ogni corridore come un individuo, con i suoi bisogni, i suoi sogni e il suo carattere. Bisogna capire che ogni persona è diversa, e trovare un equilibrio tra questo e l’uso della scienza che oggi domina il ciclismo. È un equilibrio difficile da trovare, ma se lo trovi, come Evenepoel e Pogacar, puoi ottimizzare il rendimento e raggiungere i grandi successi che hanno ottenuto”.
Soffermandosi su Tadej Pogacar, il nativo di Maastricht ha poi espresso nuovamente la sua grande ammirazione: “In questo momento è invincibile. Lo adoro, è un grande ciclista, forse il migliore della storia. È incredibile vederlo in bici. Ma a volte, bisogna essere onesti, le corse sono noiose: mancano 18 km e lui è già solo. Non c’è tensione fino al finale. Mi riferisco alla battaglia per vincere. Spero arrivino più corridori capaci di avvicinarsi a lui”. Per questo, Dumoulin, come altri ex corridori, ritiene che non avrebbe avuto chance contro lo sloveno, nemmeno se affrontato nel proprio miglior momento della carriera: “Sarebbe stato troppo forte per me”.
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