La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo salva l’antidoping

Il sistema ADAMS è salvo. E con lui buona parte dell’antidoping. Il pericolo arrivava da un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da parte di alcuni sportivi, fra i quali Jeannie Longo, e sindacati sportivi francesi. L’accusa era sostanzialmente di violare la privacy degli atleti, che devono registrare costantemente i propri spostamenti 24/24 e 7/7 e garantire un’ora al giorno di reperibilità per eventuali controlli a sorpresa. Questo doppio ricorso (nel 2011 e nel 2013) è stato dunque respinto all’unanimità dai sette giudici, che hanno valutato come “l’interesse generale sia superiore rispetto a quello dei singoli“. Pur riconoscendo dunque l’impatto sulla vita privata, i controlli a sorpresa sono sostanzialmente giudicati necessari, “giustificando le restrizioni apportati ai diritti accordati nell’articolo 8 della convenzione”.

Il ruolo dell’antidoping conserva così la sua duplice funzione: “proteggere la salute” dei diretti interessati, in particolare degli amatori, e “protegge i diritti e le libertà altrui“, con il doping che rappresenterà dunque un’impedimento alla leale competizione alla quale invece tutti hanno pienamente diritto. Si tratta dunque sostanzialmente di “una questione di proporzionalità”, ma soprattutto è interessante sottolineare come il secondo aspetto sia di fondamentale importanza per la sua valenza che va ben al di là del singolo.

Pensiamo infatti, non solo al pubblico ingannato, ma soprattutto a tutti quegli atleti il cui palmarès (con tutti gli effetti del caso, economici e sociali) è stato pesantemente limitato da coloro che hanno barato. Importante in questo senso anche pensare ai numerosi giovani che possono aver visto infranto il loro sogno, o essersi sentiti costretti in alcuni loro comportamenti da un sistema che non dava piena libertà di scelta.

La commissione giudica dunque che “la riduzione o la soppressione di questi obblighi porterebbe all’aumento dei pericoli di doping per la salute degli sportivi e di tutta la comunità sportiva“. La Corte di Strasburgo ha dunque respinto l’appello contro la AFLD, Agenzia Francese Lotta al Doping, ma, in caso di verdetto opposto, ci sarebbero chiaramente state delle conseguenze importantissime anche a livello internazionale.

Un peccato tuttavia che la corte non si sia espressa su alcune specificità e condizioni particolari, che hanno portato negli anni alle giustificate proteste da parte degli atleti. Alcuni casi di controlli a sorpresa durante momenti molto delicati per la vita dell’atleta sarebbero potuti essere gestiti molto meglio dal personale (che tuttavia rispondeva ad una esigenza protocollare rigida, senza eccezioni normate). Controlli durante funerali, o altri eventi così delicati, sarebbero stati indubbiamente intessanti da approfondire e regolamentare (quantomeno sottolineare). Si tratta di pochi casi, ma che giustamente assumono una grande valenza agli occhi dei diretti interessati.

“Una giornata importante per lo sport pulito – sottolinea Olivier Niggli, direttore generale dell’AMA – Anche se queste regole sono inevitabilmente fonte di inconvenienti per gli atleti, che devono divulgare un certo numero di informazioni personali e mantenerle aggiornate, è chiaro come sia perfettamente proporzionato ai benefici che ne ricava lo sport mondiale”.

Ricordiamo che nel caso del ciclismo, l’obbligatorietà di partecipare al sistema ADAMS, pilastro del passaporto biologico, è per tutti i corridori che appartengono a squadre WorldTour e Professional, mentre solo alcune formazioni o corridori continental, pagando di tasca propria non essendoci l’obbligo nel regolamento, aderiscono a questo sistema, giudicato dunque conferme alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

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