“Nessun ritorno” per Contador, finalmente libero dalla “schiavitù del riposo e dell’allenamento”

Nessun rimpianto per Alberto Contador. Dopo aver temporeggiato a lungo, la decisione del ritiro è arrivata e da allora lo spagnolo si è goduto prima le ultime corse e ora, finalmente, il meritato riposo. Classe 1982, il Pistolero ha scelto la Vuelta a España come corsa dell’addio al ciclismo pedalato, riservandosi poi alcune passerelle (sostanzialmente di marketing) per chiudere la sua esperienza da professionista. Una decisione sofferta, che lo ha visto indeciso per molto tempo, ma che lo trova finalmente sereno nella sua scelta e nella sua nuova vita, libero da quelle costrizioni a cui un corridore di altissimo livello come lui si costringe per mantenere l’eccellenza.

“No, nessun ritorno – assicura alla Gazzetta dello SportHo tanti progetti e obiettivi, e nessuno come direttore sportivo“. Al momento la sua attività principale è legata alla sua squadra giovanile, da quest’anno chiamata Polartec – Kometa, che proprio ieri ha presentato la sua nuova maglia. Nessuna intenzione dunque di dedicarsi in maniera più diretta al ciclismo professionistico, né tantomeno di darsi alla politica sportiva. Nella sua vita ora vuole soprattutto potersi godere tutto quello che ha spesso dovuto mettere in secondo piano nella sua carriera, a partire dalla famiglia. Tra i suoi obiettivi dunque anche costruirsene una sua, da allargare al più presto con l’arrivo di un figlio.

Svegliarsi senza pensare al giorno dopo“, è dunque in questo momento per lui la cosa più bella di questi primi mesi da ritirato. “Arrivi in un momento in cui devi analizzare la tua vita – continua – E il ciclismo è stata una grandissima parte della mia vita, una grandissima passione, ma non è la mia vita. Sono stato un privilegiato, mi sento superfortunato per quello che ho fatto, per l’affetto che ho ricevuto dalla gente: il ritiro alla fine della Vuelta non poteva essere migliore”.

Il ciclismo dunque ormai non gli manca. “Sono stato felice per 15 anni – conferma – Ho dato più del 100%, ho dato tutto il mio tempo a questo sport, ma adesso ho il resto della vita per vivere e divertirmi“. Corridore da sempre molto attento in tutti gli aspetti del suo essere professionista, si è dunque liberato da quella che non esita a definire “la schiavitù del riposo e dell’allenamento“. Nella sua continua ricerca della perfezione e dell’ottimizzazione quotidiana, infatti “tutto era dedicato a questo, per essere al massimo”. Adesso può finalmente godersi qualche mattinata più tranquilla, puntando la sveglia più tardi, generalmente alle 9:30, qualcosa di quasi impensabile rispetto a solo qualche mese fa.

“Quando sei professionista, ti alleni in bici e ti devi allenare anche quando sei di riposo – dettaglia – Anche dopo quattro ore di allenamento, ti devi allenare a casa. A mangiare, a riposarti, e così via, sono le piccole cose che ti consentono di vincere. La vita del ciclista è la schiavitù anche dei piccoli dettagli. Soprattutto a livello mentale è durissima. Avevo la nausea di tutte queste cose” .

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